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Non si butta via niente: 9 piatti a scarto zero

di Francesca Feresin • Pubblicato 14 Luglio 2019 Aggiornato 16 Luglio 2019 14:04

Sempre più chef si impegnano per dare il buon esempio oltre al buon sapore in cucina: eccone 9 che cucinano a scarto zero.

Ogni grammo di carne, pesce e verdura è sacrosanto. È finito il tempo dello spreco: nulla va abbandonato, perché tutto può servire a conferire struttura, complessità e profondità ad una pietanza. usare le materie prime di stagione senza sprecare nulla Questa è adesso la filosofia di molti chef e ristoranti che usano le materie prime, rigorosamente di stagione, a tutto tondo, senza sprecare neppure un osso o una buccia. Del gambero la polpa è scottata o ridotta in tartare mentre i carapaci sono adoperati per una bisque, una maionese o una polvere dal sapore intenso di mare. Lo stesso vale per i pomodori, il maiale e tanto altro. Nove chef del panorama nazionale hanno così elaborato altrettanti prodotti, rigorosamente locali, per non sprecare e ottenere il meglio da ogni parte del prodotto.

  1. Carciofo.Il tre stelle Niko Romito, chef del ristorante Reale di Castel di Sangro in Abruzzo, esalta il carciofo come nessuno mai. Lo pone al centro del piatto, nella sua massima espressione. Usa al cento per cento tutto il carciofo, senza buttar via nulla, a dimostrazione che ogni parte di quest’ortaggio ha la sua nobiltà. Lo chef Romito lavora per strati, per sensazioni e aromi che si percepiscono solo attraverso tecniche studiate nel dettaglio. Il carciofo, coperto da pellicola, è cotto a vapore a 90 °C per poi essere laccato con una salsa, definita dallo chef vernice, ottenuta dalla riduzione dei gambi e delle foglie esterne dell’ortaggio in succo. Liquirizia e acciuga si percepiscono al gusto pur non essendoci. L’unico tocco esterno è dato da una concentrazione di rosmarino.
  2. Agnello.Nel nuovo ristorante romano Jacopa, all’interno dell’Hotel San Francesco di Trastevere, i giovani chef Jacopo Ricci e Piero Drago, propongono una cucina etica a scarto zero. La carne, così come il pesce e la verdura, arrivano integre dal fornitore e vengono adoperate a tutto tondo. Dell’agnello non si butta nulla: questo viene arrostito intero al forno, sporzionato e glassato con un fondo preparato con le sue stesse carcasse. Le interiora sono usate per condire un risotto preparato con il grano e servito in una ciotola a parte. Il cliente, dunque, vede arrivare un secondo composito: da una parte c’è l’arrosto con cicoria intera e in crema, dall’altra c’è il risotto di grano mantecato con le cervella dell’agnello e tutte le sue interiora. Un secondo stagionale, legato al territorio laziale, fatto di sapori veri e autentici contestualizzati in un’atmosfera sobria ed elegante.
  3. Crucifere. La giovane e promettente Alba Esteve Ruiz, chef d’origini spagnole ora residente a Roma, qualche anno fa elaborò un antipasto di sole crucifere, ognuna delle quali era trattata con una cottura e una consistenza diversa. Il cavolfiore era ridotto in crema profumata con senape in abbondanza; la verza viola era marinata sottovuoto con aceto, zucchero e vino bianco; il pak-choi, o cavolo cinese, era invece sbollentato e piastrato su un lato. E ancora le cime del cavolo romanesco erano lasciate croccanti mentre le foglie del cavolo nero trasformate in chips. Per concludere c’erano le foglie del cavolo di Bruxelles e la rucola lasciate al naturale. Una sola famiglia di verdure trasformata in un antipasto vegetariano complesso e dalle molteplici sfaccettature che in molti attendono di riassaggiare nel ristorante che la chef dichiara aprirà presto.
  4. Merluzzo. Al ristorante stellato il Tino di Fiumicino, lo chef Lele Usai sfrutta a 360° gradi, in un unico piatto, sia il merluzzo dell’asta locale sia la verza, riccia o rossa che sia. Come secondo piatto ai suoi clienti, nel periodo invernale, infatti lo chef propone il filetto del pesce appena scottato assieme a una crema di verza riccia, un gel acido di verza rossa fermentata e polvere della stessa. Accanto alla proteina c’è la costa della verza essiccata e fritta e arricchita delle medesime creme e polveri presenti sul pesce. E ancora, i nervetti del merluzzo sono serviti tiepidi in insalata con crauti leggermente piccanti. Per finire c’è un parallelepipedo di fegato di merluzzo impanato e fritto e alleggerito da un gel acido di limone e aneto.
