6ª puntata di Unti e Bisunti 2 in esclusiva: la fine del pollo
Sesta tappa delle avventure di Chef Rubio alla ricerca di nuovi piatti da assaggiare. Stavolta tappa a Milano, obiettivo cucina sudamericana.
Siamo alla sesta puntata di Unti e Bisunti 2, il format televisivo peggiore per chi è a dieta. Anche stavolta, tra i grattacieli di Milano, Rubio ha lo sguardo in bilico tra l’affamato e l’incazzoso: sospettiamo che prima di ogni nuova tappa lo tengano a insalata e yogurt per tre giorni. Si parte dai Navigli: ignoriamo la movida, il cocktail dell’aperitivo e il buffet no limits. Lo chef punta diretto al mercato di Porta Genova, un piccolo pot pourri di profumi e colori incastrato tra i tram di piazza XXIV Maggio. Quelli che sgranocchia distrattamente sono chifles, ovvero platanos e banana fatti a fette e soffritti fino a diventare snack croccanti da passeggio. MI pare già chiaro quale sarà il focus della puntata: la cucina sudamericana.
Dalla parte opposta di Milano, infatti, Rubio si ritrova in un angolo di Perù. Musica a palla e colori in movimento sembrano i tratti distintivi del La Pena de Pocho, e proprio Pocho, il proprietario del locale, si preoccupa di sfamare il nostro eroe. rubio si ritrova in un angolo di perù e assaggia tamal e ceviche Si comincia con il tamal, un piatto mesoamericano che affonda le proprie origini tra il nono e il sesto secolo a.C.: si tratta di un tortino di mais ripieno di carne di maiale, olive e spezie varie che si può conservare a lungo, tanto da essere spesso cibo da guerrieri. Una sorta di pan di via sudamericano. Poi passiamo al ceviche, pesce crudo a pezzetti marinato con lime o limone, coriandolo, ajì o chili e cipolla servito con patate; seguono poi le varie salse, che sembrano infinite: c’è quella con ajì panca, uno dei peperoncini più diffusi in Perù, dal sapore dolce e leggermente affumicato; c’è quella al rocoto, il peperone peruviano piccante e vendicativo, da servire in accompagnamento; per finire ecco quella a base di ajì amarillo nota come huancaina, con un peperoncino giallo che va dal piccante al molto piccante.
Dato che la bocca è andata a fuoco con le salse, il nostro chef tatuato va in cerca di qualcosa più delicato e zuccheroso come il mais. Meglio optare per il choclo, la pannocchia dai chicchi molto grandi, dalla consistenza più gommosa e meno dolce della nostra e ricchissima di amido, che si mangia servita sulla sua foglia e cosparsa di altre salse colorate: poi dicono che gli americani sono quelli fissati con le salse. In caso di allappamento il nostro eroe butta giù qualche sorso di chica morada, una bevanda a base di mais bollito, scorza di ananas, mela cotogna, cannella, zucchero e limone. Una bevanda adatta a sgrassare la bocca, insomma.
Anche se già in shock glicemico, Rubio trova il secondo possibile sfidante, Cesar e la sua mamita (mammina) de ristorante El Hornero, che impiattano un tris da impallidire: pollo a la brasa, anticucho, molleja e rachi. da el hornero rubio assaggia i piatti di cesar e della sua mamita: pollo alla brasa, anticucho, molleja e rachi Qui ci vuole una laurea in gastronomia peruviana, andiamo con ordine: il pollo alla brasa è cotto sulla brace ed è stato inventato a Lima negli anni ’50, marinato con diverse spezie e ha una consistenza fantastica. Gli anticuchos, che fanno parte del DNA di ciascun peruviano, sono spiedini composti in genere da pezzi di cuore di bue marinati con cumino, ajì panca, aglio e pepe e sono cucinati a ogni angolo di strada. Le mollejitas sono ventrigli di pollo cucinati alla griglia e diffusi anche in Argentina, Messico e Uruguay, mentre il rachi è una preparazione che comprende, oltre alla carne di manzo o di pollo, una buona razione di trippa. Ne sentivamo giusto la mancanza.
Visto che non di solo Perù è fatta la cucina sudamericana, Rubio incappa anche nella cucina de Il solito posto, un ristorante ecuadoriano. Qui assaggia l’encebollada che – indovinate un po’ – prevede la cipolla tra gli ingredienti principali, rubio assaggia anche la cucina ecuadoriana: encebollada ed empanadas vertes e le empanadas vertes de platanos, calzoni fritti la cui pasta esterna è fatta con la polpa dei platanos e il ripieno può spaziare tra carne di manzo, cipolla, uova, uva passa e zafferano. Si mescola poi il mondo peruviano con quello cinese grazie a Felipe e Wang. I piatti che i due cuochi preparano sembrano un inno alle contaminazioni di stile: il tallarin saltado prevede un insieme di pasta, tranci di carne tenera, salsa di soia e spezie il cui segreto sta nel combinare “poca grasa, mucho fuego e poco tiempo“. Il caldo di mote, invece, è una zuppa di trippa e altre parti grasse della mucca bollite assieme al mote, il mais d’altra quota tipico del Perù; il leche de tigre è una sorta di mangia-e-bevi fatto con il succo risultante dal ceviche, arricchito da pesce e peperoncino, e che vanta poteri afrodisiaci.
Anche stavolta la scelta del piatto da replicare non pare facile, ma data l’abbondanza di interiora era facile prevedere che la scelta cadesse sul combinado especial di Cesar e della sua mamita. La vestizione di Rubio e i piccoli segreti di preparazione sono una chicca a cui non viene dato abbastanza risalto, ma non facciamo in tempo a goderci la mattanza che arriva la giuria piroettando e anche stavolta è facile prevedere il verdetto: penitenza per il nostro. A Rubio tocca smettere i panni di chef e vestire quelli di un pollo gigante per pagare il pegno della sfida. Ma noi ti vogliamo bene anche da polletto, Gabriè: daje.