8 curiosità sulla storia del vino secondo Roberto Cipresso
Roberto Cipresso, agronomo prestato al vino, inaugura con Federico Buffa su Audible il suo podcast sul vino, Divino. Ecco 8 curiosità in anteprima.
Suggella un affare, un’intesa amorosa in procinto di sbocciare, un’amicizia, una ricorrenza: in un calice di vino si mescolano tanti sentimenti, intenti e godimenti. Alla storia di questa bevanda nei secoli consacrata prima agli dei e poi alla celebrazione del mercato e dei consumatori di tutto il mondo, è dedicato il podcast Divino. Storie della storia del vino. Il Caronte che traghetta gli ascoltatori di Audible e Storielibere.fm lungo le leggende e le esperienze fatte attorno a viti, botti e cantine è Roberto Cipresso. Questo agronomo prestato all’enologia come lui stesso si definisce, ha concepito 20 episodi da 40 minuti l’uno, mescolando la Storia alle sue storie. Accanto al wine maker toscano c’è l’amico Federico Buffa, giornalista sportivo e grande appassionato di vini e degustazioni. Ecco alcune delle storie divine per comprendere meglio la magia del vino.
- Il vino sopravvive agli uomini.”L’ambizione di questo podcast è emozionare chi ascolta“, ha spiegato Cipresso. Il tipo di sentimento è simile a ciò che ha provato lui quando ha messo piede per la prima volta nella vigna di Giorgio. Questo anziano contadino toscano era riuscito a creare un vigneto in cui Merlot e Sangiovese convivevano pacifici e, pur avendo tempi di maturazione diversi, riuscivano a essere vendemmiati contemporaneamente. Quando il wine maker interessato a quel vigneto lo ha acquistato, Cipresso ha aiutato Giorgio a creare un vino unico che si chiama Eureka, in omaggio all’intuizione nata tra vigna e cantina che ha dato vita a bottiglie che non vengono messe in commercio, ma create solo nelle annate “giuste” e condivise con gli appassionati appartenenti alla ristretta cerchia di Cipresso. “Oggi questo Eureka è sopravvissuto a Giorgio e alla sua vigna. Il messaggio è che il vino sopravvive agli uomini“.
- Il 43esimo parallelo. Il mondo del vino ha iniziato a porsi nuove domande. In una degustazione alla cieca ci si inizia a chiedere: “Nuovo o vecchio mondo?” Uno dei fattori che fa discutere gli esperti è tutto ciò che succede sopra o sotto il 43esimo parallelo. “È quello su cui si trova la Georgia, Tiblisi, zona in cui è probabilmente nata la prima vite. È la linea immaginaria che ci porta in Oregon, dove sta nascendo un nuovo modo di fare vino. È anche lo stesso parallelo su cui si trova il mio Wine Circus, a Montalcino“.
- Il vino più importante dell’America Latina. Per Cipresso una delle storie più emozionanti della sua carriera di wine maker inizia in Argentina. “Nel 1995, orientandomi con una bussola e una mappa, sono arrivato sotto la Cordigliera delle Ande per cercare il vigneto che avrebbe prodotto i vini più importanti dell’America Latina: quelli di Altamira. La tradizione per gli immigrati italiani era quella di arrivare sul posto e, prima di costruire una casa con gli adobe (mattoni crudi di fango e tetto di lamiera), piantare l’albero di casa per placare la nostalgia. Pini e castagni per lo più, come quello che ho trovato in un vigneto abbandonato, sopravvissuto al deserto, accanto al quale scorreva un fiume. Il corso d’acqua permetteva al vigneto di respirare umidità nell’aria, ma era in letargo. Quando la strada è finita sono arrivato davanti a questo vigneto centenario a piede franco, che conviveva pacificamente con i castagni e i pini, letali per la vite. Questa e il castagno condividevano uno spazio molto prossimo, cosa quasi impossibile, e la vite viveva sotto la chioma enorme dell’albero. Sono sopravvissuti perché sono stati piantati nello stesso identico giorno. Ho chiamato il mio socio e gli ho detto: fidati, dobbiamo comprarlo subito. Quando 10 giorni dopo ha visto lo stato in cui versava il vigneto, mi ha insultato. Dopo 3 anni Wine Spectator ha dichiarato che da quel vigneto è nato il vino più importante della storia dell’America Latina: il Malbec Altamira del 1999. Le cose che emozionano sono quelle che scopri: seguendo l’istinto“.
- Il vino (religioso) durante il proibizionismo. Perseguitato dallo zar, Andre Tchelistcheff fugge in Francia dove conosce Georges De La Tour, proprietario della Beaulieu Vineyard in Napa Valley. Folgorato dalle sue idee, se lo porta in America. La leggenda vuole che Cencev sia stato l’unico enologo autorizzato a fare vino durante il proibizionismo perché destinato alle celebrazioni religiose. Grazie a questo permesso, ha bruciato sul tempo tutti gli altri produttori ed enologi, sperimentando e creando cloni di Cabernet Sauvignon e facendo sì che l’azienda potesse presentarsi sul mercato senza nessun competitor preparato sin dalla fine del proibizionismo. “Questo piccolo uomo, alto appena un metro e cinquanta, è un’icona per l’America del vino. Ma per me tutto questo resta una leggenda”.
