Perché la montanara si chiama così?
Fonte immagine: Angela Sposito
Conoscete la storia della Montanara? Ecco da dove arriva questa bontà fritta che ora si può trovare a Napoli e nel resto d’Italia.
In origine chiamate crispelle, le frittelle di farina lievitata e cresciuta, fritte in padella con olio o sugna e completate con il miele, sono citate già nel Liber de coquina, il ricettario medievale redatto presso la corte angioina di Napoli intorno alla fine del 1200 e oggi conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia, a Parigi. Le ritroviamo come zeppole – o secondo la dizione popolana paste cresciute – nel volume Usi e costumi di Napoli firmato da Francesco De Bouchard qualche secolo più tardi. Nella doppia versione dolce (l’antenata delle odierne e buonissime zeppole di San Giuseppe con crema e amarena) e salata, erano presenti nell’irresistibile cuoppo di carta contenente le varie squisitezze fritte del cibo da strada partenopeo, spesso di recupero. Insieme a palle di riso (diverse da supplì e arancini), melanzane fritte, ciurilli (fiori di zucca, non ripieni), pasta e uovo (poi evoluta nell’opulenta frittatina di maccheroni) e panzerotti (piccole crocchette di patate senza fiordilatte e salumi, antenati dei crocché). La preparazione delle zeppole, sempre secondo il testo del Bouchard, spettava alle donne dette zeppolaiole, il loro era un mestiere di strada simile a quello del friggitore (artefice di palle di riso e frittatine) e del panzerottaio, specializzato nelle crocchette di patate, tanto che spesso era abitudine usare proprio le zeppole, tagliate a metà, come contenitore per i panzerotti, mettendo così insieme una merenda più che sostanziosa.
Secondo Enzo Coccia, non solo grande innovatore della Pizza Napoletana ma anche appassionato ricercatore della sua storia e delle sue tradizioni e autore di un libro interamente dedicato alla Pizza Fritta pubblicato da Guido Tommasi Editore, questo potrebbe essere il percorso storico che ha portato alla nascita della Montanara. Il delizioso boccone fritto, soffice e ben cresciuto. Un tempo considerato un cibo umile e casalingo, oggi la Montanara spopola nelle pizzerie di Napoli e di tutta Italia, in versione classica o creativa, soprattutto come perfetto assaggio d’antipasto.
“Mi sono confrontato sul tema anche con Massimo Montanari, grande storico del cibo, e concordiamo su questa origine” racconta Enzo che a casa ha una copia anastatica del Liber de Coquina pronta alla consultazione, regalo di un barone calabrese. C’è però un ulteriore passaggio tra le zeppole e la montanara, che porta dritto alle cucine delle case di Napoli “Con l’avvento del pomodoro e la diffusione dei pelati che si afferma a fine Ottocento nasce il rito del ragù della domenica: grazie alla genialità delle mamme, il lunedì il sugo che rimaneva veniva usato per condire le zeppole salate, mettendoci su un po’ di formaggio grattugiato e una foglia di basilico. Nel Dopoguerra, poi, si aggiunge anche la provola a completare il tutto”.
Sull’origine domestica della montanara così come la conosciamo oggi, concorda anche Salvatore Salvo “Era la pizza che si faceva in casa, in maniera veloce: qualche anno fa Rita Abagnale (appassionata consigliere nazionale di Slow Food Italia e responsabile dell’Alleanza dei Cuochi per la Campania e la Basilicata) raccontò a un convegno che era nata ancora prima della pizza al forno, visto che non tutti lo avevano a disposizione, ma non c’è documentazione a riguardo”. Poi aggiunge “Quel che è certo è che fino a dieci anni fa circa era molto difficile trovarla in pizzeria, dove solo qualcuno proponeva la pizza fritta ripiena, a mezzaluna o tonda. Noi registrammo dei video di ricette per una testata televisiva e pensammo di inserire anche la montanara: diventò virale e fummo praticamente costretti a inserirla nel menu, nella versione con pomodoro del piennolo e caciocavallo podolico”. Da quel momento sono nate numerose varianti, anche gourmet, come quella con baccalà mantecato in latte di bufala, scarola riccia condita con olio extravergine di oliva alle acciughe, pomodorini secchi sott’olio, olive nere di Gaeta, capperi croccanti di Pantelleria, ideata insieme allo chef Nino Di Costanzo, o quella in versione pasta cresciuta con gazpacho di avocado, tataki di tonno, cipolla rosso in agrodolce, pomodorino confit, rucola. Oppure come quelle dolci: le montanarine ripiene con ricotta, scorzette d’arancia e miele che rimandano alla pastiera.
Proprio come la pizza tonda, al forno, anche la Montanara ha avuto la sua evoluzione e ogni pizzaiolo adotta oggi i suoi accorgimenti, mediando con la tradizione. “Noi usiamo la mozzarella congelata” rivela ad esempio Salvo “La abbattiamo e la grattugiamo a mo’ di formaggio, sul sugo di pomodoro giallo, per avere una consistenza diversa e una migliore distribuzione sulla superficie mantenendo però il sapore della mozzarella, che io non amo mettere a crudo”. Enzo Coccia, invece, punta sulla lievitazione per avere un impasto digeribile (forma delle palline da 50 grammi ciascuna, tagliate con il coppapasta e poi le allunga leggermente con entrambe le mani, usando medio, anulare e pollice) e sceglie un olio altooleico per evitare lo sviluppo di sostanze tossiche vista l’elevata temperatura di frittura, intorno ai 190-200°C. “Considerando il loro peso specifico, le montanare cuociono a galla e se l’olio non è ben caldo si inzuppano”. Se nemmeno lui è a conoscenza della vera origine del nome utilizzato per indicare questa specialità, forse un riferimento alla forma a cupola, come un piccolo monte imbiancato dal formaggio, resta indiscussa la sua bontà.