10 curiosità (e falsi miti) sulla pizza che non conoscevi
Dov’è nata la pizza? Chi ha inventato la Margherita? Chi l’ha resa un fenomeno planetario? Intervista a Luca Cesari, storico della gastronomia e autore del libro Storia della pizza
Dov’è nata davvero la pizza che celebriamo oggi sulle nostre tavole? È sempre stata così o è cambiata col tempo? E chi ha inventato davvero la Margherita? A questa e altre domande abbiamo cercato di rispondere consultando Luca Cesari, storico della gastronomia e autore del libro Storia della pizza. Da Napoli a New York (ilSaggiatore). Mentre in rete si creano fazioni su origini e scuole di pensiero, a volte schierandosi in difesa di vere e proprie fake news, abbiamo deciso di interpellare qualcuno che ama il cibo tanto quanto le fonti storiche. Obiettivo: sfatare qualche mito e scoprire aneddoti curiosi sulla pizza. Ecco 10 curiosità sulla pizza che non conoscevi!
- La pizza che mangiamo oggi non è stata inventata a Napoli
- Il mistero della ricetta napoletana
- Lazzarone, il mangiatore di pizza per eccellenza
- Pizza Margherita: la verità sulle origini
- La pizza americana
- La pizza nel resto del mondo
- L’invenzione della tradizione: il pizza effect
- La leggenda dell’acqua
- Come si mangia la pizza
- La pizza al cinema
La pizza che mangiamo oggi non è stata inventata a Napoli
Se oggi preparassimo la pizza delle origini, quella inventata dai napoletani più poveri, non la mangerebbe nessuno. «Era piuttosto economica, fatta con grano di buona qualità, un po’ bruciata, poco o per nulla lievitata, alta, condita con pesciolini di piccola paglia, incastrati nelle reti, pomodoro fresco a pezzi, un po’ di formaggio, minutaglie non sempre salubri. Erano pizze che oggi stenteremmo a chiamare tali».
Il mistero della ricetta napoletana
Non ci sono fonti scritte che riportino la ricetta originaria della pizza napoletana. Come molti altri cibi popolari dell’epoca, non interessano ai cuochi, che quindi non ne codificano le preparazioni. «In quel momento non c’è una classe di panettieri che voglia occuparsi di lievitati, scrivendo testi sulla pizza. In Francia ciò è avvenuto a partire dal Seicento, con libri che raccontano le tecniche di lievitazione. Dunque, c’è un buco di sapere. Ciò che sappiamo della prima ricetta della pizza è riferito dai turisti in viaggio a Napoli. Descrivono il piatto con parole di colore più che tecniche». Bisognerà aspettare Amedeo Pettini, cuoco di Carlo Savoia, per avere qualche informazione specifica sulla pizza dell’epoca.
Lazzarone, il mangiatore di pizza per eccellenza
Nel suo libro Luca Cesari menziona una figura che sembra una specie di target ante litteram della prima pizza napoletana. Si tratta del lazzarone. «Era un tipo di persona sottoimpiegata, che viveva a Napoli in un momento storico di enorme affollamento demografico. Napoli era la prima città italiana per popolazione e lo sarà fino ai primi del Novecento, superata solo da Londra e Parigi. Non c’era sufficiente lavoro e spazi abitativi. Le persone più povere avevano pochi mezzi e mangiavano fuori casa perché non era detto che avessero un tetto sopra la testa. Per questo motivo sorse una categoria di persone che smerciavano cibo pronto come i maccheronai e i pizzaioli».
Pizza Margherita: la verità sulle origini
Anche qui, non ci sono fonti che possano dire con certezza chi ha inventato la pizza Margherita. «A tutt’oggi possiamo confermare che all’epoca la Pizzeria Brandi ha realizzato una pizza per la regina Margherita. Questa è quasi una certezza. C’è un documento a dimostrarlo, anche se alcuni ritengono che sia un falso. A sostegno della teoria ci sono anche testimonianze giornalistiche dell’epoca. Tuttavia, è ben diverso dal dire che i Brandi hanno inventato la pizza Margherita. Non ci sono nemmeno testimonianze sulla dedica alla regina e la prima nominazione del piatto risale al 1930. I Brandi sostengono di averla creata nel 1880. C’è, dunque, mezzo secolo di silenzio. Da ciò che è possibile leggere, all’epoca la regina sembra che abbia voluto assaggiare la pizza con i gamberetti, quella con la neonata, che andavano per la maggiore. Pizze bianche, condite con aglio, pesciolini e strutto)». Quindi, anche su questa storia resta ancora un grande punto interrogativo.
La pizza americana
La pizza che mangiamo oggi nasce nelle pizzerie americane, aperte negli ultimi anni dell’Ottocento dai primi immigrati napoletani sfuggiti all’affollamento e alla povertà della città. Iniziano, cucinando le pizze della tradizione partenopea. Ma alcuni ingredienti come il formaggio, i pesciolini e il pomodoro fresco, non erano sempre disponibili. Quindi gli ingredienti con cui condire la pizza si riducono a ciò che si riusciva a importare: olio d’oliva, formaggio filante e pomodoro in lattina. «È complicato sapere che cosa sia il formaggio che utilizzato all’epoca, simile alla mozzarella. Ma ciò che accade facendo incontrare questo ingrediente con la conserva di pomodoro, getta la base dell’attuale Margherita. Dall’inizio del Novecento fino alla Seconda guerra mondiale l’attuale Margherita acquisisce l’importanza che ha oggi. È un passaggio fondamentale perché questo piatto ha a disposizione un paese enorme in cui diffondersi, che segnerà i destini di tutto il resto dell’Europa».
