Kaiseki o Hibachi? Scoprire le cucine giapponesi
La cucina nazionale giapponese si divide in diverse tipologie, che spaziano dai metodi di cottura alla religione: ve le spieghiamo in questa breve guida.
La cucina nazionale giapponese prende il nome di washoku, è stata riconosciuta Patrimonio Mondiale Unesco ed è strettamente legata alla cultura e alla filosofia del Paese. l'arte culinaria in giappone è una parte essenziale della vita quotidiana I giapponesi intendono l’arte culinaria come una parte essenziale della vita quotidiana e non è un caso che il carattere shoku (mangiare) sia composto dai segni uomo e far bene: il mangiare fa bene all’uomo. Lentezza e cura nella preparazione, leggerezza dei piatti, estetica studiatissima e freschezza delle materie prime sono le fondamenta sulle quali si basa tutto ciò che, in Giappone, gira intorno al cibo. Se per gli occidentali la cucina è, prima di tutto, rivolta all’appagamento del gusto, per i giapponesi la vista, attraverso l’armonia tra forme e colori, è il primo senso che entra in gioco a tavola. Il piatto deve essere una piccola opera d’arte atta a soddisfare regole precise di grazia e bellezza, accostamenti di colori che non siano stridenti e forme complementari ed equilibrate.
La cucina giapponese varia in base alle stagioni e ai prodotti regionali, cerca di conservare le proprietà naturali e il gusto reale del cibo ed è per questo che gli abitanti dell’isola usano pochi condimenti e cucinano con pochissimo grasso; grazie al consumo di alimenti crudi e di alghe, la cucina giapponese risulta anche sana e digeribile. Gli alimenti base sono il riso, i noodles, gli spaghetti di grano saraceno (soba), la soia e i suoi derivati come il tofu e il brodo dashi, base di moltissime preparazioni, fatto con alga kombu e fiocchi fermentati e affumicati di tonnetto striato (chiamato katsuobushi).
Molte sono le tipologie di cucina che si trovano in Giappone, diverse soprattutto per metodi di cottura e presentazioni dei piatti.
CUCINA KAISEKI
Il kaiseki è una forma di pasto tradizionale che include tante piccole portate servite su piatti di colori diversi artisticamente disposti per la presentazione in base alla cromia e all’ordine con cui vanno mangiati. servita nei ryokan (e non solo) la kaiseki è una cucina che valorizza armonia e stagionalità Piccole e armoniose portate decorate con fiori eduli e verdure intagliate con forme di animali e piante, i kaiseki si possono provare nei ryokan, gli alberghi tradizionali giapponesi; sono considerati pasti di privilegio e infatti anche il loro costo è abbastanza alto. Nella preparazione informale, più economica leggermente meno cerimoniosa, i piatti sono disposti nei bento, vassoi con contenitori e coperchi adibiti a consumare il pasto all’aperto o fuori casa. Il kaiseki tradizionale prevedeva un piatto e tre contorni, oggi si è evoluto includendo nel suo menu: tuorlo d’uovo, sashimi, un piatto cotto a fuoco lento, un piatto grigliato, uno al vapore, una zuppa, un dolce e altri a discrezione del cuoco. Questa la lista di portate di un moderno pasto kaiseki: Sakizuke, un antipasto; Hassun, a base di sushi, è il piatto che apre la serie stagionale delle portate; Mukozuke, a base di sashimi; Takiawase, piatto vegetale accompagnato da carne, pesce o tofu; Yakimono, pesce di stagione grigliato; Gohan, piatto di riso con ingredienti che variano a seconda della stagione; Mizumono, dessert a base di frutta, gelato o dolce.
CUCINA SHOJIN RYORI
Nel vastissimo universo gastronomico giapponese non va tralasciata la shojin ryori, la cucina dei templi zen molto numerosi soprattutto nella città di Kyoto. La cucina zen è basata sul principio primo del buddismo: non si usano carne, pesce, uova e alcol “vietato prendere la vita” che per estensione diventa vietato uccidere e ovviamente mangiare qualsiasi essere vivente. In questa tradizione gastronomica non ci sono la carne, il pesce, le uova e l’alcol, è necessario rispettare le stagioni, usare il più possibile i prodotti locali e soprattutto evitare in tutti i modi gli sprechi. Non deve stupire quindi il fatto che ci siano intere pietanze fatte solo con quello che comunemente il resto del mondo butta, ad esempio i brodi di cime e pelle di carote o di foglie di ravanello. Nonostante le non poche restrizioni però, la cucina buddista è bella da vedere perché è molto varia e sofisticata e segue la filosofia estetica della kaiseki.