  5. Parmigiano.Tra i signature dishes di Massimo Bottura, chef di uno dei ristoranti più apprezzati e noti del mondo, l’Osteria Francescana di Modena, compare Cinque stagionature di Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature (la foto in copertina). Proposto all’inizio della degustazione, questo piatto nasce in omaggio all’oro colato dell’Emilia Romagna, il formaggio che più di tutti gli stranieri invidiano all’Italia. Lo chef gioca non con un unico ingrediente, bensì con due: il parmigiano e il tempo. Lavora infatti con molteplici forme di diverse stagionature e latti per un risultato sconvolgente. C’è il demi-soufflé preparato con parmigiano reggiano stagionato 36 mesi, l’aria ottenuta con le croste del parmigiano 50 mesi, la spuma di parmigiano 24 mesi, la salsa di parmigiano 30 mesi e per ultima, a dare croccantezza, la galletta, sempre di parmigiano.
  6. Asparago.Il primo ristorante vegetariano ad avere aperto nella Capitale, il Margutta, propone di continuo declinazioni di una stessa verdura come antipasto o piatto principale. Nel periodo primaverile lo chef Mirko Moglioni si diverte con l’asparago che propone in più aspetti: sotto forma di carpaccio ripieno di stracciatella di bufala; alla Bismarck con uovo di quaglia fritto, parmigiano e burro fuso; in veste di flan; sottaceto e assieme a patate e tartufo nero in un tortino molto goloso. Crudo, cotto, arrostito, frullato e sottaceto, l’asparago racconta più lati di sé con semplicità e gusto.
  7. Rana pescatriceGiulio Terrinoni, chef del ristorante stellato Per Me, nel cuore di Roma non risparmia alcuna parte della rana pescatrice che, lui stesso definisce il maiale del mare. Come antipasto ai suoi ospiti, lo chef, propone più assaggi dello stesso pesce. Il fegato è adoperato per farcire più strati di pasta sfoglia appena caramellati con acqua di cipolla a ricreare una delle paste più amate della domenica, il diplomatico. La testa è cotta al vapore, spolpata, condita con aglio, finocchietto e scorza d’arancia, e compattata in forma cilindrica a ricreare una finta coppa di maiale. Il filetto è trasformato in porchetta perché condito con finocchio e rosmarino, arrotolato nella pancetta e servito con salsa di mele e funghi porcini.  Per scaldare il corpo, infine, c’è la trippa di rana pescatrice preparata alla romana con salsa di pomodoro, mentuccia e una spuma di pecorino. Si tratta di quattro rivisitazioni in chiave ittica della più verace e carnivora tradizione romana.
  8. Peperone.Una pasta golosa, intensa e profumata che racconta un unico ingrediente è la linguina del Pastificio Dei Campi in acqua di peperone arrostito di Cristina Bowerman, chef del ristorante Glass Hostaria di Roma. Da ormai molti anni, nel periodo estivo, la chef propone questo piatto nato per sbaglio durante una vacanza al mare. Arrostendo i peperoni in un forno non al massimo della sua forma, Cristina si accorse dell’enorme quantità di liquido vegetativo da loro stessi rilasciato e pensò bene di cuocerci la pasta. Dunque, dopo una leggera sbollentata in acqua, la pasta è risottata nell’acqua dei peperoni arrostiti appena profumata con uno spicchio d’aglio. In mantecatura questa è ultimata con coriandolo e alici di Cetara sottolio. Nel piatto la pasta è completata con una crema e una polvere ottenuta dagli stessi peperoni e crumble di pane di Lariano fritto.
  9. Piccione. Piatto storico del ristorante Metamorfosi di Roma è il piccione morbido e croccante. Lo chef Roy Caceres lo propone sempre nel suo ristorante variandone gli abbinamenti. Tra le prime rappresentazioni di questo nobile volatile si ricorda quella in cui la ferrosità della carne incontrava la dolcezza del fico e del foie gras. Il petto, cotto con l’intera carcassa in padella, era finito di cuocere in forno assieme alle foglie di fico per poi essere tagliato nel senso della lunghezza dopo un periodo di riposo. La coscia era impanata nel panko. Infine, tutte le frattaglie, ridotte a patè assieme a foie gras, cipolle rosse e vin santo, assumevano la forma di un finto fico e, rivestiti di gel del frutto stesso, erano accompagnati da un pan brioche estremamente aromatico. A pulire la bocca ci pensava un gel di zenzero e limone.