FRITTO DELLA VIGILIA e le tradizioni regionali italiane
Da Nord a Sud, c’è un’Italia disposta a friggere tutto pur di onorare il Natale come si deve. Scopriamo insieme alcune ricette tipiche.
Tutto quando esce bello croccante dall’olio bollente è decisamente più buono e poi, come testimoniano alcuni studi, fa anche bene alla salute: quando si frigge, infatti, si produce una maggiore quantità di acido oleico e componenti antiossidanti (purché vengano rispettate alcune regole fondamentali in fase di cottura). E poi diciamocelo, il fritto mette allegria perché fa casa, fa storia, fa strada. Perché spesso lo si condivide e perché, vestito con una nobile panatura dorata, anche la pietanza più povera diventa una regina. Insomma, c’è sicuramente un mistero dietro al successo di questa cottura – in uso già nell’antico Egitto e nell’antica Roma -, una congiunzione di sensi che dirotta il nostro cervello a preferirlo a tutte le altre preparazioni. Quindi va da sé che, nella tradizione italiana, quasi ogni festa venga apostrofata dalla presenza di prelibatezze fritte e la Vigilia di Natale, chiaramente, non fa eccezione. Scopriamo allora quali sono, da Nord a Sud, le ricette dei fritti che non possono mai mancare sulle nostre tavole.
Nel nostro viaggio alla volta del gusto, abbiamo deciso di partire dalla Capitale perché, si sa, il fritto è per moltissimi una tradizione tipicamente romana: sulle tavole capitoline, la sera del 24 dicembre, c’è sempre la frittura a base di verdure pastellate come broccoli, carciofi, funghi, cavolfiori e, sì, anche fettine di mela. A questi, si possono aggiungere anche finocchi e patate ma non sono contemplati i fiori di zucca (a Natale decisamente fuori stagione) o altri fritti tipici come i supplì. Sono invece ben accette le animelle d’agnello (il più delle volte accompagnate dai carciofi), il cervello di vitello e le squisite frittelle di borragine. Per prepararle, serve la borago officinalis: una pianta che cresce spontaneamente ed è caratterizzata da foglie carnose e ruvide, ideali per avvolgere alici e mozzarella e poi essere fritte, dopo un ovvio passaggio in pastella.
Le costolette d’agnello fritte e belle dorate sono immancabili in Umbria e, per prepararle, vengono utilizzati il carré d’agnello e la classica panatura a base di uova e pangrattato. Come facilmente deducibile, spostandoci nelle Marche non possiamo invece non incappare nella gustosissima e famosissima oliva ascolana, la cui storia affonda addirittura le radici nell’antica Roma. Ma, come è noto in tutto lo Stivale, è ad Ascoli Piceno che la ricetta dell’oliva ripiena di carne ha preso realmente vita per merito dell’esigenza, all’interno delle cucine nobiliari, di recuperare la carne non consumata durante i banchetti. Alle olive, si accostano sempre altri fritti tipicamente marchigiani come i cremini e che, come suggerisce la parola stessa, sono dei bocconcini di crema fritta. Spostandoci poi in Molise, tra i piatti fritti da servire durante la Vigilia di Natale, non mancano le scarpelle o scrippelle: delle lingue di pasta a base di acqua, farina e lievito che possono essere sia salate che dolci. A esse si unisce la frittata con le cipolle di Isernia, dal sapore e dalla storia davvero singolare. Schiacciate, bianche e dolci, queste piante bulbose sono riuscite a sopravvivere grazie all’eroico lavoro dei contadini, che sono riusciti a preservare questa varietà invogliando anche i più giovani a coltivarla e a tutelarla. Totani, seppie e baccalà (categoricamente fritti) sfilano invece sulle tavole imbandite delle famiglie pugliesi, spesso accostate al mitico panzerotto: una sorta di piccolo calzone fritto e ripieno di mozzarella e pomodoro. E, a finire nell’olio bollente, per l’occasione di festa sono anche le pettole salate: semplici palline di pasta che, fritte, diventano deliziose.
Sempre di pettole si parla anche in Basilicata. Un po’ come avviene nella cucina molisana, anche in questo caso, queste strisce di pasta fritta possono essere cosparse di zucchero o di sale e, ad esse, la tradizione lucana aggiunge le frittelle di peperoni cruschi e le cipolline fritte in pastella, dette lampascioni. In Campania, si mangia esclusivamente pesce e tra i piatti immancabili, la cui presenza è testimoniata già alla fine del ‘700, c’è il famoso capitone fritto (ovvero la femmina dell’anguilla) che solitamente viene comprata viva un paio di giorni prima della cena del 24. L’anguilla, inoltre, viene adoperata anche nella cucina siciliana, dove funge da ripieno per una delle varianti delle scacce. Ma, tornando ai fritti napoletani a base di pesce, molto usato è il baccalà (che può essere sostituito anche da altre qualità di pesce) mentre per il dolce – tra le altre prelibatezze – si preparano gli struffoli: palline di pasta frolla fritte e poi irrorate con il miele.
