Acquolina a Roma: la terza vita è una bella vita
Siamo stati ad assaggiare il menu Bosco e Riviera dello chef Daniele Lippi nel ristorante Acquolina, a Roma: ecco com’è andata.
Le vite di Acquolina, ristorante stellato da che io ricordi, sono state 3. La prima era quella di Angelo Troiani (Il Convivio Troiani) con al pass Giulio Terrinoni (oggi chef di Per Me). Ci mangiai a Collina Fleming, di certo non facile da raggiungere dagli altri quadranti della vasta metropoli, e mi trovai benissimo. L’idea sembrava essere quella di riprodurre piatti della tradizione romana o piatti che si sarebbero potuti immaginare facilmente a base di carne, utilizzando invece il pesce. Un’idea che ancora oggi sembra guidare l’anima del ristorante.
La seconda vita è stata brutalmente breve, come quella del suo amatissimo e compianto chef Alessandro Narducci. Si dicevano cose molto belle di quella tavola, alla quale però non ho fatto in tempo ad accomodarmi, non sapendo che l’avrei mancata per sempre a causa dell’orribile incidente di 2 anni fa (in cui, oltre ad Alessandro, perse la vita anche Giulia Puleio, collega e amica). Quanto può essere difficile rialzare la testa da una tragedia simile lo possono sapere solo i ragazzi di Acquolina e il suo proprietario e General Manager Andrea La Caita, legatissimo a Narducci. Però ce l’hanno fatta e questa terza vita, giovane e di talento, l’abbiamo vista svolgersi pochi giorni fa all’interno dell’Hotel The First Roma ARTE in via del Vantaggio 14, sede del ristorante.
L’ambiente è elegante e moderno. Appena entrati in sala si ammirano opere d’arte contemporanea – c’è un Fontana che ammicca dalla parete sulla destra – e si nota l’innegabile freschezza di tutto lo staff. C’è Carlos Manuel Soriano, barman estroso che si occupa della miscelazione – anche analcolica – sotto la guida di Alessandro Simeone (il bar manager); c’è il sommelier Emanuele Pica, dalle scelte coraggiose e a tratti impertinenti; c’è Benito Cascone, il restaurant manager con i ragazzi e le ragazze del suo staff, tutti bravissimi.
E c’è Daniele Lippi, chef tanto giovane quanto già forgiato da molte, straordinarie, esperienze. Oltre a quella più significativa al fianco di Angelo Troiani, citiamo i 3 stelle Yannick Alléno ed Enrico Crippa, giusto per fissare un benchmark. Sin dalle prime portate è impossibile negare la tecnica di livello, che si presenta alla vista con un’estetica colorata, metamorfica e giocosa – in linea con la cucina contemporanea – e nel palato con gusti incredibilmente tridimensionali.
Personalmente sono una fan dei cuochi che riescono, utilizzando ingredienti distinti, a farli rimanere tali. Distinti appunto. L’equilibrio non è dato dalla semplice fusione dei sapori nella bocca, ma dalla riconoscibilità degli stessi in un accordo più ampio e in perfetta armonia. Sostenuto spesso da un uso sapiente di acidità, profondità, consistenze. Lippi in questo è un giovane campione. Ad esempio: il Topinambur.
Molti chef hanno provato a esaltare questo tubero tanto sciocco quanto affascinante (a mio gusto, si intende), ma pochi ci sono riusciti così bene. Un ortaggio che ricorda il sapore di un carciofo che qui diventa un carciofo (dicevamo della metamorfosi), morbido all’interno e croccante fuori, come una somma delle due più importanti cotture capitoline del vegetale: la romana e la giudia. Terribilmente goloso.
Anche i piatti più arditi, come l’anguilla laccata, riescono bene a Daniele, che la porta in sala prima a forma di costina di maiale, per poi riorganizzare il piatto aggiungendovi lenticchie. Sorprendente. È grassa e complessa l’anguilla, e non è di certo il piatto più semplice da servire, quindi corretta la scelta della laccatura giapponese – con margini di miglioramento – e molto divertente il gioco delle forme, che si delinea come una caratteristica propria dello chef.
E mentre le portate si susseguono divertendo occhi e palato, stimoli interessanti arrivano anche dalle scelte del sommelier, Emanuele Pica, che fatica a cedere al convenzionale abbinamento pesce = vino bianco, e vira spessissimo sul rosso che, servito alla giusta temperatura, esalta ogni piatto nel modo corretto. Non esclude poi cocktail e birre dagli abbinamenti, dimostrando talento, intelligenza, intraprendenza.
Cenare in questo nuovo Acquolina è una gran bella esperienza. Il menu degustazione, Bosco e Riviera, va dai 120 € (6 portate) ai 150 € (8 portate), e c’è un menu che porta il nome di Alessandro Narducci, probabilmente con i suoi piatti più famosi. Però credetemi: non c’è nessun fantasma in questo ristorante. Data la storia atroce che ha attraversato Acquolina, storia peraltro piuttosto recente, sarebbe sciocco negare che un pensiero volerà sempre a Giulia e Alessandro quando si varca la soglia del ristorante. Ma quello che succede poi, una volta entrati, è assolutamente fragrante, reale, propulsivo, indipendente. Certo, rimangono il ricordo, l’affetto e l’enorme senso di gratitudine, ma i ragazzi guardano avanti, ed è assolutamente giusto così.