Intrufolarsi nella fabbrica della Loacker per dirvi com’è
Siamo stati a visitare la fabbrica Loacker a Bolzano, protetta da controlli e riservatezza: vi raccontiamo cosa abbiamo visto e, soprattutto, mangiato.
Se trovaste un biglietto d’oro nella vostra merenda al cioccolato, quale fabbrica andreste a visitare? Per noi viziosi la scelta è stata facile: la Loacker. Nonostante il nome possa trarre in inganno, Loacker è un marchio italiano e pur distando solo qualche centinaio di chilometri dalla Pianura Padana, le sue fabbriche sono più difficili da visitare di quel che si possa immaginare. Oltre che dal segreto industriale, gli impianti sono protetti dai boschi, dalla neve e dai tornanti dell’Alto Adige. Per poterli vedere da vicino bisogna davvero essere il vincitore della Tortina d’oro bianco Loacker, premio del concorso a estrazione La bontà vince; oppure uno dei fortunati giornalisti scelti per accompagnarlo.
I controlli sono rigorosi: pass obbligatori, niente fotografie ai macchinari, nessuna contaminazione nell’area di produzione. Lo stabilimento storico di Auna di Sotto/Interinn, a mille metri d’altitudine, si raggiunge con un treno per Bolzano e con un viaggio in funivia fino all’altopiano del Renon: l'aspetto ambientale è cardine nell'azienda, dai riscaldamenti al latte munto nelle stalle vicine osservando il susseguirsi di vigneti, pascoli, boschi, si comincia a intuire perché la famiglia Loacker, dopo aver aperto la prima pasticceria a Bolzano nel 1925, abbia deciso di allontanarsi da ogni area urbanizzata. Da allora, l’attenzione alla qualità dell’ambiente sembra essere diventata uno degli aspetti fondamentali dell’azienda: il calore dei sette forni in cui si preparano i wafer viene utilizzato per fornire energia agli uffici soprastanti; ogni scarto di preparazione (intorno al 2-3% della produzione totale) viene riutilizzato nella ricetta delle creme; soprattutto, il latte munto a poche stalle di distanza è lo stesso che viene usato per preparare le quattordici farciture che arricchiscono le cialde, ma anche quello con cui si producono i formaggi della mensa aziendale. Da poco più lontano arrivano le nocciole, sempre italiane, mentre il cacao è importato dalla Costa d’Avorio.
L’atmosfera, nella fabbrica, è familiare. Il caffè si beve tutti insieme in salette che somigliano a cucine di casa (lavastoviglie compresa), e operai e dirigenti pranzano agli stessi tavoli, cosa per nulla scontata in una multinazionale come Loacker, divenuta tale negli anni ’70: ad Auna di Sotto si producono tonnellate di wafer al giorno, esportate in più di cento paesi. La tendenza ecologica si scontra con la realtà industriale: come conciliare un’auto a idrogeno, utilizzata per gli spostamenti fra le due fabbriche (la seconda si trova a Heinfels, pochi chilometri oltre il confine austriaco), con esportazioni in camion o in nave in paesi come gli Emirati Arabi e Israele, in cui anche la refrigerazione è dispendiosa? Come trasferire il calore dell’atmosfera familiare in prodotti ermeticamente confezionati e venduti in spazi commerciali quasi sempre anonimi?
Si tratta di uno dei maggiori enigmi dell’industria alimentare contemporanea, divisa fra la globalizzazione delle disponibilità alimentari e la difesa dei prodotti tipici (non necessariamente del proprio paese di residenza). Per tentare di risolverlo, Loacker punta molto sui negozi monomarca, per ora aperti in Alto Adige, Trentino, Verona e Bergamo, decorati con i nanetti pasticceri mascotte dell’azienda e rappresentazioni locali della realtà Loacker; ma per lo stesso motivo e in apparente contraddizione, ad avere maggiore successo sono quegli store che oltre a vendere i prodotti confezionati hanno un reparto di pasticceria fresca: alla Moccaria Loacker di Bolzano, in piazza Walther, ci si mette in fila per un espresso con la crema originale alla nocciola, o per una fonduta alla vaniglia in cui intingere frutta fresca e quadratini.
Loacker, vista da vicino, è una grande fabbrica di cioccolato, Armin Loacker non è un eccentrico Willy Wonka, i dipendenti sono quasi tutti altoatesini molto più alti di un Umpa Lumpa. Basta però allontanarsi di poche centinaia di chilometri perché l’immagine cominci a sfocare: tornati a Milano o a Roma, fra gli scaffali del supermercato i prodotti Loacker brillano forse perché sono quelli dalla farcitura più fine, forse perché sono quelli che comprava la nonna e a cui si rimane inconsciamente legati. Il prossimo concorso Loacker, La bontà ti premia sempre, prevede premi sicuri ma non la possibilità di visitare gli stabilimenti produttivi: la fabbrica Loacker richiude le porte, tornano in scena i prodotti.