I racconti del Professore: Stazione Vucciria a Finale di Pollina
Siamo stai a provare la nuova apertura più interessante dell’estate: Stazione Vucciria a Finale di Pollina, Palermo.
La notizia gastronomica dell’estate è stata lo sbarco in Sicilia di Kobe Desremaults: Stazione Vucciria, il ristorante a Finale di Pollina, ad una ottantina di chilometri da Palermo. Dovrei cominciare a parlare del fatto, dell’esperienza a tavola, ma sarebbe inopportuno farlo senza spendere il giusto tempo per chi ha portato Kobe sin lì.
Si chiamano Franco Virga e Stefania Milano, coppia nella vita e nel lavoro, hanno fondato una decina d’anni fa il gruppo che porta i loro cognomi, Virga e Milano, e in poco più di un lustro hanno stravolto la percezione della ristorazione a Palermo (e ora anche fuori) con piglio coraggioso e illuminato. Un passato di successo nel campo della moda, un grande amore verso la cucina e la ristorazione, una progettazione, lei dietro le quinte, lui vulcanico e istrione in prima fila, nata con il Gagini Social Restaurant, nel cuore della Vucciria. Ho visto le foto della strada su cui si affaccia il ristorante, com’era dieci anni fa: un tratturo senza nemmeno una parvenza d’asfalto, in un quartiere poco frequentabile. Oggi il Gagini è il vertice di un triangolo delle Bermuda del gusto: due anni fa è arrivato ai fornelli un fuoriclasse, Mauricio Zillo, e a novembre del 2021 la stella Michelin ha dato consacrazione all’evento. Gli altri due lati del triangolo, a dieci metri di distanza uno dall’altro, sono Aja Mola, trattoria ittica da banco ed esterni e Bocum, vecchia casa d’appuntamenti, trasformata prima in cocktail bar e dall’autunno scorso in ristorante di brace e fuochi con ai fornelli un uruguagio di cui già si parla e si continuerà a parlare, Diego Recarte. E il quartiere è rinato, festoso e aggregativo. A completare l’offerta, in altre zone di Palermo, sempre sul versante pop del popolare, Buatta e Stazione Libertà dove si compongono la vocazione e la tradizione palermitana. Il tutto immerso nella passione per l’arte contemporanea che infonde i locali, abbeverati da un altro grande amore: quello verso i vini naturali.
Il lungo preambolo per arrivare al grande colpo del mercato estivo: a Franco Virga è arrivata all’orecchio la notizia che Desremaults, chiuse le sue due importanti esperienze nel natio Belgio – prima In De Wolf e poi Chambre Séparée – cercava un posto nel Mediterraneo, e nello specifico in Sicilia, per la sua nuova avventura. Un giro lungo mesi, intercettato dal patron con una proposta che in pratica non si poteva rifiutare. Una casa cantoniera, un grande patio affacciato sulla spiaggia di Pollina, dove mettere i tavoli sotto il pergolato. Kobe se ne innamora, lavorando su una cucina in cui fuoco e brace siano protagonisti, come è sempre stato nel suo animo culinario. A giugno la partenza di Stazione Vucciria. E qui torniamo al cuoco, al grande cuoco, che nell’arco di un momento sa immergersi nel posto in cui si trova, nelle materie, nel dialogo con i piccoli produttori del luogo. E te ne accorgi nei movimenti, nel proporsi in italiano e naturalmente nei piatti: l’impressione è che sia qui da anni, invece che da qualche mese.
C’è un solo menu che non troverete mai uguale di giorno in giorno: potete usufruire nella versione meno lunga di 11 uscite (a scrivere corta mi viene male) da 95 euro, con quattro portate in più se ne spendono 135. Si comincia con un crudo di mare, che vabbè che ci vuole, ma con la laccatura di fondo di pollo sulla lumachine e il soffio di erbe sulle vongole lo chef chiarisce in maniera lampante dove dove siamo. Si prosegue con la suggestione fondente dello spaghetto di seppia con il nasturzio e con il tuffo in una Sicilia di mare e di terra, con le sarde, Nero dell’Etna e Nerello, dove la fusione tra mare, tocco caseario e sorso vinoso sembra uscita dalle mani di un contadino isolano. E poi la giostra continua con l’innesto del ceviche nella mustìa, carnoso pesce di fondale, nella rusticità sapiente dei polipetti alla brace, immersi in sugo di borlotti e pomodori e non si ferma nemmeno ai primi – perché siamo in Italia e oltre al fuoco ci sono i fornelli. La linguina al calamaro è di perfetta golosità, ma è il raviolo di testa di ricciola con il suo fondo e le mandorle di Pollina a dare croccantezza che illumina per l’ennesima volta il legame tra chi cucina e la terra dove compie l’atto, come nelle successive magnifiche triglie con lenticchie.
C’è anche un passaggio interlocutorio come il fiore di zucca con la salsa di pomodoro giallo, subito assorbito dal piatto che più racconta il Kobe belga nel suo amalgamarsi alla Sicilia: le animelle fondenti abbinate ai peperoni arrostiti e in varie consistenze. La pancia è piena, l’anima pure, il servizio è stato di adeguata informalità, la carta dei vini migliorerà, il tempo di godersi un albicocca su un biscotto, un giro di frolla e si scende dalla barra vista brace (lì, se possibile, dovete mangiare). Sarete felici, anche di sapere che, nelle campagne intorno si sta cercando un posto dove gustare la cucina di Kobe tutto l’anno, con stanze annesse. E che magari, chissà, Stazione Vucciria potrebbe diventare un pop up estivo, con cartellone di ospiti, come in un festival. Vedremo. Intanto, organizzatevi per godervi questa di stagione che a fine ottobre, più o meno, si chiude, per ovvie ragioni climatiche. E buon divertimento.