Cos’è il punto di fumo di un olio e perché serve conoscerlo
Il punto di fumo di un olio è la temperatura massima che può raggiungere senza produrre composti tossici per la salute: ecco come capire qual è.
La temperatura ideale per una frittura è di circa 180°C: se è più bassa il cibo si impregna di olio, se è più alta si rischia di bruciarlo velocemente. Per una frittura corretta, è quindi importante che l’olio scelto abbia un punto di fumo superiore alla temperatura di cottura. Per punto di fumo si intende infatti la temperatura a cui un grasso alimentare riscaldato ad alte temperature si ossida e degrada, rilasciando sostanze volatili, visibili sotto forma di un fumo azzurrognolo, che sono molto nocive, come l’acroleina.
I fumi tossici
Come conoscere, dunque, qual è il punto di fumo dei vari oli? Secondo il chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini, in rete si trovano molte tabelle “completamente prive di senso”. Quello che conta, in buona sostanza, è la stabilità del prodotto, cioè la sua capacità di non degradare. L’ossidazione – e conseguente degradazione – dell’olio avviene infatti scaldandolo a una certa temperatura, fino a quando comincia a produrre fumo in modo continuo. “In questo momento – spiega il chimico su Facebook – la glicerina si stacca dagli acidi grassi e si producono i fumi tossici. E più la temperatura è alta, più l’ossidazione è veloce”.
Stabilità degli oli
Avendo una composizione chimica differente, chiarisce Bressanini, gli oli si ossidano in modo diverso. Quelli ricchi di acidi grassi polinsaturi come l’olio di mais o quello di soia si degradano più rapidamente di quelli ricchi di acidi grassi monoinsaturi, come gli oli di oliva, di nocciole o di arachidi, composti in prevalenza da acido oleico. Più stabili ancora sono gli oli contenenti molti grassi saturi “come quello di palma o lo strutto. Il cui uso, però, andrebbe limitato perché un consumo eccessivo può vere conseguenze negative sulla salute”.
Olio raffinato
Purtroppo, dunque, il punto di fumo di molti oli può variare molto, anche di 30 °C, in base al tipo e a come è stato purificato. “In generale – spiega ancora – più un olio è raffinato e più è alto il suo punto di fumo, perché contiene solo trigliceridi senza le impurezze, come gli acidi grassi liberi e altro, che iniziano a degradarsi anche a temperature più basse di quelle di frittura (170-180 °C)”. Riportando un esempio, Bressanini rivolge l’attenzione verso l’olio di canola, una particolare varietà di colza, che è lavorato al punto che inizia a fumare soltanto a 240°C, temperatura molto superiore a quella di una comune frittura.
Percentuale di acidità
Il problema è che non è possibile definire una regola. “Spesso si sente dire che l’olio extravergine di oliva ha un punto di fumo alto – chiarisce ancora il chimico – se l'acidità è bassa, il punto di fumo dell'olio può superare i 190 gradi ma questo non è assolutamente vero. L’olio di oliva extravergine è ottenuto per estrazione meccanica senza nessuna raffinazione. Per questo motivo contiene una piccola quantità di acidi grassi liberi e una serie di altre impurezze che possono abbassare notevolmente il punto di fumo. Due oli prodotti in zone diverse e da varietà di olive diverse possono avere una acidità e un punto di fumo molto diversi. Se l’acidità è bassa il punto di fumo può superare i 190 °C: sufficiente per friggere a temperature non troppo elevate. Se l’acidità è elevata il punto di fumo può crollare sotto i 180 °C e quindi renderlo inadatto alla frittura. È anche un nonsenso tecnico – commenta sotto un suo post – uno si sbatte per estrarre l’olio extravergine a temperature inferiori a 27 gradi per non degradarlo e alterare le sue proprietà, e poi lo sbatte a 180 °C?”
Se dunque non conosciamo le caratteristiche dell’olio extravergine che utilizziamo sarà impossibile sapere come si comporterà in frittura. Per scoprirlo bisogna saper leggere bene le etichette, sulle quali è riportata – purtroppo in maniera facoltativa – la percentuale di acidità: se risulta bassa allora, volendo, possiamo utilizzarlo. “Meglio un normale olio di oliva raffinato – conclude però Bressanini – con un punto di fumo più alto, magari addizionato con un pochino di extravergine per chi ama il suo sapore, e per aggiungere gli antiossidanti che lo rendono più stabile alle ossidazioni. In alternativa si può utilizzare l’olio di arachidi, il cui punto di fumo supera i 210 °C, o un alto oleico di girasole, con tanto acido oleico che resiste alle alte temperature”.