Uno degli ingredienti principali è la soia soprattutto sotto forma di tofu, a cui seguono le verdure e le piante selvatiche. I piatti della cucina shojin devono rientrare nei parametri stabiliti dalle regole dei cinque: cinque colori possibili, verde, il giallo, il rosso, il nero e il bianco; cinque sapori accettati, dolce, acido, salato, amaro e umani e cinque cotture consentite, tagliare, bollire, grigliare, friggere, cuocere al vapore. Alcune preparazioni famose sono il konnyaku, una gelatina di konjac, una pianta orientale conosciuta come lingua del diavolo, la quale radice contiene un’alta percentuale di glucomannano che è un forte integratore naturale; la kenchinjiru è una zuppa chiara con radici, dashi di alga kombu e tofu,;le nasu dengaku, melanzane fritte e glassate al miso e la shiro-ae è un’insalata di tofu schiacciato e verdure, condito con salsa di soia e semi di sesamo.
CUCINA YOSHOKU
La cucina yoshoku elabora ricette tradizionali con ingredienti e cotture di origine straniera ed è una parte importante dell’offerta gastronomica nipponica. Fu introdotta durante la Restaurazione Meij (1867) quando il potere shogunale fu sostituito da quello imperiale e periodo in cui divenne massima l’attenzione del Giappone nei confronti di usi e costumi d’Occidente. una contaminazione occidentale della cucina giapponese Il cambiamento alimentare si ebbe soprattutto con l’abolizione del divieto di mangiare carni rosse, che furono introdotte nella dieta giapponese perché riconosciute come la principale ragione della maggiore prestanza fisica degli occidentali. In origine, la yoshoku era una cucina di lusso, in quanto la maggior parte degli ingredienti risultava irreperibile per la gente comune ed il suo costo molto elevato. Nel secondo dopoguerra, una maggiore disponibilità di risorse alimentari provenienti dall’estero, la resero sempre più popolare tanto da conquistare tutta la popolazione: appositi ristoranti, gli yoshokuya aprirono ovunque, e la contaminazione occidentale entrò infine anche nelle case giapponesi.
I piatti yoshoku vanno mangiati con le posate occidentali e sono accompagnati dal pane e dal riso. Esempi di cucina yoshoku sono il tonkatsu, la cotoletta di pollo o di maiale impanata che si mangia con il riso, i korokke, simili alle nostre crocchette di patate ma con aggiunta di carne o pesce al suo interno, i naporitan, presi dalla cucina italiana, che sono spaghetti saltati in padella con aggiunta di salsa di pomodoro, cipolla, funghi ed altri ingredienti a scelta. Persino nelle portate di sushi, appare qualcosa di contaminato: stiamo parlando dei California maki, i rotolini di riso con aggiunta di surimi, avocado e maionese.
CUCINA DEGLI IZAKAYA
Gli izakaya sono locali che possono essere paragonati alle nostre birrerie dove principalmente si beve ma è servito anche da mangiare. Questi locali sono spesso frequentati dagli impiegati dopo il lavoro e sono riconoscibili grazie a una lanterna di carta rossa, appesa all’ingresso. gli izakaya sono locali simili alle nostre birrerie dove mangiare e soprattutto bere Solitamente il cliente è invitato a pulirsi le mani con un oshibori, un piccolo asciugamano umido, e successivamente si può iniziare a mangiare. Insieme al sake, la bevanda più consumata all’interno di questi locali, è servito subito un otōshi, uno stuzzichino freddo come edamame, alghe wakame e tsukemono, i tipici sottaceti giapponesi. I menu si trovano sui tavoli o appesi alle pareti, riportano le foto dei piatti e spesso contengono la popolarissima formula nomihodai “tutto ciò che puoi bere” e tabehodai “tutto ciò che puoi mangiare“, con la quale i clienti possono ordinare tutto il cibo e le bevande che vogliono, con un limite di tempo di circa 2-3 ore, pagando una tariffa fissa. In questo tipo di locali è norma dividere le pietanze tra tutti i commensali. Negli izakaya si mangiano yakitori, spiedini di carne alla brace, karaage, pezzettini di pollo marinati con zenzero e soia e fritti nell’olio, sushi e sashimi, il tutto accompagnato da sake, birra, vino o whiskey.
