9 varianti di Cacio e Pepe, la più amata delle romane
La cacio e pepe, la pasta romana più amata dagli italiani, è squisita in versione tradizionale, ma anche le sue varianti meritano sempre un assaggio.
È l’unica pasta romana vegetariana, priva di guanciale o pancetta: la possono mangiare quasi tutti. Alcuni la preferiscono cremosa, altri sabbiata; alcuni con la pasta all’uovo, altri con quella secca. C’è chi la ama piccante e sapida, chi più delicata e profumata. La cacio e pepe non è mai uguale a se stessa, non ne esiste una sola forma né una ricetta prestabilita: ognuno la cucina e la mangia come meglio crede. Nel 2019 è considerata tra le paste più richieste e amate dagli italiani e non solo in versione tradizionale. In molti chef la reinterpretano aggiungendo elementi di mare e terra o spezie orientali. Alcuni persino eliminano il carboidrato e la trasformano in waffle, marshmallow e gelati.
- Cacio e pepe con gamberi. L’abbinamento pecorino-gambero ormai è quasi tradizionale: la dolcezza del crostaceo ben si abbina alla sapidità del pecorino. Tutto sta nel corretto bilanciamento dei sapori. Tra le più apprezzate cacio e pepe con gamberi c’è sicuramente quella del tristellato Heinz Beck. A La Pergola essa figura nella veste di spaghetti mantecati con una cremosa salsa di pecorino romano dolce e pepe nero. A questo si aggiungono gamberi bianchi crudi appena marinati con olio e scorza di lime, foglie di cerfoglio e un fondo di pesce che incrementa il sapore marino del piatto.
- Cacio e pepe con cozze. Sul litorale romano è uno dei primi piatti più ordinati: tonnarelli cacio e pepe con le cozze. Il duo cozze-pecorino scorre nelle vene di qualsiasi romano e di qualsiasi stabilimento del tratto Ostia-Maccarese. Entrambi gli ingredienti sono sapidi e forti, ma, trattati con cura, si esaltano a vicenda senza coprirsi l’un l’altro. Un’ottima versione della cacio e pepe con le cozze, leggermente più elegante e delicata della classica, è quella proposta dallo chef Simone Curti nel suo Molo Diciassette di Ostia. Il formato di pasta adottato non è il tonnarello ma la linguina ed oltre alle cozze c’è la scorza di limone. L’utilizzo di questo agrume è ottimale perché pulisce la bocca dal sale eccessivo del condimento ed aumenta la salivazione. Niente pomodorini e gusci di cozze in questo primo che si discosta e si eleva rispetto alla maggioranza dei tonnarelli cozze e pecorino.
- Cacio e pepe in vescica. Riccardo Camanini, chef stellato del ristorante Lido 84 sul lago di Garda, propone una cacio e pepe estremamente particolare nella cottura. I suoi rigatoni non sono lessati bensì cotti lentamente all’interno della vescica di maiale insieme al condimento a base di pepe nero mignonet e pecorino buccia nera. La pasta cruda è inserita, dunque, nella vescica e cotta in una pentola con acqua bollente il doppio del tempo previsto, scuotendola di tanto in tanto. Il risultato è una pasta molto tenace al morso con una profumazione completamente diversa dal normale.
- Cacio e pepe e spezie. Il pepe è una spezia, una bacca che cresce in mille paesi che tramandano sentori completamente diversi. Una cacio e pepe preparata con il pepe di Timut sarà diversa da una cacio e pepe preparata con il pepe del Madagascar o di Sarawak. A saperlo bene è Francesco Apreda, ora chef del nuovo ristorante romano Idylio. Tra i suoi cavalli di battaglia c’è il Risotto cacio, pepi e sesami per il quale adopera ben 5 varietà di pepe e altrettante di semi: c’è il pepe nero Tellicherry, il pepe bianco Muntok, il pepe di Venere, il pepe di Cubeba e il pepe di Sichuan. Questo blend aromatico è utilizzato come rifinitura di un risotto bianco mantecato con burro acido, pecorino romano, caciotta e spumante. Il risultato è una cacio e pepe delicata ed estremamente profumata, quasi floreale. E poi c’è Fabio Ciervo, chef della Terrazza dell’Hotel Eden di Roma, che profuma i suoi spaghetti cacio e pepe con pepe del Madagascar e petali di rosa e una punta di brodo di pollo.
