3 bottiglie per il riscatto della Falanghina
3 bottiglie di Falanghina che davvero vale la pena assaggiare? Scopritele qui.
Cosa c’è di più nazional-popolare della Falanghina? Nei ristoranti di pesce, soprattutto a Roma, è una delle prime opzioni che l’oste (o chi per lui) propone al cliente che rifiuta lo sfuso dei Castelli. È la bottiglia buona ma dal prezzo ragionevole – che poi alla fine, a ben vedere, non lo è – per chi vuole avere un vino in vetro sul tavolo al posto della brocca, una tipologia che se la batte in termini di diffusione con il Vermentino nei ristoranti finto-sardo in cui il salmone (tipico dei corsi d’acqua isolani, giusto?) o il risotto alla crema di scampi (classico della cucina regionale, giusto?) la fanno da padrone.
La fatidica espressione “Dotto’, je porto ‘na bella Falanghina?”, ha sì portato ad una grande diffusione e notorietà del vino (e del vitigno conseguentemente) ma ne ha anche decretato la condanna: è diventato, nell’immaginario di molti, sinonimo di qualità bassa e vini dimenticabili, da bere immediatamente pena una inesorabile e precoce ossidazione. Scardinare anni di convinzioni ferree tanto diffuse è stato e sarà arduo, comprese le mie che hanno cominciato a vacillare solo in questi anni di frequentazioni campane, per guide e per piacere. In che modo? Assaggiando e incuriosendomi di fronte ai vini di tante piccole aziende che ho imparato a conoscere, apprezzare e seguire nel tempo. La Falanghina è capace di grandi espressioni territoriali, fuori dallo stereotipo del tutti frutti alla banana e tropical, di differenze interpretative che non possono non incuriosire.
Tutto ciò è stato confermato da un terzetto di aziende, e relative bottiglie, che ha in alcuni casi lasciato a bocca aperta me e gli amici presenti, anch’essi spesso ancorati ai miei stessi stereotipi del passato.
Stupirsi di fronte alla longevità e alla complessità di uno Chablis, di un Sancerre o, per tornare in Italia, di un Verdicchio o di un Fiano di Avellino è facile, farlo con un vino che molti, erroneamente, associano automaticamente al Supermercato o ai grandissimi numeri è ben diverso.
“Dotto’, je porto ‘na bella Falanghina?”
“Sì ma se è una di queste tre è meglio”
Falanghina Del Sannio Sant’Agata dei Goti DOC Mustilli
La storica azienda di Paola e Anna Chiara Mustilli è stata una delle prime in Campania a credere nelle potenzialità della Falanghina, la prima a discostarsi da un certo modo di produrre e proporre questo vino. Grazie alla lungimiranza di papà Leonardo e alla voglia di emergere dal mare magnum di vini sfusi, l’azienda è riuscita a far capire quanto la Falanghina meritasse un ruolo da solista e non da umile comprimario. Tanto da spingere Leonardo stesso ad accantonare sin dalla prima annata un buon numero di bottiglie nelle splendide cantine dell’azienda, credendo nel loro potenziale di invecchiamento e evoluzione. Caratteristica di questo vino: acidità, freschezza, bella polpa, grande longevità. Vedere per credere le facce sbigottite scorrendo le loro vecchie annate fino alla 1979, tra cui spiccano indelebili nei miei ricordi la 1990 e la 2002. La prima tutta potenza e classe, impressionante per tensione gustativa e tridimensionalità del sorso, integra all’olfatto tra frutto giallo e note balsamiche di menta e anice, la più giovane (si fa per dire) soffusa ed elegante, alsaziana nei rimandi speziati con lo zafferano e l’albicocca in primo piano, struttura affusolata e sottile. Lungimiranza, savoir-faire e terroir per sfuggire dagli stereotipi: missione compiuta.
Falanghina Dei Campi Flegrei DOC Cruna DeLago La Sibilla
Assaggiai i vini di questa azienda la prima volta nel 2010 e subito mi fu chiaro come, a fronte di un’annata tutt’altro che semplice come la 2009, ci fossero idee e intuizioni di una mente giovane e dinamica. Conferma avuta conoscendo Vincenzo Di Meo, enologo quasi trentenne dell’azienda di famiglia che da ben cinque generazioni produce vini a Bacoli. Un territorio particolarissimo, probabilmente unico: viti a piede franco (possibili grazie al terreno di matrice vulcanica che non permette alla fillossera di attecchire), mare di fronte e alle spalle e una falda acquifera di acqua termale salata a 23 metri di profondità. In una situazione pedoclimatica del genere cosa ci si potrebbe aspettare se non una grande sapidità nei loro vini? La Cruna deLago è il loro Cru, la loro selezione, ma non è assolutamente da tralasciare il loro vino base, un grande rapporto tra qualità e prezzo. Senza citare le ultime annate (eccellenti le 2013), il colpo di fulmine è assaggiare oggi versioni come la 2009, la 2008 e la 2007 del Cruna deLago. Diverse tra loro, specchio fedele del clima e della vigna, con un plauso proprio per la 2009, luminosa ed elegante, dallo sviluppo gustativo orizzontale e ricco di carica sapida. Una Falanghina in doppio petto.
Falerno del Massico Bianco DOC Anthologia Masseria Felicia
Abbiamo già parlato dell’azienda della famiglia Brini, parlando dei loro rossi e della capacità di sfidare il tempo anche nella loro versione di base. La medesima cura da parte di Felicia e l’enologo Vincenzo Mercurio è rivolta alla versione bianchista della DOC, con risultati davvero convincenti: una via di mezzo tra i due territori di riferimento del vitigno, riuscendo a coniugare la potenza del beneventano con la spinta sapida flegrea. Due le versioni: la Sinopea, un base fresco e sbarazzino, classico vino capace di coniugare un prezzo invitante con una grande facilità di beva, e l’Anthologia, la selezione, la versione più importante e strutturata. Proprio l’Anthologia messa alla prova del tempo riesce a regalare belle sorprese, ultima in ordine temporale una splendida 2009: un mix di arancia, cannella, curry, un sottofondo dolce e avvolgente di nocciola e albicocca, hanno regalato un vino che ha saputo reggere il confronto con ben più quotati (e giovani) compagni di tavola. Accoglienza olfattiva che troviamo anche nel sorso, ampio e orizzontale, tutto sapidità e frutta. Un vino colto in fase di massima espressività che dimostra come la Falanghina riesca a trasmettere le caratteristiche di un territorio lontano dai due maggiori poli produttivi (Sannio e Campi Flegrei) riuscendo al tempo stesso a sfidare il tempo in maniera convincente. Questi sono solo ovviamente tre soli esempi ma ne avrei potuto citare molte altre aziende che lavorano cercando di valorizzare il vitigno e il territorio: Terre Stregate, La Rivolta e Cautiero per il Sannio, Astroni, Contrada Salandra e Agnanum per i Campi Flegrei, i Cacciagalli per Caserta e dintorni.
In conclusione, la Falanghina non può e non deve rinunciare alle proprie caratteristiche di bevibilità e immediatezza: sì quindi agli esperimenti, alle micro-vinificazioni, alle selezione ma sempre tenendo presente il vitigno e i suoi tratti salienti, evitando inutili orpelli che non fanno altro che rendere goffi questi tentativi. Solo così si potranno ottenere vini di carattere e anche buona longevità. D’altronde anche per Agatha Christie dopo tre indizi se ne ha la prova.
- IMMAGINE
- Mustilli Blog
- Luciano Pignataro Wine Blog