In Calabria, il pezzo forte in materia di fritti sono i cuddureddi: crespelle lievitate a base di patate e farina e anche qui, come in gran parte d’Italia, non manca il baccalà fritto, a proposito del quale vale la pena aprire una piccola parentesi. Questo pesce tipico dei mari del Nord ha raggiunto il Bel Paese grazie alle esplorazioni geografiche del XVI secolo e, per un caso fortuito, abbiamo imparato dai norvegesi a conservarlo a dovere. Il baccalà (merluzzo sotto sale) va obbligatoriamente ammollato prima di essere cucinato e, nonostante l’Italia abbondi di disparate ricette, molte regioni lo propongono fritto, dalla Lombardia alla Sicilia, passando per la Liguria, la Campania, la Basilicata e la Puglia. Parlando di nuovo della Sicilia, le ricette della Vigilia di Natale prevedono per la verità pochi fritti e molti prodotti da forno. Un po’ in tutte le parti della Trinacria, con le dovute varianti, si preparano infatti le scacce, o impanate, ripiene di carne o pesce. A indorarsi nell’olio caldo sono solo le crispelle c’angiova, chiamate anche sfingi nella parte orientale dell’isola che vengono preparate con un impasto a base di farina e lievito di birra e poi farcite con acciughe e ricotta. Restando nelle isole italiane, la tradizione natalizia in Sardegna frigge al suono delle saedas, dolcetti a base di pecorino fresco e miele avvolti in un abbraccio di pasta sfoglia. Nella dirimpettaia Liguria, che è storicamente la porta dei sardi verso l’Italia, a dominare le tavole troviamo gli stecchi fritti, ovvero degli spiedini originariamente preparati con gli avanzi, mixando verdure di stagione e frattaglie e che, infilzate in un unico stecco, vengono ricoperte da un impasto di pane ammollato per poi essere passate in uovo battuto e pangrattato prima di essere fritte. Oggi, che le esigenze sono cambiate, questo street food non si prepara più solamente con cervella, animelle, filone di vitello e altri tagli reputati meno nobili ma anche con costolette e parti magre, oltre – naturalmente – a tutta l’infiorata vegetale possibile e immaginabile.
Esplorando infine il Nord Italia, in Emilia Romagna si friggono anguille, totani, sogliole e triglie. La fricassà mëscià, invece, è un piatto della tradizione piemontese e nasce, come la maggior parte delle ricette popolari, per evitare gli sprechi. Nella antiche cascine del Monferrato, infatti, chi mai avrebbe buttato via frattaglie di maiale, vitello e agnello? Fegato, animelle, cervella e polmone sono la base del fritto piemontese che, per tradizione, va cotto non nel più comune olio, bensì nel burro. A rendere particolare questa ricetta è, tra le altre cose, l’accostamento a prodotti dolci quali amaretti, mela e soprattutto semolino: una preparazione a base di latte e farina di semola che termina la sua corsa in cucina nell’olio bollente. In Trentino-Alto Adige tra le ricette di dolci fritti la più famosa è quella dello strauben, frittelle tirolesi la cui forma a nido è dettata dal fatto che, nel prepararle, i fili d’impasto si fanno colare nell’olio bollente. Una volta issati sulla carta assorbente vengono impreziositi con marmellata di mirtilli, panna e zucchero a velo. Sempre nell’ambito dei dolci, le castagnole segnano la degna conclusione della cena della Vigilia in Friuli-Venezia Giulia, insieme agli strucchi: fagotti ripieni di noci, uvetta, pinoli, fichi secchi e prugne secche che possono essere cotti al forno o fritti.
Insomma, stando alla nostra guida, appare chiaro come ogni regione offra più o meno la possibilità di degustare, durante le feste natalizie, una pietanza fritta. E visto che la cucina è contaminazione e sperimentazione i confini territoriali vengono spesso e volentieri valicati dalla voglia di conoscere le altre tradizioni o dai semplici incontri personali che la vita ci regala. Conoscere ogni piccola sfumatura del Bel Paese è forse impossibile e ci scusiamo già da subito, qualora ne avessimo scordato qualcuna.