CAFFÈ: qual è il guadagno reale per ogni tazzina?
Secondo Confcommercio nel 2021 il guadagno di un bar era meno di 10 centesimi a tazzina di caffè. Oggi le cose sembrano peggiorate quindi abbiamo rifatto i conti con Gabriele Cortopassi, Direttore Responsabile dell’Espresso Academy.
Entriamo in un bar per una tazzina di caffè. Chiediamo l’espresso al barista che è già al lavoro dalle sei del mattino. Se siamo di quelli che “il caffè amaro come la vita mai“, mettiamo lo zucchero. Sorseggiamo. Paghiamo un euro, un euro e dieci o anche un euro e venti centesimi – dipende da dove ci troviamo in Italia – e andiamo via. Vi siete mai fermati a pensare quanto di quelle monete finisca davvero nelle tasche del barista? Qual è il guadagno reale per ogni tazzina di caffè?
I conti di Confcommercio
Secondo il Rapporto annuale della ristorazione, edito da Fipe Confcommercio, a dicembre 2020 il prezzo di una tazzina di caffè al banco si attestava in media a 0,98 euro. Un valore inferiore a quello registrato in diverse città del Nord e del Centro Italia, e ben al di sotto della rilevazione massima che vede, ad esempio, Trento con 1,21 € e Bolzano 1,19 €.
Nello stesso anno Confcommercio Bergamo ha preso in considerazione il prezzo più alto di un caffè al bar (1,10 euro), mettendo in evidenza quanto il rapporto tra costi e ricavi è sbilanciato. Al netto dell’Iva e dei costi (costo del caffè, costo dello zucchero/dolcificante/latte, costo del personale, spese per affitto/corrente/acqua), al barista non restavano che 0,08 centesimi a tazzina di caffè. Se si mette mano al costo della miscela, scegliendone una di alta qualità, questa arriva a costare anche 25 euro al chilo. In quel caso il barista è destinato ad andare in perdita.
Anno 2023: abbiamo rifatto i conti con Gabriele Cortopassi
Nel 2020 avevamo a che fare solo con la pandemia. Poi sono arrivati la carenza di personale, il caro energia e materie prime, l’inflazione. Per questo, essendo già a inizio 2023, abbiamo voluto rifare i conti. Abbiamo interpellato Gabriele Cortopassi, consulente, Direttore Responsabile dell’Espresso Academy, e Direttore Editoriale di Aprire un bar.
Premessa: questa analisi prevede anche spese fisse e food cost, che incidono sulla singola tazzina ma, in generale, vengono ammortizzati anche su altri prodotti. Per comodità, abbiamo considerato un prezzo medio da tazzina di caffè, che al netto dell’Iva diventa 90 centesimi di euro.
Il food cost
Partiamo proprio dal food cost. Per acquistare la miscela di caffè in media un barista spende 20 euro al chilo. Ogni tazzina richiede circa 7 grammi di caffè. “Diciamo 8, fra quello non utilizzato e i caffè bevuti da chi è dietro il banco“. Aggiungiamo che c’è chi ci mette lo zucchero e/o il latte, per un valore medio di 1,5 centesimi di euro. In totale, solo per gli ingredienti, il barista sborsa 18 centesimi, equivalenti a circa il 22-23% del prezzo della tazzina.
I costi fissi: energia e affitto
Sotto la dicitura costi fissi ricadono i costi per l’energia e l’affitto. Quest’ultimo non dovrebbe superare il 12-15% del fatturato dell’esercizio. “Se consideriamo una media di 110mila euro all’anno di fatturato, su ogni tazzina di caffè circa 12 centesimi finiscono per pagare l’affitto del locale”. Capitolo utenze. Prima del 2022, si spendevano circa 6-8 mila euro all’anno per energia elettrica. Nei mesi più caldi dello scorso anno si è arrivati a 12-15 mila euro. Questi costi pesano sulla tazzina per circa il 15%, pari a 15 centesimi.
“Il personale è un costo semi-variabile: può variare in relazione al flusso di lavoro. Ma i manuali di gestione ci dicono che questo costo equivale al 30% del fatturato. Quindi sulla tazzina incidono per un valore medio di 27 cent”, il più alto al pari della miscela.
Le spese varie
Poi ci sono le spese varie. Dalle tasse accessorie come quelle per l’insegna (che possono pesare per qualche cent) al commercialista, passando per la manutenzione (per un totale del 7%, cioè 7 cent).
Quanto si guadagna su una tazzina di caffè?
Cosa resta? Ben 9 centesimi di euro. Ma non è finita. Giunti a questo punto, dobbiamo togliere le tasse sull’utile, pari a 2,88 euro. Alla fine, per ogni tazzina di caffè al barista restano in tasca 6,12 centesimi di euro.
Perché continuare a fare questo lavoro?
“Il problema principale è che il barista non si percepisce come imprenditore – sottolinea Cortopasso – In questo lavoro un po’ ci si casca perché non si sa bene cos’altro fare. Pensi che gestire un bar sia facile, ma non è così, specie se manca la visione imprenditoriale. Gestire un bar offre pochi margini perché è un mondo polverizzato, con pochi valori aggiunti, con margine medio-basso. Sul caffè, poi, c’è un altro aspetto da considerare. Mentre gli italiani sono disponibili a percepire e pagare la qualità di altri prodotti, col caffè non è così. Se il barista alza il costo della tazzina, si percepisce l’aumento quasi come un furto. La verità è che ancora non ci importa della qualità della tazzina e non siamo disposti a pagarla, anche se è la prima cosa della giornata che ingeriamo».
Come ottimizzare i costi della tazzina di caffè
Tra tutti quelli elencati, il costo del personale è l’aspetto più saliente. Per ottimizzarlo, meglio cercare di avere meno gente possibile dietro il bancone. Per tagliare i costi dell’energia è sufficiente scegliere macchine con un minor dispendio energetico. Ma aumentare i margini per tazzina di caffè non è una missione impossibile. “Basta conoscere meglio quello che si vende, imparando a comunicarlo al cliente”. Questo si traduce anche nel fare attenzione a certe offerte fin troppo allettanti, come quelle legate a macchine tecnologicamente affascinanti, concesse in comodato d’uso dietro l’acquisto di miscele di dubbia qualità. “Un barista più formato aiuta sé stesso” e il settore della caffetteria, aiutando ad aumentare la percezione della qualità.
Ciò può aprire la strada a un fenomeno ora solo di nicchia: quello dello specialty coffee. “Qui i margini possono essere più alti, dato che è un prodotto che può essere venduto a un prezzo più elevato. Ma il mercato è ancora piccolo e riservato a pochi locali in grandi città”.