14 cose che non sopportiamo delle mense aziendali
Le mense aziendali, con tutto il corredo di orrori gastronomici, sono teatro di momenti davvero fastidiosi: ne abbiamo elencati 14 tra i peggiori.
Cosa non sopportavamo della mensa scolastica e cosa odiamo di quella aziendale? Quesiti che meritano un faticoso e approfondito brainstorming per mettere a fuoco tutte le lacune di un format ristorativo con conseguenze da psicanalisi. conserviamo tutti almeno un odore, un sapore o un rito che dalla mensa delle elementari ci collega con quella aziendale Chi di noi infatti non conserva nella propria memoria sensoriale almeno un odore, un sapore o un rito, conosciuti ai tempi delle elementari e, contrariamente alla data dell’Editto di Costantino, mai dimenticati? Per molti il momento della fantozziana crocifissione (palatale) in sala mensa continua quotidianamente senza prospettiva di riscatto all’interno delle singole realtà lavorative. Un momento vissuto più come un rifornimento alla pompa di benzina che come ristoro, con la speranza di fare in fretta e di non conservare sulle mani l’odore del carburante. Ecco quindi una breve lista di traumi vissuti con la speranza che la reminiscenza favorisca la rimozione. Per chi invece deve misurarsi ogni giorni con la mensa aziendale ci auguriamo che la seguente lista funga da sfogo e aiuti a esorcizzare con una risata l’inevitabile destino.
- L'odore di cavolo cotto misto a detersivo per pavimenti che si respira immediatamente dopo aver oltrepassato la soglia.
- Il rimbombo del vociare e del frastuono delle stoviglie in un ambiente ampio e metallico.
- L'inevitabile coda davanti al bancone del self service, un'esperienza simile alla fila in posta per pagare la bolletta della luce.
- La divisa del personale con gli zoccoli e la retina sui capelli che fanno tanto ospedale.
- L'inserviente vigorosa che maneggia il mestolo come il fabbro quando batte il ferro caldo sull'incudine.
- Il quotidiano momento in cui ci si accorge che la speranza di trovare qualcosa di invitante si rivela solo un'illusione.
- L'attimo in cui la persona in coda prima di te chiede l'ultima porzione del piatto che stavi puntando dall'inizio della fila.
- La pasta scotta e ricoperta di quella patina che le impedisce di farsi avvolgere dal sugo, a meno che non ci sia della panna e allora il mappazzone è assicurato.
- La panatura bagnaticcia della cotoletta o del filetto di merluzzo gratinato e poi lasciato morire una seconda volta nella teglia scaldata dal vapore acqueo sottostante.
- Le polpette di pesce: uno spauracchio da lasciare sistematicamente agli ultimi sfortunati della coda.
- La consistenza delle sottili fettine di carne incomprensibilmente rigide e asciutte, quasi tanniche.
- La ricerca del portafogli nelle tasche con il vassoio in equilibrio tra l'altra mano e il ginocchio opposto.
- I coltelli che non tagliano e massacrano l'unico alimento sciacqua bocca tanto bramato a fine pasto: una semplice mela.
- Il momento in cui vai a deporre il vassoio nell'apposito carrello ma lo trovi completamente murato dai vassoi di chi ti ha preceduto.
Ammettiamolo: cucinare ogni giorno qualcosa di buono, per centinaia di persone, con un budget contenuto e con una cucina spesso distante decine di chilometri dal luogo del consumo, si è rivelata una missione impossibile. Per questo urge trovare una soluzione alternativa alle mense, scolastiche o aziendali che siano. Aiutateci anche voi a stilare il Manifesto antimensa nei commenti per capire precisamente dove è possibile migliorare. Dopodiché non ci resta che sperare nell’avvento di un luminare della ristorazione che accolga il nostro accorato appello.
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