Torrone di Bagnara Calabra, l’unico con l’IGP
Il Torrone di Bagnara è l’unico Torrone IGP d’Italia: come viene fatto? Qual è la sua storia? Scopriamolo insieme.
Le vie del torrone sono infinite. Egregio rappresentante della creatività culinaria e della tradizione dolciaria made in Italy, questo dolce tipicamente natalizio ha davvero mille volti. Duro, morbido, con le nocciole, le mandorle, i pistacchi, le arachidi, a base di cioccolato: insomma, ce n’è per tutti i gusti. E le numerose varianti sono anche, nella maggior parte dei casi, simboli e peculiarità delle diverse regioni. Uno soltanto, però, ha conquistato (nel 2014) la certificazione IGP: il torrone di Bagnara Calabra, piccolo centro in provincia di Reggio Calabria.
Le caratteristiche
Il vero torrone di Bagnara è friabile e croccante, a base di mandorle siciliane non pelate tostate, albume, miele di agrumi, zucchero, cannella e chiodi di garofano in polvere. Esistono due versioni, identificate in primis dalla copertura: per la Martiniana è realizzata con zucchero in grani, per il Torrefatto glassato con una miscela di cacao e zucchero. Il cacao amaro è presente anche nell’impasto del Torrefatto, l’altra tipologia non prevede invece quest’ingrediente.
Perché è un torrone speciale
Al di là degli ingredienti, il torrone di Bagnara presenta altre peculiarità che lo rendono un prodotto unico. Rivelatore è il colore marrone scuro, definito a manco di monaco e derivante dalla metodologia di cottura. Quest’ultima avviene in una caldaia a fuoco diretto, con temperature molto elevate: siamo fra i 180 e i 200 gradi, per nessun’altra tipologia di torrone si arriva a tanto. Il processo è lungo, si raggiungono anche le 6 ore; obbligatorio è che il composto assuma, appunto, la sua tonalità tipica e una consistenza vitrea. In altre parole, si deve giungere al punto in cui il prodotto, eventualmente sottoposto a pressione, si frantuma: è la cosiddetta rottura vitrea. L’equilibrio dev’essere perfetto come la capacità di controllo dell’intera fase di cottura; c’è quel limite che non va superato, altrimenti il torrone è da buttare. Occorrono grande abilità ed esperienza, è questo il motivo per cui a Bagnara il maestro torronaio è considerato un gradino più sopra rispetto al maestro pasticcere.
La storia e la passione della Regina Margherita
Le origini del torrone di Bagnara risalgono al Settecento. Si dice che fu portato in Calabria da una nobildonna spagnola, ma questa potrebbe essere una semplice leggenda. Di certo, però, in quello stesso secolo i monaci dell’Abbazia di Bagnara presero l’abitudine di preparare un dolce molto simile all’attuale torrone. Verso la metà dell’Ottocento la famiglia Cardone avviò la prima fabbrica di torroni in Calabria; fu Francesco Antonio, in particolare, a modificare e perfezionare la ricetta dei monaci, dando così il via a una lunga storia di successi e conquistando addirittura il titolo di Fornitore della Real Casa di Savoia. La Regina Margherita era a dir poco ghiotta di questa specialità, esigeva che ce ne fossero grandi quantità a ogni banchetto ufficiale.
Anche per i piatti salati
Può sembrare strano, ma il torrone di Bagnara si rivela anche un ottimo ingrediente per arricchire e rendere più saporiti diversi piatti salati. Sbriciolato, consigliamo per esempio di provarlo con i risotti e le vellutate di zucca, a mo’ di topping; piccoli pezzi, inoltre, sono il tocco speciale per un tagliere di formaggi. E ancora, il torrone forma un sodalizio assai interessante con il pesce: gli chef Rocco Iannì e Daniele Lopez hanno ottenuto grandi consensi usando la granella per insaporire rispettivamente gli involtini di pescespada e il turbante di ricciola.