Marzapane (e gli altri): l’ondata di modernità che travolge Roma
Lorenza Fumelli ci racconta Marzapane, ristorante romano che sta contribuendo a rivoluzionare la scena enogastronomica della capitale.
Credo che la ristorazione romana stia vivendo una radicale trasformazione, in meglio. L’emergere di realtà giovani, innovative, con le idee molto chiare è in atto davanti ai nostri occhi. Aggiungo un finalmente. Mi vengono in mente i The Fooders con il loro concept di cucina di strada, Legs, con pollo in panini di qualità eccelsa. Mi viene in mente Trecca, il bistrot di cucina romana e vini naturali alla Garbatella. Epiro, il bar à vin – sempre organico – con cucina dell’ingrediente buona, estemporanea a piazza Epiro. Ma anche Barnaba, la Mescita, il Vigneto, Zia – lo stellato più in voga in Italia – Retrobottega, il nuovissimo Romané di Stefano Callegari. Potrei andare avanti.
E mi viene in mente Marzapane, oggi in zona Flaminio, che rappresenta il più verace esempio di tigna ristorativa che io abbia mai visto. La tigna di cui parlo è tutta nella persona di Mario Sansone, patron del locale, da anni alla ricerca della formula perfetta per il suo ristorante che solo recentemente sembra aver trovato.
Quando iniziò in zona Piazza Fiume, diversi anni fa, sembrava voler andare velocemente alla ricerca di stelle, con una proposta gastronomica alta e tutte le armi schierate sia in sala sia in cucina per ottenere risultati istituzionali. Già allora se ne parlava molto, ma la stella non arrivava. Arrivava invece un pubblico sempre più curioso che si sarebbe fidelizzato fino a formare un piccolo, compatto esercito di clienti sul territorio nazionale.
E come il mago continua a cercare gli ingredienti perfetti per la sua pozione magica, Mario ha cambiato cuochi, persone, ingredienti e location fino a liberarsi delle convenzioni che di fatto limitavano la crescita di qualcosa che stava andando da tutt’altra parte. Ed è arrivata la magia.
Oggi Marzapane è un unicum in Italia. Il ristorante è su due piani: nella parte alta ci sono i classici tavoli in stile trattoria-bistrot con la possibilità di ordinare alla carta o a menu degustazione, vini rigorosamente naturali. Sotto, in quello che sembra in ogni aspetto un sushi bar giapponese, c’è la cucina a vista con un bancone per 8/10 persone. Seduto in quella postazione privilegiata mangi quello che ti arriva e nel frattempo osservi la danza degli chef a 2 metri da te che svolgono le preparazioni per i piatti del ristorante e per quelli che mangerai lì.
Anche i ruoli degli chef sono particolari. A capo della brigata troviamo Francesco Capuzzo Dolcetta e Guglielmo Chiarapini (nella foto di copertina). In cucina poi è arrivato il braccio destro di Guglielmo, Andrea Bertolino, frontman al bancone come gli altri: tutti hanno il compito a turno di dominare la scena. Spiegano i piatti, servono, sparecchiano, chiacchierano con i clienti. In sala ho potuto godere della compagnia del bravo Stefano Cavaterra (responsabile di sala insieme a Manuel De Castro) ma lo staff è molto ampio, per il 90% impegnato durante il servizio ai tavoli del secondo piano.
Protagonista naturalmente il cibo. Da sempre Marzapane mantiene uno standard di ricerca alto, propone l’utilizzo di cotture e tecniche particolari come la griglia (a vista), light dry-aging, le fermentazioni, e si pone in linea con le tendenze più moderne della giovane cucina europea, di cui, azzardo, sono ad oggi tra i migliori esponenti in Italia. Gli ingredienti sono vari, dal pesce lavorato freschissimo, alla selvaggina, passando per carni e vegetali dei quali non si spreca niente. Quindi si mangia tanto quinto quarto, le amate/odiate interiora, che però sono rese accattivanti dalle mani esperte degli chef. Cosa che in Italia è stata glorificata dal bravo Diego Rossi di Trippa (Milano) e prima ancora dai ragazzi del Consorzio di Torino. Va detto.
La visita a Marzapane non è un suggerimento, è obbligatoria ad oggi per un gourmet che vuole osservare con i propri occhi dove sta andando la cucina e cosa sarà interessante seguire nei prossimi anni. Grazie anche a loro, Roma non è più solo la capitale delle trattorie strillone, ma sta diventando una piazza di cucine interessanti, moderne, intelligenti. E non potrei esserne più felice.