Caviale vegano: la nuova frontiera del lusso
Avete mai sentito parlare del caviale? Certo, direte, ma forse non sapere che esiste anche la versione vegana. Ecco di cosa si tratta.
Sembra proprio che la nuova firma della ristorazione di lusso sia avere in menu un bel servizio di caviale vegano. Come spiega un articolo di Eater, negli ultimi anni il crescente interesse verso i cibi a base vegetale ha investito non soltanto i ristoranti e i commensali vegani, ma anche la cucina più raffinata. E cosa c’è di più raffinato, pignolo, lussuoso, del caviale? Se per anni tante persone hanno dovuto fare a meno – per scelta o per economia – di queste piccole uova sferiche di un certo tipo di storione, servite con un cucchiaio di madreperla, oggi, invece, la nuova frontiera potrebbe essere diametralmente opposta. Con una bella degustazione di caviale vegano ad alzare le quotazioni del locale. E il tutto grazie a un ingrediente della tradizione giapponese: il tonburi.
Per fare un esempio, tra quelli che Eater cita, c’è l’Eleven Madison Park. Nel suo servizio ha aggiunto a un menu degustazione da 335 dollari anche un caviale di semi di tonburi, involtini di lattuga (al posto dei blinis) e creme fraiche vegana. Per farne un altro, già più indietro nel tempo e sempre citato dal sito americano, c’è il PYT di Los Angeles, che già nel 2017 aveva servito il tonburi insieme a mais, crema di anacardi e capperi. Tradizionale condimento della Prefettura di Akita, in Giappone, il tonburi è conosciuto come caviale di terra o di montagna. Sono semi della bassia scoparia, un arbusto perenne, con un diametro di circa 2mm e un colore grigio-verdastro. Che, una volta bolliti e lucidati, somigliano molto al loro omologo di derivazione animale, perlomeno nell’aspetto. Di caviale in chiave vegana, in realtà, esistono anche altre varianti, tra cui molto conosciuto è quello di alghe.
Si tratta dello stesso – di una estrema qualità danese – che la chef Amanda Cohen del Dirty Candy (racconta ancora Eater) ha deciso di servire per il menu di Capodanno in single player. Tonburi e caviale di alghe sono, insomma, già conosciuti da tempo come alternativa. Il punto, però, è che non sono davvero caviale. La questione, come per tanti altri piatti vegetariani e vegani, rimane la stessa: perché si preme tanto per presentarli come non fossero tali? I nomi spesso scimmiottano piatti e ingredienti di un regime onnivoro. E adattarli, veganizzarli, è quasi sempre un punto a sfavore. Insomma, perché chiamare il tonburi caviale se caviale non è? La domanda rimane. In generale, anche per il fine dining. Che se, da un lato, alcuni chef stanno facendo lo sforzo di contestualizzarne gli ingredienti, dall’altro, altri colleghi hanno deciso di fare esattamente il contrario. E di servire il caviale finto esattamente in maniera tradizionale.