- Le parole della grande signora del vino di Borgogna. Vino e donne è un connubio indissolubile. Molte di loro si sono dedicate alla produzione del nettare caro agli dei. Madame Leroy è tra queste. La grande signora del vino di Borgogna era solita dire: “‘Il più grande Pinot Nero è quello che non sa di Pinot Nero'”. Questa frase apre una parentesi profondissima sul terroir, riferendosi alla capacità camaleontica dell’uva, capace di dimenticarsi cosa è, abbandonando il proprio pedigree e diventando interprete di un luogo. La verità è che la Borgogna è il grande teatro del vino e il Pinot Nero è il suo grande attore drammatico, capace di annullarsi per raccontare il luogo in cui si trova“.
- Dal porno al vino. Dopo aver raccontato una donna del passato, Cipresso ritorna con la mente all’inizio dell’avventura enoica di Natalie Oliveros. Questo è il vero nome di una pornoattrice americana, conosciuta come Savanna Samson. “Lei è sposata con un mio carissimo amico, Daniel Oliveros, uno dei più grandi collezionisti di vini a New york, che da broker offriva ai grandi vip americani bottiglie impossibili da trovare. Lui riusciva a tirarle fuori all’ultimo momento dal suo caveau e attraverso dieci amici capaci di scovare queste rarità“. Quella di Natalie e suo marito era una vita “di grandi momenti, grandi ristoranti, jet set importanti. Tra uno show e l’altro, Natalie mangiava e beveva cose incredibili e impossibili. Quando è arrivato il momento di ritirarsi, lei ha visto due mondi davanti a sé: il mondo dell’hard, in cui avrebbe potuto lavorare come produttrice, e quello del vino. Si è messa a fare vino“. A metà degli anni Novanta Cipresso ha letto di questa decisione di Natalie in un’intervista. In quelle risposte la sua amica diceva che lui era il suo wine maker preferito. “Diceva che il suo sogno era fare un vino con me“. Quel desiderio è stato realizzato e il vino si chiama proprio così: Sogno 1 (da Cesanese), Sogno 2 (da Falanghina dei Campi Flegrei) e Sogno 3 (da Barbera). Prima è stata socia di Cipresso, poi ha aperto la sua cantina. Ripensando a quella esperienza, il wine maker dice: “Invece di sedurre col vino, è stata sedotta dal vino“.
- Il territorio è fondamentale. Dal momento in cui il vino è diventato uno status symbol, molte varietà autoctone sono diventate centrali per l’economia locale, dando un nuovo e differente senso al territorio. “Assaggiare un Barbaresco in un castello è diverso dal sorseggiarlo in un wine bar a Singapore“. Anche varietà minori, sommate a una storia particolarmente emozionante, danno un risultato diverso, che il calice da solo non possiede. hanno avuto un merito che di per sé non possiede. A Venezia c’è una storia simile. “Non che Venezia abbia bisogno di maggiore visibilità. Però grazie alla mia riscoperta del vitigno Dorona, ho fatto un vino nell’isola di Mazzorbo, vera culla della città. Non ha l’ambizione di essere il vino più intrigante del pianeta, ma ha reso Mazzorbo un luogo quasi più importante di Piazza San Marco, riportando a galla un pezzo di storia di questa città, che di fatto è nata dalla disperazione. Infatti, qui si rifugiavano i futuri veneziani in fuga dai barbari“.
- Un canguro provvidenziale. Il vino è anche ricco di storie divertenti, come quella confidata a Roberto dall’ex pilota di rally e caro amico: Miki Biasion. Durante un viaggio in Australia, la troupe Belle Epoque che documentava il gran premio australiano, dopo aver noleggiato una macchina e, dopo aver girovagato in lungo e in largo, per foto e riprese video, si ferma a mangiare in un’osteria. Terminata la cena, si rimettono in macchina e lungo la strada investono un canguro. Spaventatissimi, scendono dalla macchina e trovano l’animale apparentemente senza vita sul selciato. Gli mettono una giacca addosso: sul retro c’era il logo dell’azienda Belle Epoque. Scattano una foto e il flash risveglia il canguro, che inizia a saltare con la giacca addosso. Fugge via e, con lui, anche le chiavi della macchina. Li raggiunge la polizia, a cui tentano di spiegare l’accaduto a gesti, non sapendo una parola d’inglese. Le autorità li sottopongono al test alcolemico e li mette in galera per un giorno e mezzo. Poi sviluppando il rullino, dimostrano la loro innocenza. “Ma per un bicchiere di vino in più, queste persone si sono fatti un giorno in galera raccogliendo una storia davvero impossibile“.