5 cibi che abbiamo noi calabresi e voi no
• Pubblicato 26 Gennaio 2015 Aggiornato 30 Gennaio 2018 11:26
La Calabria è molto di più di ‘nduja e sopressata: vi raccontiamo 5 cibi tipici di questa regione che non si trovano uguali in altre parti d’Italia.
La Calabria non è solo peperoncino, soppressata e ‘nduja. Di tesori gastronomici ne vanta un’infinità, molti dei quali solo qui si possono trovare e gustare. Saperi e sapori tramandati che hanno fatto la storia di questa regione, retaggio della tradizione contadina e pastorale. Tra specialità note e meno note, ne abbiamo scelte 5 che marcano l’identità della tavola calabrese.
- Cominciamo non da un piatto ma da un frutto speciale e sacro, nel vero senso della parola, per tanti. Non parliamo del rinomato bergamotto o della clementina, ma del cedro. Si, perché in Calabria, e in pochi in Italia lo sanno, cresce il cedro più pregiato al mondo, introdotto in questa terra all’epoca dei Bizantini e da allora mai più innestato. Un cedro, se vogliamo definirlo così, puro. Tanto che, ogni anno, rabbini da tutte le nazioni percorrono migliaia di chilometri per raggiungere la Calabria e raccogliere con le loro stesse mani il prezioso frutto. Cresce nella zona nota da secoli chiamata Riviera dei Cedri, nell’alto tirreno cosentino, tra i paesi di Cirella (frazione di Diamante), Santa Maria del Cedro e Scalea. Il cedro viene selezionato dai rabbini per celebrare la purificazione dell’anima durante la Pasqua ebraica.
- Da considerare altrettanto sacro, ne converranno soprattutto i catanzaresi, è il Morzeddu o Murseddu. Il piatto calabrese per eccellenza che celebra il quinto quarto. Il nome deriva dallo spagnolo almuerzo, cioè spuntino. Questo stufato di trippa insaporita con cipolla, sedano, carota e peperoncino è servito dentro una forma tipica di pane locale casereccio, la pitta, e quindi, gustato a morsi. Tipico soprattutto dell’areale di Catanzaro. Esiste anche una versione di morzeddu che prevede oltre la trippa anche il fegato, il polmone e il cuore.
- Una pietanza tra le più antiche è la stroncatura, il vero cibo dei poveri, risalente dell’epoca in cui niente andava buttato e sprecato. Si tratta di un tipo di pasta tipica della Piana di Gioia Tauro e diventato uno dei simboli della regione, preparato ancora oggi nelle case. Nata un tempo per riutilizzare gli scarti della molitura del grano, come crusca e resti di farina, che erano raccolti da terra, spazzati. Oggi non è più ammesso l’utilizzo di queste materie ma la tradizione è perpetuata con farine di grano duro e integrale. Particolare è la consistenza, grossolana, ruvida. Il formato ricorda quello delle fettuccine. La ricetta originaria prevede un condimento di olio, peperoncino, alici, olive, aglio e pangrattato.
- Frutto della storia recente, conclamato da tutti come patrimonio che identifica la pasticceria calabrese ed è stato riconosciuto come IGP, è il tartufo di Pizzo. Il suo cuore di cioccolato fondente è una goduria, chi l’ha assaggiato la prima volta difficilmente lo dimentica.Si tratta di un gelato di nocciola e cioccolato che si modella sul palmo della mano, ricoperta con polvere di cacao. Il disciplinare prevede l’utilizzo di soli ingredienti naturali e a inventarlo fu Giuseppe De Maria, chiamato Don Pippo, del Bar Diana.
- Il dolce che invece non manca mai nelle case calabresi sono le crocette di fichi ripieni, retaggio della Magna Grecia e dessert invernale per eccellenza. I fichi sono farciti con noci e scorza di arancia, poi intrecciati a forma di croce, o fiore, e cotti nel forno.
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