Perché la corallina è il salame di Pasqua?
A Roma non è Pasqua senza la corallina, il salame consumato a colazione per il giorno di festa. Ma da dove viene questa tradizione?
La corallina è un salame di origine contadina dell’Umbria, per l’esattezza della città di Norcia e fin dal Medioevo si consuma tradizionalmente a Roma per la colazione di Pasqua. Col passare del tempo, infatti, è stata soprannominata il salame di Roma. Il nome deriva dal corallo budello che solitamente si usa per avvolgere le carni. Il corallo budello gentile è il primo tratto del colon del maiale, grazie al quale l’impasto formato da carne magra e parti grasse del suino si mantiene a lungo, senza che si alterino le proprietà organolettiche. In passato, la corallina veniva realizzata nei laboratori solo prima della festa di Pasqua, mentre oggi questo particolare salame si mangia in ogni occasione e si abbina bene con un vino bianco spumante o con un rosso dai sentori speziati come il Syrah. Ma come nasce l’usanza di mangiarlo proprio il giorno di Pasqua?
La tradizione della corallina per la colazione di Pasqua
Le ricette tipiche della Pasqua variano molto da Nord a Sud Italia. Se da una parte, per il pranzo l’agnello o l’abbacchio sono i più gettonati in tutta la Penisola e su molte tavole non possono mancare le uova sode, dall’altra nel Lazio e nel Centro Italia è molto diffusa la tipica colazione salata di Pasqua. In Umbria, terra di origine della corallina, questo prodotto era consumato tipicamente come antipasto, ma da quando a Roma, anticamente, se ne è diffuso il consumo, è nata l’usanza di mangiarlo ogni anno, in occasione della mattina di Pasqua, insieme alla pizza al formaggio, accompagnata da un bicchiere di vino.
Come è fatta la corallina?
L’aspetto della corallina è facilmente riconoscibile dalla maglia fine e dai cubetti grandi e bianchi di lardo, distanziati tra di loro. Il salume si prepara con la carne più magra del maiale, ovvero le spalle e i pancettoni, lavorata in un impasto a cui si unisce del lardo a cubetti aromatizzato con sale e pepe. Viene insaccata nel budello naturale per lasciarla stagionare da tre a cinque mesi. La tradizione originale prevede che la stagionatura avvenga in un luogo ben areato e riscaldato tramite una stufa a legna. In alcuni casi, si procede anche con un’affumicatura con bacche di ginepro. Il gusto che si ottiene con questa procedura è dolce e corposo e il prodotto risulta privo di glutine e lattosio.