Qual è la differenza tra tortellini e cappelletti?
Due ricette speciali che ricordano le feste in famiglia. Sapreste però distinguerle? Leggete qui per non scatenare una diatriba regionale.
La fama di tortellini e cappelletti ha ormai valicato tutti confini regionali rendendoli il piatto simbolo delle feste e della domenica in famiglia un po’ ovunque. Queste due tipologie di pasta ripiena, tipica dell’Emilia-Romagna, che si servono in brodo o asciutte all’apparenza potrebbero sembrarci simili ma guai a confonderli in patria. Parlare di cappelletti in Emilia è un affronto e viceversa. Perché? Sono davvero così diversi al di là delle tradizioni familiari e dei campanilismi? Scopriamo tutte le differenze tra tortellini e cappelletti per non farci trovare impreparati alla prossima riunione di famiglia.
L’origine dei nomi
La prima anomalia che salta subito all’occhio è il nome. Se sono la stessa ricetta, perché hanno nomi diversi? Vediamo allora nel dettaglio quali sono le origini dei loro nomi. Tortellini sembra sia il diminutivo di torta e potrebbe riferirsi alle antiche torte farcite oppure a una pasta ripiena emiliana, i tortelli, le cui tracce si ritrovano già nei documenti medievali. Ma è solo nel 1708 che nel menu del pranzo di Natale dei monaci di San Michele in Bosco (Bo) si cita per la prima volta la minestra di tortellini. E i cappelletti? I caplét, come si chiamano in dialetto, sembra che prendano il loro nome da cappello. Uno in particolare, il galonza: il copricapo con il grosso cupolone e poca tesa indossato dalla gente di campagna che ricorda proprio la forma di questa pasta.
Dove tutto ha avuto inizio
Come abbiamo detto prima, questa pasta ripiena è tipica dell’Emilia-Romagna. Questa regione è però grande, molto variegata al suo interno, e non mancano anche certe rivalità. Ecco che, allora, i tortellini sono emiliani e i cappelletti sono romagnoli. Ma c’è sempre stata un’accesa discussione sulla vera origine dei tortellini. Sono nati a Modena o a Bologna? Tutto ha avuto inizio dal turtlén (in bolognese) o dal turtlèin (in modenese)? Dopo secoli di lotte a suon di matterello, a fine ‘800 si è deciso di porre come città di provenienza della ricetta emiliana la cittadina di Castelfranco Emilia, proprio a metà strada tra Bologna e Modena, ma la diatriba non è del tutto finita, visto che le ricette di questi tortellini sono leggermente diverse e ancora oggi si discute su quale siano i più buoni. I cappelletti, come li conosciamo oggi, sono invece nati nel ‘500 a Ferrara, alla corte estense, e da qui si sono diffusi nel resto della Romagna fino a raggiungere la popolazione contadina, ma con diverse interpretazioni. Pensate che, a differenza dei tortellini, non esiste una preparazione ufficiale e già a inizio ‘900 il conte Giovanni Manzoni di Lugo (Ra) ne trascrisse nel suo Cucinario ben sette ricette diverse.
Questione di sfoglia
Le differenze tra tortellini e cappelletti non sono finite qui. Anzi, ora veniamo nel vivo della discussione parlando di ingredienti e caratteristiche. Prime fra tutte: come deve essere la sfoglia? Secondo la ricetta depositata alla Camera di Commercio di Bologna dalla Dotta Confraternita del Tortellino nel 1974, in collaborazione con l’Accademia Italiana della Cucina, la sfoglia della specialità emiliana deve essere sottilissima, un velo. Tant’è che le sfogline, alzandola, dovrebbero riuscire a vedervi attraverso il santuario bolognese di San Luca, punto di riferimento della città. Il cappelletto, invece, è caratterizzato da una sfoglia più spessa. Attenzione, però, perché gli ingredienti sono gli stessi: farina e uova.
Che cosa c’è dentro?
Bene, abbiamo appena tirato la sfoglia. Come farciamo questa pasta fresca? In Emilia, o meglio, a Bologna, secondo la ricetta della Dotta Confraternita del Tortellino, il ripieno deve essere composto rigorosamente da lombo di maiale, prosciutto crudo, mortadella di Bologna Igp, parmigiano, uova e noce moscata. E secondo alcuni, i classici tortellini modenesi dovrebbero avere una percentuale di carne maggiore rispetto a quelli bolognesi. Sembra poi che un tempo, a Bologna, la carne non venisse cotta prima di essere mescolata con gli altri ingredienti ma oggi le indicazioni della Dotta Confraternita del Tortellino parlano chiaro: il lombo di maiale deve essere prima rosolato nel burro. Più complessa (potremmo dire anarchica) è la situazione nel mondo dei cappelletti. C’è chi, soprattutto nel ravennate-cesenate, farcisce questa pasta con un ripieno di formaggio fresco (soprattutto raviggiolo romagnolo) e ricotta. E c’è poi chi aggiunge il macinato di carne (vitello, cappone e/o maiale). E i profumi? Noce moscata e scorza di limone sono quelli che vanno per la maggiore ma una particolarità sono i cappelletti di Imola, la cui ricetta è stata registrata dall’Accademia Italiana della Cucina nel 1972 alla Camera di commercio di Bologna. La loro preparazione ufficiale vuole che la farcia sia così composta: braciola di lombo di maiale con osso, petto di cappone, mortadella Bologna Igp, Parmigiano Reggiano 24 mesi, tuorli, noce moscata e olio extravergine di oliva. Nonostante il nome, assomigliano quindi più a dei tortellini per quanto riguarda il ripieno. Ma che confusione! Menomale che c’è un modo infallibile per distinguere le due specialità al primo colpo d’occhio: la forma.
L’occhio vuole la sua parte
L’abbiamo lasciato apposta in fondo così da farvi curiosare tra le varie differenze ma c’è un trucco per capire al volo se stiamo per addentare un tortellino o un cappelletto. Quale? La forma. Secondo la leggenda, la forma dei tortellini è stata ispirata all’ombelico di Venere. La pasta viene chiusa a forma di triangolo e si fanno combaciare le due estremità girando la pasta attorno al mignolo. È importante l’indicazione del dito di riferimento perché fa capire quanto debbano essere piccoli i tortellini della tradizione. I cappelletti, invece, come dice il nome, riprendono la forma di un cappello e hanno una dimensione ben più grande della specialità emiliana. Per intenderci, ricordano più un raviolo. Fanno eccezione i cappelletti di Imola che sono un po’ più piccoli dei cugini romagnoli, quasi l’anello di congiunzione tra questi due mondi pieni di gusto.