Non c’è sempre il tempo giusto per accomodarsi e consumare una pausa pranzo serena e rilassata. Siamo tornati a correre e, a volte, i morsi della fame si fanno sentire nei momenti più inattesi. Quando nemmeno il tavolino con sgabelli alti di un bar riescono a ricavarsi uno spazietto nello schedule giornaliero, bisogna correre ai ripari, e in fretta. Il cibo da strada, ricette pensate per essere consumate in velocità, camminando, o semplicemente in piedi, fuori da un chioschetto, è la soluzione. Ecco 10 must have per chi va di corsa e vuole placare la fame, stando in piedi.
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Panzerotto. Di gran moda anche a Milano, dove i chioschetti e le friggitorie si sono moltiplicati, il panzerotto è il simbolo dello street food pugliese. Ci sono posti, in Puglia, dove arrivano a misurare anche un intero avambraccio. Va mangiato bollente, rigorosamente in piedi, ma avendo cura di tenere il busto sporto in avanti di circa 30 gradi. In questo modo, quando il ripieno colerà da qualche falla dell’impasto – e arriva sempre, quel momento – non vi cadrà sui vestiti, ma andrà direttamente sul selciato. Attenzione a non confonderlo con la pizza fritta, se no poi San Nicola piange.
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Pizza al portafoglio. La pizza a portafoglio è un vero must, a Napoli. Si tratta di una pizza cotta al forno, piegata in quattro parti e avvolta da un foglio di carta. I chioschetti che la vendono non hanno posti a sedere: quindi si deve mangiare rigorosamente in piedi. I napoletani la usano come spuntino, ma anche come un intero pasto. Uno dei più validi riferimenti su Napoli è la pizzeria di via Toledo, ma preparatevi ad attendere: la fila che si crea ogni giorno metterebbe a dura prova anche San Gennaro.
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Trapizzino. Il Trapizzino è un angolo di pizza farcito con le ricette simbolo della cucina internazionale, italiana e romana. Lo ha inventato Stefano Callegari circa 10 anni fa. Ma se in principio si doveva organizzare un viaggio a Roma per godere di questo intrattenimento gastronomico da strada, oggi lo si può trovare anche a Milano, Torino, Firenze, Trieste e New York. C’è persino un punto vendita in Giappone. Il gusto da non perdere? Lo zighinì alla picchiapò, un concentrato di tipicità che piacerebbe anche a Santi Pietro e Paolo.
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Supplì e naturalmente Arancini. Rimaniamo nella Capitale e lasciamoci tentare da un altro mitologico street food: il Supplì. C’è chi, come Gabriele Bonci, lo ha elevato a forma d’arte, farcendolo di crbonara. Ma c’è anche chi, come la storica rosticceria Casa del Supplì, continua a vendere i classici, fatti con il sugo di rigaglie di pollo. Riconoscere un buon supplì non è facile, ma qui vi diamo qualche consiglio. In più, da non dimenticare i cugini isolani, gli Arancini – ma solo se siete a Catania, ché a Palermo diventano Arancine – hanno alcune sottili, ma capitali differenze. Prima di tutto, la forma, quasi piramidale. Poi il riso, che deve essere bianco e racchiudere il condimento al centro. Le varianti classiche sono al burro e accarne, come dicono i palermitani doc. Tuttavia, anche qui c’è chi ha lavorato per renderli più creativi e appetitosi, come quelle del Bar Vabres. Santa Rosalia, non volgere gli occhi al cielo.
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Panino ca meuza. L’Italia è una Repubblica fondata anche sul panino. Infatti, le varianti regionali da conoscere e assaggiare si sprecano. Ma in questo vademecum da foodie da strada, vogliamo ricordarvene uno molto speciale (così, se andate in Sicilia, anche d’estate, vi ricorderete di fermarvi a un chioschetto e provarlo). Si tratta del Panino ca meusa, panino con la milza. È nato più di un secolo fa ad opera dei macellai ebraici stabilitisi a Palermo. Non potendo percepire denaro per il proprio lavoro, a causa della loro fede religiosa, trattenevano come ricompensa le interiora del vitello: budella, polmone, milza e cuore (ma non il fegato, più pregiato). Dall’ingegno nacque questo panino farcito, che oggi è uno dei piatti più amati di Palermo. Parola di Sant’Agata.
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Piadina e Cassone. I piadinari sono tra le istituzioni della cucina romagnola. I chioschetti dove prenderle da portar via o consumare, rigorosamente in piedi, ai tavoli alti sono tantissimi sulla Riviera. Il disco di pasta può essere farcito nei modi più disparati, persino con la Nutella. Ma per i puristi, imperdibile la formula prosciutto crudo e stracchino. In più, sempre da mangiare in piedi, anche di corsa, da provare anche il Cassone. Qui la piadina viene usata come base per creare una specie di calzone a mezzaluna. La pasta cuoce solo all’esterno, mentre all’interno classicamente ci sono pomodoro e mozzarella o erbette. Anche qui, col tempo, le varianti si sono moltiplicate con il placet di San Gaudenzio di Rimini.
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Hot Dog (ma non solo). Alla parola Hot Dog ciascuno di noi ha sicuramente in testa l’immagine di un panino oblungo e morbido, spaccato al centro, farcito con un wurstel. Be’, anche se il concetto di base resta quello, attorno a un salsicciotto possono succedere tante cose diverse. Gli stili di Hot Dog nel mondo sono tantissimi, ma per la nostra missione cibo da mangiare in piedi, abbiamo scelto di raccontarvi del Corn Dog. Perché? Semplice. Non ha un panino attorno, non è ripieno di ingredienti con cui sbrodolarsi (anche se può essere arricchito da fette di bacon o jalapeño ripieni di formaggio) e si regge su un comodo stecco. È nato alla più grande fiera statunitense, la Minnesota State Fair, a metà dell’Ottocento. Oggi è un’istituzione, adottata anche da alcuni ristoratori milanesi. Quindi anche il Corn Dog è Sant’Ambrogio approved!
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Kebab. Il Kebab è un piatto a base di carne, tipico della cucina turca. Tutto il mondo oggi lo conosce grazie alle immigrazioni dal Medio Oriente. È fatto con pane azzimo, carni ovine o bovine, verdure, salse varie. Per i più temerari, va farcito di cipolla e salsa piccante. Qui vi diamo qualche consiglio per riconoscere un buon kebab, ovunque voi siate. Con buona pace di San Lorenzo, patrono delle arti culinarie.
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Vin Brulé. Il Vin Brulé è una bevanda calda e aromatica ma, al contrario di quello che si può pensare, non è un’invenzione dei Paesi nordici. Infatti, le sue origini risalgono all’antica Grecia. Ripreso dai romani, ne troviamo traccia anche nel De re Coquinaria. Oggi è la bevanda simbolo dei mercatini di Natale, ovunque essi si tengano, da Bolzano a Canicattì, il chioschetto che vende tazze di Vin Brulé deve esserci. Altrimenti il Beato Enrico da Bolzano, patrono della città, si arrabbia.
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Gelato. Infine, il gelato. Il cono da passeggio è lo strumento che può mettere a dura prova la pazienza di ogni buon degustatore. Più instabile della comoda coppetta, offre però il conforto del dolce carboidrato alla fine delle creme e sorbetti di frutta posti in cima. La parola è intraducibile e ormai usata in tutto il mondo, America compresa. Niente più ice cream, solo gelato, per tutti: che Sant’Onorato, patrono dei pasticcieri, vi assista.