Jambu: l’erba-pepe del Brasile che sfida il pepe di Sichuan
Abbiamo tradotto per voi un articolo a proposito del Jambu, un’erba brasiliana con proprietà simili al pepe del Sichuan, uscito su BBC Travel e scritto da Jacob Mardell.
Con un effetto collaterale di intorpidimento della bocca simile, ma più forte, a quello del pepe di Sichuan, il jambu è un’erba potente ed elettrizzante che sta iniziando ad avere l’attenzione della gastronomia internazionale.
Cos’è esattamente il jambu
Il jambu impiega tre secondi scarsi ad agire, e succede tutto contemporaneamente: la scossa elettrica, l’intorpidimento, l’aumento della salivazione. Ha la stessa intensità insopportabile ma piacevole del peperoncino, tranne che, invece che col calore, la sensazione di intorpidimento arriva con una distinta freschezza che impiega tanto tempo a scomparire e ti fa venire voglia di mangiarne ancora.
L’effetto intorpidente di quest’erba brasiliana, che in Amazzonia viene usata da secoli come medicinale e ingrediente gastronomico, ricorda molto da vicino il pepe di Sichuan (NDR il pepe di Sichuan non è un pepe ma le bacche essiccate di un albero di frassino spinoso originario della regione cinese del Sichuan). Mentre quest’ultimo è uno dei capisaldi della cucina cinese, il jambu si è affacciato da poco alla ribalta della gastronomia internazionale.
“Quando ho scoperto il jambu, ero eccitatissimo” racconta Fabiol La Pietra, direttore creativo del pluripremiato cocktail bar di São Paulo SubAstor. “È stato il mio punto d’ingresso all’incredibile biodiversità del Brasile“.
Che aspetto ha il jambu
Il jambu, conosciuto anche col suo nome scientifico acmella oleracea e con una serie di soprannomi anglofoni del tenore di paracrescione, bottoncino vibrante e margherita elettrica, ha l’aspetto e il comportamento di un’erbaccia infestante. Durante l’estate, però, questa sua caratteristica viene redenta da piccoli grappoli di infiorescenze giallognole.
Questi fiorellini contengono la concentrazione più alta della sostanza responsabile dell’effetto anestetizzante, un acido grasso chiamato spilantolo. La sostanza è simile, nella sua struttura, al principio attivo del pepe di Sichuan, anche se l’effetto di quest’ultimo, a confronto, è molto più blando.
Lo spilantolo è così potente, difatti, che il jambu viene usato anche a fini medicinali, cosa che gli ha fatto guadagnare un altro dei suoi soprannomi anglofoni, ovvero erba del mal di denti. Le popolazioni indigene amazzoniche usano da secoli il jambu per trattare afte, lesioni orali e problemi a livello dentistico.
Come si usa il jambu
Fino a poco tempo fa quest’erba era quasi sconosciuta al di fuori della regione amazzonica del Brasile, dove è uno degli ingredienti base di piatti tradizionali come la tacacá, una aspra zuppa di gamberi, nella quale il jambu va a sottolineare le note astringenti della radice di cassava selvatica. Oggi, grazie a un interesse crescente negli ingredienti e prodotti della cucina brasiliana, il jambu si sta facendo largo, passando da misconosciuto ingrediente tipico regionale a simbolo nazionale della biodiversità brasiliana. Il motore che alimenta questo trend è la tendenza recente a mescolare quest’erba elettrizzante alla cachaça, il distillato della canna da zucchero che è praticamente sinonimo della cultura brasiliana.
“Quando la gente ha iniziato a usare il jambu ho pensato: Finalmente! Era ora!”, dice Néli Pereira, una barista specializzata in cocktail di São Paulo, che conosce e impiega il jambu da anni. “Ovviamente a Belém lo usano da una vita”, continua, riferendosi alla capitale del Pará, uno stato del Brasile settentrionale attraverso il quale il Rio delle Amazzoni inferiore affluisce in mare.
Pereira ha assaggiato per la prima volta il jambu nel 2014 a un concerto di Dona Onete. La famosa cantante e icona culturale brasiliana, originaria di Pará, ha in repertorio una canzone dedicata al jambu che incorpora ritmicamente tra le strofe la parola treme, che in portoghese significa tremare. È stato proprio durante questa canzone che gli organizzatori del concerto hanno iniziato a spruzzare cachaça jambu nelle bocche degli spettatori delle prime file.
Il jambu non solo accentua le note arzille dell’alcol, ma stando a quanto afferma la Pereira, le sue proprietà anestetiche rendono la cachaça jambu “l’alleata perfetta di una bella pomiciata”. In altre parole, è il perfetto drink da party. “Il jambu è tutto“, dice “È popolare, è tradizionale, è gastronomico, ma anche giocoso — ha una vibrazione tutta sua”.
Leonardo Porto, proprietario del bar Meu Garoto a Belém, è famoso per aver creato la prima cachaça con jambu nel 2011. La Pereira è stata una delle sue prime seguaci, incorporando l’erba nelle sue creazioni dalla sua esperienza al concerto nel 2014, e solo nel 2018 si sono viste le prime marche di cachaça jambu diffondersi al di fuori della regione di Pará, portando l’erba all’attenzione nazionale.
