Vincenzo Donatiello: sommelier a 3 stelle Michelin
Vincenzo Donatiello, a soli 28 anni, è diventato sommelier di un ristorante italiano con tre stelle Michelin. Questo è il racconto della sua storia, sin dagli esordi nel mondo del vino.
Vincenzo Donatiello, lucano, classe 1985, si sveglia ogni mattina per gestire una cantina da 1500 etichette, oltre a studiare i migliori abbinamenti enologici ai piatti di un ristorante con 3 stelle Michelin, il Piazza Duomo di Alba, in provincia di Cuneo. Vincenzo Donatiello, a soli 28 anni, è diventato sommelier di un ristorante italiano con tre stelle Michelin Ristorante che la classifica World’s 50 best Restaurants ha eletto al 41° posto per importanza mondiale: a settembre dell’anno scorso è infatti diventato wine director del Piazza Duomo di Alba (Cn), prendendo il posto lasciato vacante dal bravissimo Mauro Mattei. Bella responsabilità per un ventottenne e scommessa azzardata per lo chef Enrico Crippa e la famiglia Ceretto. Ma non così azzardata. Quando e se conoscerete Vincenzo avrete la conferma che al Piazza Duomo nulla è lasciato al caso. Esperienza da vendere, idee chiare, anzi chiarissime, su tutto il mondo del vino. Come si raggiunge questo obbiettivo? Con umiltà, passione, studio. Altroché nauseabondo nepotismo italiano: esistono ancora sprazzi di meritocrazia nel paese più bello del mondo.
Vincenzo Frequenta l’istituto alberghiero tra Vieste e Trapani per vicissitudini familiari. La prima stagione a 14 anni, in Romagna, in nero perché troppo giovane per lavorare. La precoce esperienza gli fa capire che alla cucina preferisce la sala. Vince una feroce timidezza e si appassiona alla professione. Gli piace lavorare come barman poi capisce che “a differenza di un liquore ogni bottiglia di vino è qualcosa di unico, vivo, in continua evoluzione”. Si converte a Bacco. A 17 anni un problema di salute lo allontana dallo sport, si dedica totalmente alla sete… di sapere. È curioso, approfondisce da sé. Quello stesso anno vince la gara nazionale degli Ipsar organizzata dal Ministero dell’Istruzione. L’anno dopo viene nominato miglior Junior sommelier da mamma Ais. È proprio lui a definirla così: “Sono stati i primi – mi dice – chiunque abbia creato qualcosa in seguito è passato prima dall’associazione italiana sommelier”. Ci passa anche lui, dopo l’alberghiero e si diploma presso la sezione AIS Romagna. Poi tanta, tanta, e ancora tanta esperienza in hotel e ristoranti fra cui, La Frasca di Milano Marittima, da Pascucci al Porticciolo (Fiumicino) e Il Piastrino a Pennabili. Infine l’approdo alla corte di Enrico Crippa.
Vincenzo partiamo subito dal pratico: quanti vini assaggi all’anno?
“Circa 4000. Li assaggio e me li annoto”
Cosa consiglieresti a un ragazzino che capisce di voler intraprendere la carriera da sommelier?
“Intanto prima si comincia e meglio è. La sommellerie è un mondo dinamico e non aspetta. Il circuito degli istituti alberghieri italiani è un buon inizio. Poi ci vuole un’ottima base teorica. In questo i corsi Ais sono un valido aiuto. Se non studi le basi non puoi avere una visione d’insieme del mondo vitivinicolo. Devi sapere come interagiscono fra loro il territorio, le uve, le tecniche di coltura e vinificazione. Bisogna avere tanta curiosità, viaggiare il più possibile, parlare con i produttori e avvicinarsi ai terroir: ogni bottiglia trova la sua massima espressione se apprezzata sul luogo di nascita”.
Le tue bibbie del vino?
“Vino al vino (M. Soldati), Bianco rosso e Veronelli (L. Veronelli e P. Echaurren,) La vigna il vino e la biodinamica (N. Joly), Vini del Mondo (T. Stevenson), L’invenzione della gioia (S. Sangiorgi), Grand Atlas des vignobles (B. France), Le vie del Vino (J. Nossiter) e l’Enciclopedia dl Vino di (L. Gardini)”.
I tuoi “guru”?
“Gino Veronelli perché ha portato alla ribalta il vino contadino e Mario Soldati per il suo approccio di viaggio e scoperta”.
Pensi che l’Italia sia ancora, enologicamente parlando, “il Paese più bello del mondo per chi ha la pazienza di cercare e la fortuna di trovare”(cit M. Soldati)?
“Certo, a differenza della Francia, dove tutto è già stato scoperto. L’Italia ha delle potenzialità enormi e sta finalmente cominciando a sfruttare quel patrimonio di biodiversità di territori e vitigni. Negli anni ’90 facevamo vini tutti uguali dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Oggi stiamo capendo che uve e territori devono rispettarsi a vicenda. Mi auguro che i vini italiani diventino sempre più espressione dei territori in cui nascono”.
Cosa cambieresti oggi del mondo del vino?
“Nulla ma vorrei che ci fosse più UMILTÀ da parte dei sommelier. Questo avvicinerebbe maggiormente la gente al vino. Negli anni 2000 i sommelier sembravano intoccabili, erano presuntuosi, supponenti e la gente si è allontanata da questo mondo incomprensibile e riservato a una ristretta cerchia di eletti. Noi sommelier siamo e dobbiamo rimanere ambasciatori di un messaggio, dal territorio al cliente, attraverso il vino”.
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