Vita da chef: 5 motivi per cui chi lavora nei ristoranti è stressato
Lavorare nella ristorazione non è mai stato rilassante, ma con il Covid il malessere di chef e personale di cucina è peggiorato.
Che lavorare nella ristorazione fosse stressante si sapeva già prima del Covid, la pandemia ha, però, decisamente esasperato la situazione. Imprenditori, chef, personale di cucina e di sala soffrono sempre più di veri e propri disagi psichici, tanto da spingere l’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto e l’Ordine degli Psicologi del Lazio a impegnarsi congiuntamente in uno studio specifico sul fenomeno. A supportare l’indagine, tradotta in un e-book consultabile liberamente, è stato il programma internazionale 50 Best For Recovery, promosso dal The World’s 50 Best Restaurants. L’indagine, a dire il vero, è iniziata nel 2019, ancor prima che incertezze e chiusure forzate, investissero il settore. A rispondere ai test sono stati operatori che ricoprono vari ruoli, ma soprattutto chef-patron: il 54,45% di loro ha riscontrato peggioramenti della qualità del riposo notturno, ansia (40,54%), tristezza (38,73%) e isolamento sociale (34,90%). Tutti questi disturbi si aggiungono agli altri disagi abbastanza tipici del mestiere, da quelli di carattere alimentare ai problemi muscolo-scheletrici. Insomma, un quadro clinico tutt’altro che invidiabile, che ha delle cause ben precise. Ecco dunque le cinque principali preoccupazioni che letteralmente tolgono sonno e serenità agli chef.
Il turn over del personale
Già prima della pandemia, il timore di perdere le migliori risorse in brigata era percepito come uno dei peggiori fattori di stress per un ristoratore (80,18%). Con il Covid, la situazione si è clamorosamente aggravata: la difficoltà nel reperire personale specializzato in questo settore è ormai diventata drammatica normalità.
Equilibrio tra vita lavorativa e vita privata
Per il 55,85% degli operatori della ristorazione coinvolti, quello di conciliare casa e lavoro è una delle principali difficoltà, che aumenta con l’allargarsi della famiglia. La Chef Iside De Cesare de La Parolina di Trevinano (VT) ha risolto costruendo casa e ristorante nello stesso posto, ma la sua soluzione, decisamente eccezionale, non è praticabile dalla gran parte dei colleghi, costretti a dedicare troppo poco tempo agli affetti.
Orari di lavoro
C’è, poi, il tema degli orari di lavoro, criticità segnalata dal 54,95% dei rispondenti. Avere una vita oltre il lavoro è un’utopia, specie per chi, come Cristina Bowerman, oltre a vestire i panni dello chef è anche imprenditrice. Difficile staccare realmente una volta chiuse le porte del locale. La soluzione condivisa sembra quella di ridurre i turni a 8 ore continuative di lavoro, magari concedendosi non uno ma due giorni di riposo settimanale.
Carichi di lavoro e abusi
Il 54,05% degli intervistati ha definito il proprio lavoro usurante, fisicamente e umanamente, con una previsione di peggioramento dei sintomi all’aumentare degli anni di servizio. Carla Palmarini, il medico del lavoro che è intervenuto nello studio ha, inoltre, acceso i riflettori sul fatto che molti lavoratori della ristorazione, adottano un’alimentazione scorretta, fanno abuso di alcol e perfino uso di sostanze psicoattive, teoricamente propedeutiche ad affrontare turni massacranti.
Deterioramento del rapporto con i clienti
Il post-pandemia ha portato anche delle criticità di rapporto fra ristoratori e clientela. I primi lamentano la difficoltà di far rispettare le regole stringenti, come, per esempio il controllo del green pass, che fanno nascere incomprensioni e attriti. “Il cliente dimentica che ci sono regole da rispettare, che non imponiamo noi”, si legge nello studio. E ancora: “A volte i clienti pensano di poter fare qualsiasi cosa perché pagano, nel frattempo si genera stress perché si cerca di fare tutto per accontentare tutti”.