HIBACHI E ROBATA
Le diverse cucine giapponesi si suddividono non solo per la regionalità o gli ingredienti ma anche per il metodo di preparazione. Un capitolo importante è quello delle cotture alla brace che in base al supporto utilizzato prendono nomi diversi. si possono trovare al centro dei tavoli in alcuni ristoranti L’hibachi, letteralmente ciotola del fuoco, è un contenitore rotondo, comunemente di porcellana decorata, riempito con carboni ardenti ricoperti da uno strato di cenere. Inventato in origine per scaldare le case, fu successivamente piegato agli usi di cucina con l’utilizzo di una griglia sulla quale appoggiare le pietanze. Date le dimensioni medio piccole, gli hibachi si possono trovare anche al centro dei tavoli di alcuni ristoranti e si utilizzano per grigliare pesci come anguille o piccoli pezzi di carne.
Un’altra tecnica alla griglia è conosciuta come robatayaki e prevede che le pietanze siano cotte su griglie roventi grazie al fuoco emanato da legna e carbone, usatissimo quello di bambù, che affumicano e aromatizzano il cibo. La carne, spesso quella pregiatissima di kobe e il pesce cotti sulla robata, sono anche spennellati con soia e mirin (sorta di sake dolce per cucinare), per conferire sapore e un tocco agrodolce. In Giappone, la cucina robatayaki è anche una forma di spettacolo tra i fornelli: gli chef cucinano in mezzo ai clienti e li coinvolgono in divertissement gastronomici attraverso movimenti acrobatici e fumate dai profumi invitanti.
WAGASHI E YOGASHI
Una parte della cucina giapponese, poco conosciuta in Occidente, riguarda i dolci. La pasticceria tradizionale nipponica, per intenderci quella che precede la Riforma Meiji del 1868, è chiamata wagashi ed è composta prevalentemente da dolci fatti solo con ingredienti di origine vegetale come la farina di riso glutinoso, i dolci tradizionali giapponesi fanno molto uso di fagioli azuki e tè matcha i fagioli azuki, l’agar-agar e lo zucchero di canna. Esempi di dolci wagashi sono gli amanatto, delle caramelle di pasta di fagioli ricoperte da cristalli di zucchero, i famosissimi mochi, palline di farina di riso che possono essere mangiate semplici, aromatizzate con polvere di tè matcha, oppure ripiene di marmellata (daifuku) o da ingredienti più particolari come le foglie di artemisia (yomogi) e infine, i dorayaki che ricordano nella forma due pancakes sovrapposti e tra le due frittelle, un goloso ripieno di anko, la marmellata di fagioli. Dora in giapponese significa gong e, infatti, il dolce assomiglia al tipico strumento dei templi.
Come per la cucina, anche la pasticceria giapponese contaminata da influenze occidentali (soprattutto francese, italiana e americana) ha un nome ben preciso: yogashi. Tra i più popolari dolci yogashi c’è la kasutera, una leggerissima sponge cake di forma rettangolare simile al pan di Spagna ma con una struttura molto più compatta, pare sia stata importata dai mercanti portoghesi nel XVI secolo. Molto amato è anche il melopan un impasto aromatizzato e ricoperto da un sottile strato croccante di biscotto. Il melopan prende il nome dalla somiglianza che spartisce con i meloni Cantalupo, e può essere effettivamente aromatizzati al melone; esistono comunque numerose varianti, alcune delle quali includono ripieni al cioccolato, al caramello, alla crema pasticciera e ad altri gusti. Dalla tradizione italiana derivano invece le sata andagi: classiche frittelle modellate a forma di palla, che ricordano le nostre castagnole, tipiche della prefettura giapponese di Okinawa, devono essere croccanti all’esterno e soffici al cuore.