Zuppa inglese: tutto quello che c’è da sapere
La zuppa inglese, presente in molte varianti, discende dal trifle inglese o ha ragione l’Artusi? Ve ne raccontiamo la storia, a partire da una leggenda.
Potremmo definirla un Italian trifle, la zuppa inglese. Un po’ come l’insalata russa che diventa insalata italiana. Sciocchezze, naturalmente, ma la mia è una traduzione alla buona di quello che è il trifle inglese, di zuppa c'è ben poco, salvo un generoso bagno nel liquore, solitamente alchèrmes ossia un dolce composto da strati di crema pasticcera, dadini di frutta, biscotti tipo savoiardi o pan di Spagna imbevuti di sherry, porto o vino maderizzato, con la frutta sospesa in strati di gelatina o poggiata sul pan di Spagna per tre o quattro strati (gli americani, che esagerano sempre, arrivano sino ad otto). Il primo trifle noto è pubblicato nel 1587 in The Good Housewife’s Jewel di Thomas Dawson. Successivamente vanno ad aggiungersi alla ricetta originale le uova e la crema pasticcera. La prima ricetta che include la frutta in gelatina nel 1747 si trova ne L’arte in Cucina scritto da Hannah Glasse. Similarmente in Austria e in Germania esiste un dolce chiamato Punschtorte. In Italia inspiegabilmente prende il nome di zuppa inglese: di zuppa (soup) c’è ben poco, salvo il bagno nel liquore, solitamente alchèrmes o rum.
L’alchèrmes è un liquore italiano (di origine araba) usato per dolci e preparazioni a base di alcol etilico, zucchero, cannella, cocciniglia, chiodi di garofano, cardamomo. È noto quello prodotta a Firenze dai frati di Santa Maria Novella, ed era il liquore preferito dalla famiglia Medici, soprattutto da Caterina. Si usa anche nella ciaramicola un dolce a base di meringhe e pan di Spagna imbevuto del liquore, che è prodotto utilizzando 80-100.000 insetti per litro. Attualmente è prodotto con E120 (rosso) per non utilizzare il colorante derivato dalla cocciniglia. Come liquore si usa tuttora, per quanto sempre meno in voga.
Una leggenda ferrarese racconta che Sir Charles O’ Connor, scalco inglese del ’500 inviato alla Corte degli Estensi, propose il Trifle con grande successo: da qui il nome di imbevuto (zuppa) nell’alcol, all’inglese. I cuochi della corte ferrarese provando a riprodurre la ricetta e trovandosi nell’impossibilità di reperire gli ingredienti originali, finirono per rielaborarla con le materie prime che avevano a disposizione, cioè con la bracciatella (una morbida ciambella della cucina emiliana), vino dolce o alchèrmes o vino di Zante (vinis Xante o vin santo) e alla panna subentrarono le creme.
La zuppa inglese è molto diffusa in Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio. Ogni regione ovviamente se ne attribuisce la paternità. Gli ingredienti ufficiali sono: pan di Spagna o ciambella, savoiardi, tuorli per la crema, farina, scorza di limone, latte, zucchero bianco. La bagna a base di liquore varia da regione a regione. Fra 1822 e il 1834, Vincenzo Agnoletti pubblica diversi manuali dedicati alla cucina, ma nel particolare ci interessa il Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto moderno del 1832. Nel II libro, a pagina 76, si legge: “Zuppa all’inglese. Antremé – Si fa come il marangone, ma i biscotti si bagnano con il rhum, e sopra si finisce con una marenga cruda, o al forno, o con una crema, o candito d’uovo, o marmellata, e si guarnisce con confetture, spume, brillante”.
Più borghese l’Artusi che ne La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene, per la ricetta numero 675, scrive: “In Toscana ove, per ragione del clima ed anche perché colà hanno avvezzato così lo stomaco, a tutte le vivande si dà il carattere della leggerezza e l’impronta, dov’è possibile, della liquidità – l'artusi descrive la ricetta più diffusa in toscana, in cui la crema è meno soda la crema si fa molto sciolta, senza amido né farina e si usa servirla nelle tazze da caffè. Fatta in questo modo riesce, è vero, più delicata, ma non si presta per una zuppa inglese nello stampo e non fa bellezza. Eccovi le dosi della crema pasticcera, così chiamata dai cuochi per distinguerla da quella fatta senza farina. Latte, decilitri 5. Zucchero, grammi 85 Farina, o, amido grammi 40. Rossi d’uovo 4. Odore di vaniglia. Lavorate prima lo zucchero coi rossi d’uovo, aggiungete la farina e per ultimo il latte a poco per volta. Potete metterla a fuoco ardente girando il mestolo di continuo; ma quando la vedrete fumare coprite la brace con una palettata di cenere o ritirate la cazzaruola sull’angolo del fornello se non volete che si formino bozzoli. Quando s’è già ristretta continuate a tenerla sul fuoco otto o dieci minuti e poi lasciatela diacciare. Prendete una forma scannellata, ungetela bene con burro freddo e cominciate a riempirla nel seguente modo: se avete una buona conserva di frutta, come sarebbe di albicocche, di pesche od anche di cotogne, gettate questa, per la prima, in fondo alla forma e poi uno strato di crema ed uno di savoiardi intinti in un rosolio bianco. Se, per esempio, le scannellature della forma fossero diciotto, intingete nove savoiardi nell’alkermes e nove nel rosolio bianco e coi medesimi riempite i vuoti, alternandoli. Versate dell’altra crema e sovrapponete alla medesima degli altri savoiardi intinti nel rosolio e ripetete l’operazione fino a riempirne lo stampo”.
Il dolce presenta alcune varianti: oltre alla crema pasticcera di base a volte si usa quella al cioccolato, e quindi il rum. In alcune ricette compare la marmellata per quanto l’Artusi la sconsigli; in altre la gelatina (colla di pesce e frutta a dadini come nel trifle). Altre ricette integrano la preparazione con il caffè ma si rischia di sconfinare nel tiramisù. Alcuni, infine, aggiungono la cannella. Nel caso usiate il rum state attenti a usarne di bianco e giovane: risulta meno forte e copre meno gli altri sapori.
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