PizzAut arriva fino dal Papa: intervista a Nicola Acampora
Intervista a Nico Acampora, fondatore di PizzAut, la pizzeria gestita da ragazzi autistici che ha servito la pizza al Papa.
Amata sorella acqua e farina di grano di terra, che tutto sostenta e governa, una base rossa come il fuoco, raggiante e che ci illumina. E poi mozzarella e patata bianca come la luna, pomodorini pachino gialli e rossi come il sole e le stelle, chiare, preziose e belle. Sopra, una spolverata di curcuma e pepe nero, i fratelli vento e tempo. Cantico delle Creature è la pizza che i ragazzi di PizzAut hanno preparato e consegnato in udienza privata a Papa Francesco. L’hanno scelta con un appello su Facebook, mixando tra loro le risposte ricevute dagli utenti e realizzando così una pizza rappresentativa dei propri valori. Sì, perché PizzAut è la prima pizzeria (a Cassina de’ Pecchi, Milano) gestita da ragazzi autistici. Ed è già da qualche anno che Nico Acampora, papà di Leo, sta costruendo questo grande progetto. Di inclusione sociale e un modello che offre lavoro, formazione e dignità.
Nico, quando e come nasce PizzAut?
Nel 2018, Leo aveva 9 anni. Quando mi era stata consegnata la sua diagnosi aveva 2 anni e mezzo, sono svenuto: avevo capito che le progettualità per il futuro non esistevano. A un certo punto, di punto in bianco, una notte sveglio mia moglie – infermiera, doveva alzarsi alle 5 e mezzo – e le dico: “Dobbiamo fare una pizzeria per ragazzi autistici“. Al mattino dopo avevo già scritto il progetto.
Perché proprio la pizza?
Con un bimbo autistico fai fatica a uscire. Tutti ti guardano male, sfarfalla, urla, ha selettività alimentare; è difficile trovare amici, ha comportamenti bizzarri e si sente strano anche lui. Noi avevamo iniziato a invitare gli amici a casa nostra, per fare in modo che noi adulti vedessimo adulti e che anche i bimbi potessero stare a loro agio. Quindi abbiamo semplicemente cominciato a fare la pizza a casa. Leo si divertiva: l’acqua, la farina, scopriva gli elementi, l’autonomia, la coordinazione. Ho pensato: “Se ci riesce mio figlio a 8 anni, a livello semplificato e a casa, secondo me ci sono persone, ragazzi, adulti, che possono farlo professionalmente“.
E quindi come hai trovato i ragazzi?
Da questo punto di vista i social hanno aiutato molto. Alcuni li ho conosciuti tramite questo canale, perché io non conoscevo adulti autistici, ma soltanto bambini. I servizi che frequentavo con Leo sono divisi per età, quindi mi era difficile accedere diversamente.
Come avete cominciato? Dove hai trovato le risorse?
Ero andato in una banca per chiedere un finanziamento e il direttore mi disse: “Il progetto è bellissimo, ma nessuno le darà un euro“. Lì ho iniziato con il crowdfunding. L’altra parte, però, l’ho trovata in maniera più originale. Cercavo ristoranti e oratori che ci ospitassero, avevo informato pizzaioli e camerieri, all’inizio eravamo lì durante il giorno di chiusura. Dopo un primo lunedì con 600 prenotazioni, uno di loro ci ha fatto fare serate per 4 lunedì sera consecutivi. I ragazzi allora non sapevano fare nulla, avevano volontari che li seguivano come ombre e pizzaioli neurotipici che li aiutavano, perché non erano in grado di essere autonomi.
Galeotto, poi, è stato un provino in tv.
Dopo qualche serata mi chiama la redazione di Tu sì que vales e mi dice “vorremmo ospitarvi per un provino“. Io neanche sapevo cosa fosse questo programma, ho scoperto dopo che si trattava di un talent. E ho chiesto all’autrice: “noi che dobbiamo fare?” Lei mi ha risposto: “Secondo me uno che pensa come fai tu è una persona che vale, vieni a raccontarci il tuo progetto“. Vado a fare il provino e va molto bene, a un certo punto mi chiamano per andare in trasmissione. Andiamo con i ragazzi e io racconto il progetto. E facciamo 5 milioni di telespettatori, il 100% dei voti del pubblico e dei giudici. Siamo in finale automaticamente. Da quel momento non mi cerco più i ristoranti, sono loro che cercano me. Le serate si intensificano e i ristoratori ogni volta fanno una donazione a PizzAut, dandoci le risorse per aprire il nostro locale.
Che vive un’apertura veramente travagliata.
Nel 2020 si ferma tutto con il lockdown. Mi chiama uno dei ragazzi e mi dice: “Morirò di Covid senza aver mai lavorato“. Così penso al PizzAutobus, si fa l’asporto con un truck food. Il primo ce lo ha realizzato un’azienda di Torino, ha praticamente scommesso su di noi, non c’erano risorse per pagarlo. Invece è andata benissimo, ci abbiamo fatto tutta la pandemia. Andavamo ogni giorno davanti a un’azienda diversa, facevamo le pizze là fuori. Poi lo abbiamo messo nel parcheggio del nostro ristorante, che non era ancora aperto, e abbiamo cominciato a lavorare lì. Con le persone che mangiavano nel proprio portabagagli.
Si tratta dello stesso che ho visto a piazza san Pietro?
