Ma cosa significa fine dining?
No, non è soltanto una questione di cibo. Il fine dining è molto di più; un’esperienza a 360 gradi concepita per essere indimenticabile. Ecco la spiegazione definitiva.
Se ne sente parlare spesso, sappiamo anche che molti personaggi famosi ne vanno matti. Sì, ma esattamente cos’è il fine dining? Se molti sono ferrati sull’argomento, tanti altri non hanno ancora le idee chiarissime. Vediamo di sciogliere ogni dubbio e interrogativo.
Cosa si intende per fine dining
La traduzione letterale di fine dining è cucina raffinata. Ma questa stessa definizione può alimentare un grande equivoco. Perché verrebbe da pensare che si tratti di una cucina basata su ingredienti di estrema qualità e sull’intervento di uno chef provetto. Questo è vero, ma solo in parte. Il fine dining, in realtà, è un’esperienza a 360 gradi.
Sono piatti ricercati, dalla preparazione piuttosto complessa, che mirano a stimolare la curiosità e anche l’olfatto. Sono abbinamenti inediti o comunque inusuali. Ma anche mirabili impiattamenti, che deliziano la vista. Moltissimo conta l’ambiente in cui si consumano i pasti in questione: gli arredi, il servizio, la musica in sottofondo. Le luci.
Niente, davvero niente è lasciato al caso. Ma attenzione anche qui: tutto questo non deve necessariamente coincidere con un contesto estremamente formale ed elegante. Un ristorante fine dining può anche essere semplice e accogliente, ma offrire lo stesso momenti speciali. Indimenticabili. In estrema sintesi, qua è in gioco la capacità di far emergere il lato più artistico della cucina.
Il fine dining è davvero in crisi?
L’alta ristorazione è in crisi, sì. Basti alla chiusura del Twins garden in Russia e all’imminente stop del Noma di Copenaghen. E, per restare a casa nostra, al deficit di bilancio del ristorante di Carlo Cracco in Galleria a Milano e all’addio di St. Hubertus, ristorante a Tre stelle di San Cassiano.
Una crisi dovuta agli alti costi di gestione, alla difficoltà di trovare personale, al fatto che inevitabilmente un ristorante fine dining presenta un conto salato che può scoraggiare. Secondo lo chef Giancarlo Morelli, però, c’è un’altra motivazione: “la gente non ha imparato a mangiare”. Predilige la quantità alla qualità, preferisce accontentarsi, apprezza cibi discutibili come quelli dei fast food. Eppure c’è chi la pensa in modo completamente diverso.
Come Antonia Klugmann, chef e proprietaria del ristorante L’Argine a Vencò. Secondo cui la domanda relativa alla cucina d’autore è invece in crescita, anche se resta una realtà di nicchia. A dimostrarlo, sarebbe il moltiplicarsi di nuovi ristoranti fine dining, nelle grandi città come in provincia. Ma anche la riapertura del ristorante di Filippo La Mantia al Mercato centrale di Milano è una notizia significativa. La crisi può essere superata.