“Gli ultimi anni sono stati molto importanti per il jambu“, confessa Rodrigo França, fondatore della distilleria Jós Brasil di São Paulo, uno dei primi produttori di cachaça jambu al di fuori della regione di Pará. França e i suoi tre soci co-fondatori si sono imbattuti per la prima volta nella jambu cachaça sul finire del 2017, quand’erano in vacanza ad Alter do Chão, un resort fluviale a Pará. “C’era solo un bar aperto ed era l’unico drink che servivano” ricorda França. Il gruppo di amici non sapeva nulla del jambu e rimase spiazzato al primo incontro con il suo effetto anestetizzante.
Tornati a casa, non riuscendo a trovare nulla di simile nella natia São Paulo – la quarta città più grande del mondo, dove di solito tutto è reperibile – iniziarono a produrre in proprio la loro cachaça jambu in una distilleria locale. Sulle prime rimasero stupiti di quanto poco la gente conoscesse questa quintessenziale erba brasiliana. “Come mai al nord era praticamente un fenomeno culturale e a São Paulo invece non la conosceva nessuno?” si chiede França. “Sappiamo tutto dei prodotti gastronomici degli altri paesi, ma ignoriamo le cose che sono più tipicamente brasiliane.”
La recente popolarità del jambu è strettamente collegata a un interesse sempre più crescente negli ingredienti e nell’identità culturale brasiliana. “Abbiamo imparato dall’estero cosa è buono e cosa non lo è” ammonisce Felipe Jannuzzi, fondatore di BR ME, un negozio online specializzato in prodotti brasiliani. “Solo le cose estere erano considerate fiche, ma le nuove generazioni stanno ridefinendo tutto — stiamo finalmente imparando ad apprezzare la nostra cultura”.
Quando l’ho incontrato nel suo ufficio al centro di São Paulo, Jannuzzi, eccitato come un bambino, ha preparato per me una piccola mostra di erbe locali, oli d’oliva e caffè brasiliano. Mi ha poi versato un bicchiere di gin creato distillando una spezia chiamata pacová, l’equivalente indio del cardamomo. “Puoi chiedere a chi ti pare — vedrai che non la conosce nessuno” ha commentato “Un tempo, qui in Brasile, la pacová era di comune impiego, ma a poco a poco è stata rimpiazzata dal cardamomo proveniente dall’estero. E così ho creato questo gin come modo per discutere di tradizione e diversità brasiliana.”
La biodiversità del Brasile è infinita
Il Brasile è campione del mondo di biodiversità. È la dimora di più specie di piante di ogni altro luogo del pianeta, e di tanti ecosistemi diversi di importanza cruciale. La Foresta Amazzonica è ovviamente la rockstar, ma c’è anche la Foresta Atlantica, che si estende lungo tutte le coste del Brasile. C’è il Cerrado, una savana tropicale che misura due volte l’Egitto, e il Pantanal, l’area paludosa più grande del mondo. Questi ecosistemi sono la dimora di innumerevoli specie uniche di piante, molte delle quali edibili.
Sabor de Fazenda, un vivaio a nord di São Paulo, coltiva un gran numero di queste piante misconosciute ed edibili, quelle che in Brasile sono conosciute con l’acronimo PANC – che in portoghese sta a significare Piante Edibili Non Convenzionali. Questo termine, coniato per la prima volta nel 2007 dal biologo Valdely Kinnup, è oggi diventato sinonimo di un movimento di portata nazionale che sostiene le centinaia di specie di piante edibili che le abitudini alimentari imposte dalle industrie alimentari hanno scacciato dalle tavole locali.
Quando ho visitato Sabor De Fazenda, Barbara Cordovani, una specialista di piante edibili, mi ha mostrato alcune delle vedette del movimento PANC, che avevo già visto comparire nei menu dei ristoranti più trendy, come la ora-pro-nóbis, una foglia verde scura che si è guadagnata il nomignolo di carne dei poveri, per via del suo altissimo contenuto proteico.
“Nella gastronomia brasiliana usiamo erbe aromatiche provenienti prevalentemente dal Mediterraneo, anche se abbiamo tante piante locali con aromi equivalenti”, dice la Cordovani. Un esempio di questi sostituti è la alfavaca anis. Questa erba è una delle preferite da Clarissa Taguchi, fondatrice di PANCS Brasil e lei stessa specialista di ingredienti brasiliani nativi. Endemica della foresta atlantica e parente del basilico, la alfavaca anis ha un sapore più complesso e vicino alle liquirizia, che ricorda molto da vicino quello dell’anice stellato. “Da allora mi sono innamorata di una serie di PANC” dice la Taguchi “Ma questa è stata il mio primo amore”.
Sostituendo piante native agli ingredienti d’importazione, i sostenitori dei PANC sperano di proteggere la biodiversità brasiliana, al tempo stesso celebrandola. Cardovani e Taguchi danno entrambe il merito della popolarità odierna delle PANC a una sempre più crescente consapevolezza ambientale globale. “La gente sta iniziando a capire quanto la produzione di cibo impatti sulla biodiversità e sull’ambiente”, dice la Taguchi. “Per questo motivo stanno preferendo rifornirci localmente”.
Il jambu è soltanto uno degli innumerevoli ingredienti brasiliani che sta salendo alla ribalta, ma col suo inconfondibile effetto anestetizzante e la sua ben consolidata reputazione, rappresenta un fantastico ambasciatore della biodiversità brasiliana. “È molto eccitante” confessa Jannuzzi. “È una grande sfida, ma anche una grande opportunità”. Anche Pereira sottoscrive tanto ottimismo. “Questo movimento sta acquisendo sempre più slancio e non credo che si tratti soltanto di una moda passeggera. È una cosa destinata a durare nel tempo”.