- Cacio e pepe e ricci di mare. Altro binomio amatissimo dalla grande ristorazione in materia di cacio e pepe è quello con i ricci di mare. Tra i primi a sperimentare questo felice matrimonio è stato Oliver Glowig con le sue Eliche cacio e pepe e ricci di mare. Già nel 2012, all’Aldrovandi Palace che ai tempi contava 2 stelle Michelin, lo chef la presentava ai suoi clienti con un buon riscontro. Questo primo è più delicato della classica cacio e pepe perché arricchito di burro salato, parmigiano vacche rosse e aneto. Il pepe adoperato è quello nero di Sarawak mentre il pecorino è di fossa. Un’altra cacio e pepe con ricci di mare molto amata è quella di Roberto Conti, chef dello stellato Trussardi alla Scala di Milano. Qui la cacio e pepe, proposta con lo spaghettoro Verrigini, è arricchita da una serie di elementi: c’è il latte di pecora per la creazione della fonduta di pecorino toscano; c’è il basilico, l’olio, l’aglio ed il pomodoro per la salsa di ricci di mare e poi anche qui un’infinita varietà di pepi da quello giamaicano a quello di Sichuan passando per quello bianco di Penja.
- Riso cacio e pepe. Chi ha completamente stravolto il concetto di cacio e pepe è stato Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana, il migliore ristorante del mondo. Qualche anno fa, infatti, ha ideato un Riso cacio e pepe che poco aveva a che fare con la ricetta tradizionale. Innanzitutto ha sostituito al tonnarello il riso vialone nano. Quest’ultimo l’ha cotto in un dashi di Parmigiano Reggiano ottenuto per infusione dello stesso in acqua calda. Infine ha adoperato 5 tipologie di pepe diverse. Nessun soffritto iniziale, né burro in mantecatura. Ciò che affiora dall’infusione del formaggio è aggiunto fuori dal fuoco nel riso per renderlo più cremoso e avvolgente.
- Gelato cacio e pepe. La cacio e pepe può diventare un dessert? Sicuramente può trasformarsi in un gelato da mangiare sul cono a spasso per Roma accanto a una pallina di cioccolato fondente grazie a Marco Radicioni, mastro gelataio dalla personalità vulcanica della gelateria Otaleg. La cacio e pepe gelata la si trova saltuariamente anche a Frascati da Greed Avidi di Gelato di Dario Rossi che sperimenta con ingredienti di stagione prevalentemente del territorio limitrofo.
- Cacio e pepe senza pasta. Cezar Predescu, chef del ristorante Perpetual di Roma, ha osato privare la cacio e pepe della pasta trasformandola in un semplice condimento per delle sfere croccanti di topinambur. Per non coprire la nota delicata della verdura, lo chef, aggiunge al pepe nero grattugiato dei semi di papavero che per colore e consistenza ricordano la più piccante e invadente spezia. Una serie di germogli concludono il piatto che è rifinito direttamente in sala.
- Cacio e pepe finger food. La cacio e pepe si può mangiare con le mani? A quanto pare sì per Marco Martini e Ciro Scamardella, due tra i più giovani chef stellati della Capitale. Entrambi, nei loro rispettivi ristoranti, Marco Martini e Pipero, la propongono come benvenuto al cliente. Il primo sotto forma di marshmallow spolverizzato di pepe nero e pecorino grattugiato; il secondo in versione waffle in memoria dei cestini di parmigiano anni ’80.