Uber Eats chiude in Italia: non ci sono sufficienti quote di mercato
L’azienda non è riuscita a raggiungere gli obiettivi prefissati nel lungo periodo di tempo, per questo motivo cesserà di operare il 15 luglio, dopo circa 7 anni di servizio. Lo annunciano loro stessi attraverso una nota sul blog, spiegando che aldilà dei successi, tutto il resto non è stato abbastanza. Ovviamente a rimetterci sono i dipendenti, una cinquantina, e i rider, oltre un migliaio.
Non siamo cresciuti in linea con le nostre aspettative per garantire un business sostenibile nel lungo periodo. Ecco perché oggi siamo felici di annunciare che abbiamo preso la difficile decisione di interrompere le nostre operazioni di consegna di cibo in Italia tramite l’app di Uber Eats.
Uber Eats chiude in Italia. Così la nota piattaforma, con sede in California, di ordinazione e consegna di cibo lanciata nel 2014 annuncia tristemente la sua dipartita in Italia attraverso una nota sul sito: purtroppo i guadagni sono scarsi rispetto a quelli della concorrenza, come i colossi Just Eat e Glovo.
Le motivazioni della chiusura di Uber Eats
Negli ultimi tre mesi Uber Eats ha avuto non qualche problema di crescita, decidendo di cessare l’attività in Italia. Adesso chi di competenza dovrà ribadire la notizia anche ai 6.000 ristoranti per cui prestava servizio, procurando pronti rider per le consegne a domicilio. Stando alle loro parole rinuncerebbero a presenziare in una sessantina di città della penisola a causa del mancato focus. Ma siamo proprio sicuri che sia esattamente così?
L’inchiesta del 2020
Scavando più a fondo risaliamo a quando Uber Eats è stata commissariata per caporalato a danno dei fattorini, venivano pagati a cottimo 3 euro a consegna (in un caso su due guadagnano meno del salario minimo). L’amministrazione giudiziaria è stata poi revocata nel marzo 2021 poiché avevano attuato delle misure per tutelarli sia dal punto di vista economico che umanitario.
La condanna dello scorso aprile
La piattaforma ha riscontrato nuovamente di non essere conforme alla legge nel momento in cui è stata condannata per comportamento antisindacale e per non voluto fornire delucidazioni alla Cgil su quali parametri utilizzasse il loro algoritmo per decidere a quali rider affidare le consegne.
E oggi?
Infine, arriviamo ad oggi, quando i governi dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo su una bozza di una direttiva che verrà discussa in parlamento per essere definitivamente approvata, che riguarda le consegne a domicilio, noleggi con conducente e altri mestieri, svolti alla mercé degli algoritmi. I lavoratori dovranno essere considerati dipendenti e avranno diritto a tutele legali, previdenziali e retributive. La riclassificazione avrà un impatto economico importante sulla big economy, se vi steste chiedendo qual è la connessione con il congedo di Uber Eats dal nostro territorio. Quindi non solo l’azienda non stava nuotando in acque tranquille già da un po’, ma dopo la disposizione dai piani alti se la sta proprio dando a gambe levate, non accogliendo con piacere questa modifica, a differenza di altri.
Continua il servizio di mobilità
Uber ha ribadito che non sta abbandonando del tutto il mercato italiano, ma si andrà a concentrare maggiormente ed esclusivamente sui servizi di mobilità.
Nonostante questa difficile decisione vogliamo ribadire il nostro impegno verso l’Italia, che non intendiamo assolutamente abbandonare: questa decisione ci consentirà di concentrarci ancora di più sui nostri servizi di mobilità, dove stiamo registrando una crescita importante. Grazie al servizio Uber Black e all’accordo con It Taxi, infatti, ad oggi siamo presenti in 10 città italiane: negli ultimi 12 mesi oltre un milione di italiani e turisti ha utilizzato l’app Uber per muoversi nelle città dove operiamo e quasi 10 mila autisti, tra Ncc e taxi, hanno avuto la possibilità di realizzare almeno una corsa sempre attraverso la nostra app. Non solo: dopo il lancio del servizio Taxi in Sardegna annunciato la settimana scorsa, prevediamo di aumentare ulteriormente la nostra presenza nel Paese e di lanciare quattro nuove città entro la fine dell’anno.
Conclusione
In conclusione, la scelta attuata dalla casa madre è stata a dir poco scoraggiante, soprattutto nei confronti del progresso. È giusto che questo settore raggiunga le dovute condizioni di parità, affinché si venga a delineare in un mercato equo e competitivo. Non c’è dubbio che la clientela abbia potuto beneficiare dei servizi di Uber, soprattutto in un periodo critico come quello colpito da Covid-19, ma ora un pensiero va nei confronti di tutti quei rider, che a differenza degli impiegati degli uffici di Milano, non potranno usufruire della procedura di licenziamento, poiché non gli spetta.