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Perché guardare il nuovo programma di Chef Rubio, Alla Ricerca del Gusto Perduto

di Marta Manzo • Pubblicato 27 Settembre 2019 Aggiornato 30 Settembre 2019 17:30

Alla Ricerca del Gusto Perduto su Nove è il nuovo programma di Chef Rubio: cibo, viaggi e nessun copione. Ecco perché ci piace.

Avete presente quando una persona vi dice “devo partire per girare il mondo e ritrovare me stesso“? Ecco, è esattamente quello che ha fatto – con termini un po’ più rudi – Chef Rubio per Nove,un tour che per ora ha toccato thailandia, cina e vietnam nel suo nuovo programma Alla ricerca del gusto perduto. Scomparso dalla tv, dopo le formule vincenti di Unti&bisunti prima e di Camionisti in trattoria dopo, presente un po’ a pezzi e bocconi sui social e meno nella vita pubblica, nella nuova serie il cuoco di Frascati dichiara senza mezzi termini di aver perso la passione per la cucina e l’amore per il proprio lavoro. E, per questo motivo, di aver bisogno di andare alla ricerca di qualcuno o qualcosa che lo aiuti a ritrovare se stesso e a riscoprire i sapori più autentici.  E così fa, volando dall’altra parte del mondo – “dove non ci conoscono” – in partenza per un lungo tour che nelle sue fasi iniziali lo sta portando in Thailandia, Cina, Vietnam.

La formula è limpida. In video c’è soltanto lui, che viaggia insieme al suo operatore Gabriele Efrati, spesso coinvolto nelle vicende di cibo e umanità in cui Gabriele Rubini si imbatte.  Le immagini, i colori, i volti, sono molto d’impatto, crudi, reali. Mai, però, quanto le storie degli ingredienti, dei piatti, legati alle tradizioni e alle culture degli angoli più veri di questi luoghi, che Rubio racconta senza alcuna pretesa di superiorità. D’altronde, e ce lo aveva dimostrato già in passato, non è il tipo da non sporcarsi le mani. Piuttosto quello che sente di doversi guadagnare il pasto che porta – come sempre avidamente – alla bocca.

Ecco spiegato allora come passi dalla thailandese Chiang Mai, tra visite ai monaci e incursioni al mercato locale per provare la Lou, la zuppa di sangue di maiale tipica della zona, ma poi finisca anche con i piedi ammollo prima nelle risaie, quindi a mangiare grilli fritti, poi nel fiume e nella foresta alla ricerca di rane, granchi e girini da cucinare insieme alla famiglia che lo ospita. O come si ritrovi prima al mercato galleggiante di Damnoen Saduak per provare il miglior pad thai del Paese e, per un colpo di fortuna, finisca invece a cenare in casa di una coltivatrice di jackfruit che non spiccica una parola d’inglese. O, ancora, come riesca a passare dalla calma del dim sum cinese alle tradizionali zuppe con cavallucci marini e altri rimedi per la fertilità, per il vigore, per la crescita dei capelli.

Il racconto è molto familiare, avvicina all’intimità dei luoghi più nascosti di Paesi lontani, al privato di famiglie disposte a raccontargli parte della propria quotidianità. Che sia l’aria di bravo ragazzo o la barba, ciò che colpisce di più è la totale mancanza di recitazione, un vantaggio che soprattutto le asiatiche sembrano gradire molto, nessuno gli chiude le porte in faccia, almeno finora. E c’è un aspetto che colpisce, proprio legato alle persone che incontra: disappaiono nella narrazione, come parti di un tutto più ampio, come elementi finali di una storia secolare fatta di utensili, di piatti, di rituali, di persone e convivialità.  È questo ultimo concetto quello su cui Rubio batte di più: mangiare insieme, un piacere che aveva perso e che sta riscoprendo in popolazioni che invece ne hanno fatto il proprio tutto, che ne rispettano la sacralità. Ciò che salta all’occhio rispetto alle produzioni precedenti, soprattutto la seconda con i camionisti, è la completa assenza di recitazione. Mentre infatti lì, più che in Unti&bisunti, la palese lettura di un copione arrivava fino allo spettatore, qui il ricorso a escamotage narrativi per arrivare a situazioni determinate è praticamente assente. E, quando c’è, non influisce sul risultato finale.

Non vogliamo azzardare confronti, ma in questo nuovo racconto qualcosa ci ricorda il mai troppo compianto Anthony Bourdain. Forse è un po’ più grezzo, ma per noi rimane comunque un gran complimento. È ancora presto, invece, per parlare di difetti. Per ora, ma può dipendere dal mood di chi guarda, ci azzardiamo ad anticipare che il rischio sia proprio nella formula ripetuta, che un giorno potrebbe stancare. Aspettiamo la prossima puntata.