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Viaggiare mangiando: 5 borghi dove scoprire il cibo delle Langhe

di Alessio D'Aguanno 8 Aprile 2022 11:00

Quando viaggiate seguite lo stomaco? Qui vi parliamo di 5 borghi nelle Langhe in cui scoprire le tradizioni enogastronomiche della zona.

Viaggiare fa spesso rima con mangiare. E se in tante gite fuori porta si programma già in anticipo la tappa gastronomica del pranzo o della cena, è altrettanto risaputo che molti food lover organizzano viaggi alla scoperta delle tradizioni gastronomiche di un luogo. O, per dirla come la Michelin, per ristoranti che valgano il viaggio. E quindi in questa rubrica andremo alla scoperta dei borghi italiani e di quello che essi possono offrire, cinque mete alla volta, a livello storico, culturale ed enogastronomico. La prima tappa? Le Langhe, con le loro meravigliose distese erbose, i prestigiosi vigneti, le sempre più frequenti installazioni artistiche e la loro storia, ancora ben visibile passeggiando per le stradine dei borghi di questa zona del Piemonte.

Garessio

Un tempo la sua piana era ricca di querce, da qui la probabile etimologia di garriguo, ovvero campo coperto di querce. Abitato già dagli uomini preistorici, il comune di Garessio è stato riconosciuto Città nel 1870 dal re Vittorio Emanuele II. Da vedere vi sono il ricetto, risalente al 1100 circa, di cui resta qualche traccia nelle porte di accesso, le chiese, in particolare Santa Maria Extra Moenia – la più antica del paese, con un campanile in stile romanico-gotico – i ruderi del castello fatto ergere nel XII secolo, la medievale Torre Clocharium, il gruppo di case raccolto sotto la collina del castello Bricco, e, non appena sarà pronto, il ponte disegnato da Giorgetto Giugiaro che qui è nato. Da mangiare? Indubbiamente la polenta saracena, con patate, farina di grano saraceno e un condimento a base di panna, funghi e porri, ma anche le ricette a base della castagna gabbiana anche nota come garessina, senza dimenticare i dolci garessini a base di nocciole e cacao. Qui nasce anche una delle acque oligominerali più conosciute in Italia: la San Bernardo, che sgorga a 1300 m di altezza dalla sorgente Rocciaviva e che è commercializzata dagli anni ’20.

Monforte d’Alba

Monforte d’Alba prende il suo nome dal nome del colle Mons Fortis sul quale sorse un castello nell’Alto Medioevo. Di origine neolitica (10.000-3.500 a.C.), nel corso della storia il borgo fu prima espugnato dagli armati inviati dall’Arcivescovo di Milano e poi, dopo secoli, annesso al regno di Piemonte e di Sardegna. In una visita all’interno, non si può pensare di non visitare la Piazza d’Assi, un tempo teatro del mercato e pavimentata in assi di legno, la Torre Campanaria, ultimo rudere rimasto della chiesa parrocchiale di Santa Maria, la meridiana dipinta nel 1834, i due oratori di Sant’Agostino e di San Bonifacio e quello di Santa Elisabetta e, durante la rassegna musicale Monfortinjazz di giugno-luglio l’Auditorium Horszowski. E di cosa andare alla ricerca durante una gita in questo paese? Dei piatti classici di queste zone: pasta fatta in casa, ricette con il tartufo bianco d’Alba, fritto misto alla piemontese, vitello tonnato, coniglio alla langarola con i peperoni, bollito misto, ma anche la fonduta e la bagna càuda della vicina Valle d’Aosta e, per spostarci sulla pasticceria, bonèt, torta di nocciole e paste di meliga con zabaione.

Neive

Dal nome della nobile famiglia romana gens Naevia, che qui fu proprietaria dei terreni, Neive è un piccolo borgo confinante con Barbaresco e situato nei dintorni di Alba. Parte della via Aemilia Scauri costruita nel 100 a.C., fu soggetto alle invasioni barbariche, contestato tra Alba e Asti, poi passato ai Visconti, quindi al Re di Francia, all’Imperatore Carlo V, a casa Savoia, e all’impero napoleonico con la Rivoluzione Francese. Oggi si apprezzano i resti della torre romanica e della sacrestia di un monastero erto in località Santa Maria del Piano, la parte storica del borgo che circonda il ricetto, la dimora settecentesca dei Conti di Castelborgo e l’arciconfraternita di San Michele, opera dell’architetto neivese Giovanni Antonio Borgese, la trecentesca Torre dell’Orologio e la quattrocentesca Casa Cotto, la Torre del monastero e la cappella Riccardi Candiani. Anche in questo caso, non si può fare a meno di assaggiare i piatti della tradizione langarola, tra bagna càuda, coniglio al civet, tajarin e fonduta al tartufo, da accompagnare con il Barbaresco, con il quale si realizza un salame dolce e profumato al vino.

Mombaldone

Mombaldone, perché anticamente la collina su cui stavano gli otto mansi del monastero di San Quintino di Spigno si chiamava Mons Baldus. Di dominio longobardo nel settimo e ottavo secolo d.C., Mombaldone cresce grazie soprattutto al marchese Enrico IV Del Carretto, prima di passare nelle proprietà dei Savoia e di essere devastato con il passaggio delle truppe napoleoniche a fine 1700. Unico borgo della Langa Astigiana ancora cinto delle mura originarie, è unico nelle sue passeggiate, nell’antico borgo castellano di carattere medievale, nella Porta d’ingresso al ricetto, nell’Oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano, nella chiesa parrocchiale di San Nicola, e nel Castello (XIII-XIV sec.), parzialmente demolito nel 1637 e nel palazzo detto la Fortezza. Da assaggiare assolutamente ci sono il salame locale Bichiré, i ravioli del plin e, in particolare, uno dei secondi tra montone grasso arrosto e capretto di Langa, entrambi caratteristici del borgo, o i più tradizionali trippa o bollito in salsa verde, prima di terminare con la locale robiola di Roccaverano.

Verduno

Il suo nome dovrebbe derivare dal celtico verdun, con significato di collina fertile/fiorita. Questo borgo, di soli 538 abitanti, si sviluppa attorno al castello di difesa costruito in epoca medievale, che nel corso del tempo è diventato un albergo-ristorante, con opportunità di fare visite con degustazione in cantina. A metà strada tra Alba e Cherasco, Verduno si fa apprezzare anche per il Belvedere, punto di vista privilegiato dove poter osservare lo scenario circostante, per la parrocchiale in stile barocco, per la piazza erbosa, accessibile solo a piedi da Piazza Castello, per l’installazione Matite Colorate all’inizio di un vigneto ma, soprattutto, per il Pelaverga Piccolo, un vitigno autoctono, da cui si ricava il Verduno Pelaverga, vino DOC prodotto anche nei comuni di La Morra e Roddi d’Alba. Verduno è anche uno degli undici comuni in cui si produce il Barolo. Cosa si mangia a Verduno? Tonno di coniglio, lumache, ravioli del plin, tajarin, coniglio al forno, guancia di maiale e, infine, panna cotta, bonèt e torta di nocciole.