La pizza nel resto del mondo
In origine, la pizza è sempre stata una questione napoletana e statunitense. Il resto del mondo non è toccato dal fenomeno. Diventa globale negli anni Cinquanta, quando invade il resto della nostra Penisola, da Roma in su, dove c’erano già delle pizzerie. Dalla fine della Seconda guerra mondiale la pizza inizia a diffondersi nel resto d’Europa. «Succede che i pizzaioli napoletani aprono pizzerie in Germania. Ne è un esempio Sabbie di Capri, che apre a Wurzburg nel 1952, seguendo l’esercito americano. Quindi, per sfatare un mito, non sono i soldati americani che vengono in Italia e scoprono la pizza, dato che all’epoca a Napoli non c’era nulla. Ma sono le truppe americane che, abituati alla pizza americana, quando vanno di stanza nel resto d’Europa chiedono di mangiarla. Questo è uno dei primi motori di espansione mondiale». Estremamente conveniente, completa, congruente rispetto alla Dieta Mediterranea: da lì inizia una crescita senza fine, in atto ancora adesso. In India e Russia l’aumento di pizzerie e indotto legato a questo piatto è a doppia cifra.
L’invenzione della tradizione: il pizza effect
Dopo il viaggio negli States, la fama conquistata oltreoceano, dove cresce in dimensioni e popolarità, dove cambiano gli ingredienti, la pizza torna in Europa. Nelle illustrazioni dell’epoca, a Napoli si facevano delle pizzette, simili alla pizza al portafoglio, che resta solo in città. In America la pizza diventa un piatto da mangiare al ristorante, mentre in Italia resta un cibo da strada. «La visione della pizza americana viene reimportata nell’Italia settentrionale e nel resto d’Europa. Ne è un esempio anche il consumo della birra con la pizza, un modo tutto americano di gustarla abbinandola alla lager, di importazione tedesca e anglosassone come l’hamburger e l’hot dog. Di fatto, la birra soppianta il vino anche in Italia, che nell’Ottocento accompagnava la pizzetta napoletana».
La leggenda dell’acqua
Il segreto della pizza napoletana è nell’acqua? Non ci sono prove a sostegno di questa teoria. «Gli acquedotti napoletani sono cambiati più volte nel tempo. A partire dal risanamento napoletano quando, come ricorda Matilde Serao, vengono abbattuti i quartieri più popolari di Napoli, si rifanno anche le fognature, tra i principali responsabili della diffusione del colera. Le acque vengono captate dalle vecchie captazioni idriche usate in epoca romana e poi, nel tempo, dato che erano insufficienti, queste condotte idriche andavano a pescare acqua di falda e di superficie della regione intorno a Napoli. Per questo è impossibile sapere da dove fosse estratta l’acqua. È solo un mito che cerca di tenere legata la pizza alla città attraverso un elemento orografico che è parte integrante del luogo».
Come si mangia la pizza
In origine, la pizza napoletana si è sempre mangiata con le mani, così come i maccheroni. C’è un’unica rappresentazione di una pizzeria napoletana, pubblicata nel Giornale dei Viaggi di fine Ottocento, in cui si vede mangiare la pizza con coltello e forchetta. Se dovessimo dare ragione a questa immagine, dovremmo dire che all’interno si mangiava con le posate e all’esterno con le mani, piegata a portafogli, o a spicchi, come si fa ancora oggi. Quando Bill de Blasio viene sorpreso a mangiare la pizza con le posate, tutti i giornali lo definiranno “il primo passo falso del sindaco di New York” perché la pizza newyorkese per quanto possa essere unta, doveva essere mangiata con le mani. La tradizione ha resistito alle mode. Di conseguenza, la pizza non entra nei manuali di galateo, dove si prendono in considerazione solo cibi da consumare con le posate. «Dato che la pizza potrebbe essere considerato un piatto etnico, si potrebbe risolvere la questione dicendo che va consumata seguendo le regole del luogo in cui è stata inventata. Quindi, proprio come si mangia il cous cous con le dita, dato che la pizza nasce come cibo povero da mangiare con le mani, ne va rispettata la tradizione. Tuttavia, resta una diatriba aperta».
La pizza al cinema
Il terzo film del principe Antonio De Curtis, in arte Totò, San Giovanni Decollato, si vede una pizza appena sfornata. È una pizza di scena, estratta da un forno un po’ finto in cui si capisce che il fuoco è simulato da qualche luce traballante, in cui la pizza è piccolissima. Sta all’interno di un piatto piano. Sembra molto croccante, quindi diversa da quelle che mangiamo ora. «Fa pensare che la tradizione della pizza napoletana non si è diffusa com’era, ma sia stata rimpiazzata dalla pizza di stampo statunitense. Detto questo, in Italia ci sono pochissimi film che fanno vedere la pizza così com’è e ci sono molti più film che la introducono nella cinematografia americana, dove si prende un posto notevole».