9 cose che fanno arrabbiare gli italiani in pandemia
• 18 Febbraio 2021 10:56
Dopo un anno in pandemia, anche i più pazienti hanno iniziato a non sopportare più alcune cose: vi raccontiamo cosa ci fa arrabbiare delle nuove abitudini.
Che l’emergenza sanitaria abbia mutato praticamente tutte le nostre abitudini è un dato di fatto. Prima a causa del lockdown totale, poi per via delle varie restrizioni, in un anno abbiamo dovuto ripensare persino i nostri comportamenti in ambito gastronomico. Bei tempi quando le idiosincrasie si manifestavano per le urla dei bambini al ristorante o per un goccio di panna nella carbonara. Al momento i problemi sembrano essere ben altri. Con un pizzico di ironia, proviamo a elencare i motivi legati al cibo e alla pandemia, per cui gli italiani perdono facilmente la pazienza.
- Il (mancato) rispetto delle regole. Indossare la mascherina, mantenere la distanza, sanificare le mani. Nonostante il lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti, incredibile ma vero, c’è ancora gente distratta e si sprecano nei loro riguardi le occhiatacce, specie in supermercati o locali pubblici.
- Dover rispettare tante nuove regole. Allo stesso tempo, diciamolo, ci siamo davvero rotti le scatole di dover adottare attenzioni da sala operatoria anche per bere un caffè al bar. Paradossalmente siamo diventati insofferenti sia verso le regole, sia nei confronti di chi non le rispetta.
- I provvedimenti cervellotici. E sempre a proposito di regole, si dice che più appare ovvia e comprensibile una norma, maggiori siano le possibilità che essa sia osservata. Ma durante gli ultimi mesi ci siamo spesso trovati a dover rispettare indicazioni (apparentemente) arbitrarie. Le battute si sprecano, ad esempio, sul fatto che il virus sia pericoloso solo a cena, mentre a pranzo i locali possono restare aperti. E che dire degli inutili investimenti dei ristoratori, per plexiglass e altri accorgimenti, costretti comunque poi a sottostare alle limitazioni in base al colore della propria regione? Colore a sua volta determinato da una serie misteriosa e lunghissima di parametri… Insomma, l’indulgenza di imprenditori e clienti è messa a dura prova.
- Le file, ovunque. All’inizio è stato scioccante: vedere gente in coda per fare la spesa richiamava alla memoria scene viste per lo più nei documentari. Col tempo questa nuova normalità ha assunto contorni meno drammatici e, a pensarci bene, si tratta solo di spostare l’attesa per essere serviti all’esterno delle attività commerciali. Tutto giusto, ma la cosa ci provoca comunque fastidio. È roba da regime e tessera per il razionamento dei generi di prima necessità e no, non abbiamo alcuna voglia di abituarci.
- I supermercati sovraffollati. A rischio di apparire bipolari, dobbiamo ammettere che non siamo più a nostro agio nemmeno quando gli accessi non sono regolati. Nei supermercati sovraffollati siamo scostanti, facciamo giri lunghissimi per evitare le corsie più frequentate. E che nervi quando la gente si avvicina! Quasi quasi sono meglio le piccole botteghe, fa niente se c’è da fare la fila. O forse no.
- La scomparsa della pausa pranzo. Uno dei problemi causati dallo smart working è l’abbattimento dei confini tra ore di lavoro e vita privata. È difficile raggiungere un equilibrio nella gestione del proprio tempo e spesso finiscono per essere sacrificati o snaturati importanti momenti di stacco. Come la pausa pranzo ad esempio. C’è forse qualcosa di più triste che mangiare da soli davanti a un monitor? Sì. Farlo in videochiamata coi colleghi.
- Le disavventure con i delivery. Con i ristoranti chiusi molti hanno avuto modo di affinare le proprie tecniche in cucina. Ci sono dei piatti però che non si possono replicare in casa ed ecco che arrivano in soccorso le varie app di delivery. Non sempre però il servizio è impeccabile. Ritardi ed errori nelle consegne, mozzarella della pizza incollata al cartone, piatti shakerati durante il trasporto. E parte subito la battaglia a colpi di telefonate di fuoco al servizio clienti. Magari si guadagna uno sconto sul prossimo ordine, ma intanto la cena è rovinata.
- Imballaggi non ecosostenibili. Tra le conseguenze della pandemia più devastanti per l’ambiente, c’è senza dubbio l’aumento del consumo di imballaggi. Consegne e asporto incidono tantissimo, ma le soluzioni eco-friendly ci sono eccome! L’utilizzo scriteriato di plastica è davvero intollerabile e i clienti, sempre più sensibili ai temi ecologici, scelgono anche in base alla sostenibilità del packaging. Amici ristoratori pensateci!
- L’odore di disinfettante sulle mani mentre si mangia. Malgrado i tentativi dei produttori di camuffare e rendere più gradevole l’odore dei disinfettanti per le mani, inevitabilmente quando si mangia non è piacevole sentirlo. In particolare la soglia della tolleranza è ampiamente superata quando ci si trova a gustare del cibo di strada: gelati, supplì, tranci di pizza…Tutto inevitabilmente prende un fantastico e inebriante aroma di medicinale.