Sì, dietro al doppio colonnato, dove lo abbiamo piazzato e i ragazzi hanno preparato e poi consegnato altre pizze calde ai senzatetto che vivono da quelle parti.
Facciamo un passo indietro, parliamo della formazione dei tuoi ragazzi.
C’è una prima fase, insieme a psicologi ed educatori, per individuare la mansione più adeguata per ciascun ragazzo che inseriamo. Serve soprattutto a trovare il modo per farlo sentire più autoefficace e in equilibrio con il mondo. Questo perché alcuni hanno più difficoltà a toccare gli impasti, mentre altri più difficoltà a interfacciarsi con le persone.
E ora torniamo al locale: il 1 maggio 2021 riuscite finalmente a inaugurare.
Il taglio del nastro lo ha fatto la Casellati (presidente del Senato, ndr). Sono 300 metri quadri interni, più 400 circa di giardino. Circa 100 posti in sala e 150 fuori. Ce l’hanno costruito gli amici della Mac Costruzioni, ci hanno messo un amore e una passione incredibile, seguendo tutti i suggerimenti. Si sono veramente impegnati, è bello e funzionale, con tante impiantistiche d’avanguardia.
Per esempio?
L’impianto di aerazione è importante e sovradimensionato. Questo perché a molti ragazzi gli odori forti danno fastidio. Così come i rumori, per cui non abbiamo un macinacaffè e serviamo solo cialde di altissima qualità. Le luci, poi, non fanno coni d’ombra. E i tavoli sono stati realizzati da un giovane artigiano con incavata una linea rossa, che serve come zona friendly in cui servire. I ragazzi non considerano il cliente, ma il tavolo, per cui poggiano i piatti all’interno di quella linea rossa. Se la sorpassano vuol dire che hanno cominciato a considerare anche il cliente. Oggi ti servono davanti, a meno che il tuo tavolo non faccia casino.
Il forno non è il classico a legna.
Abbiamo scelto un forno tunnel, di quelli a nastro, le pizze entrano ed escono. Il rischio di dimenticarle in cottura era troppo altro, ne abbiamo bruciate a centinaia. E, per un forno classico, serviva l’aiuto di un pizzaiolo neurotipico. Finché non abbiamo trovato questo. Ora lavorano in massima autonomia, le pizze escono dall’altra parte da sole, quindi non c’è bisogno.
E perfino le brocche sono molto particolari.
Le chiamiamo le brocche della dignità, perché quando cadono non si rompono. Non sono in vetro, ma nemmeno di plastica. Sono in polipropilene infrangibile, nel rispetto dell’ambiente. Ci costano parecchio, ma sono in un materiale indistruttibile.
Che mi dici dei colori.
I colori sono pochi: legno, bianco, nero e rosso PizzAut. Il codice colore è fondamentale per i ragazzi, il cliente in realtà neanche se ne accorge. Per esempio, loro sanno che la Coca Cola zero va nel bicchiere nero, mentre quella normale va nel bicchiere bianco. Così come il caffè decaffeinato ha il piattino rosso, mentre quello normale bianco.
Chi lavora da PizzAut?
Ora ci sono 3 pizzaioli, i due Matteo e Leonardo, che è cameriere e pizzaiolo quando serve. In sala, poi ci sono 7 camerieri e Francescone, specializzato barman. La formazione è comune, tutti sanno fare tutto. Poi, in base alle caratteristiche, si specializzano. Ora ne stiamo formando 12, sia per le pizze, sia come addetti sala. Se prima lavoravamo con l’aiuto dei pizzaioli e del personale dei locali, oggi abbiamo una convenzione con la fondazione Mazzini che gestisce l’istituto alberghiero e facciamo formazione con loro.
Tu offri un contratto a tempo indeterminato.
Ce l’hanno già i due pizzaioli. Entro maggio, quando festeggeremo un anno, vorrei assumere Lollo, il cameriere anarchico. Lo chiamo così perché gli dici le cose e poi fa come vuole lui. Per Gabriele, invece, vorremmo far scattare l’assunzione, ma solo dopo la sua laurea in Storia, quando deciderà cosa vuole fare davvero.
Qual è la cosa di cui vai più orgoglioso?
Sono aumentate le competenze, la loro autonomia. Nessuno di loro usava, per esempio, i mezzi pubblici e ora almeno quattro vengono a lavoro da soli. C’è Leonardo, per esempio, che lo racconta a tutti con orgoglio: “Io faccio 3 fermate di metropolitana da solo“. E poi i valori, quelli che difficilmente trovi nei servizi. Le pause pranzo in cui sono tutti insieme, ormai complici, le esperienze uniche che stiamo e stanno vivendo. I viaggi in giro per l’Italia, prendendo l’aereo per la prima volta, soggiornando in albergo per la prima volta.
La dici anche a me quella frase della psicoterapeuta che seguiva tuo figlio?
La racconto sempre a tutti. Mi disse: “Acampora, lei è il solito papà frustrato che non si arrende alla disabilità di suo figlio e si inventa progetti irrealizzabili”.
E Leo che ne pensa di questo progetto irrealizzabile?
Leo oggi ha 13 anni e non è ancora felice di tutto questo. Non si relaziona con gli altri, preferisce stare da solo con papà. Però io dico sempre che pensando al suo futuro mi sono imbattuto nel presente di altri ragazzi. E quindi vado avanti a costruire, per lui e per tanti altri Leo.