I best of di Agrodolce 2022: le nostre migliori esperienze
Anche per il 2022 chiudiamo l’anno con il Best Of Agrodolce raccontati dal nostro professore Alfonso Isinelli.
Il 2022 doveva essere l’anno della rinascita per la ristorazione, dopo il biennio durissimo segnato dal Covid. E così è stato: la reazione dei clienti ai tempi di reclusione cui la pandemia ci ha costretto, ha portato al pienone, quasi dovunque, almeno fino alla stagione estiva. Ma la recessione, legata al conflitto russo/ucraino, ha cominciato a segnare l’ultima parte dell’anno (qualche ristorante di cui avrei scritto in questo riepilogo sta affrontando cambiamenti importanti o è a rischio chiusura).
E il 2023 si annuncia veramente duro: anche solo a livello di percezione, potrebbero mettersi in discussione molto degli attuali modelli ristorativi, anche se lo si dice da anni, crisi ne abbiamo passate e, tutto sommato, il modello ha retto. Ma bando, almeno per il tempo di un articolo, ai pensieri nefasti e via con il best of 2022.
- Pranzo dell’anno: Materia e Andreina
- Chef dell’anno: Luigi Lepore e Nino Rossi
- Ristorante dell’anno: AALTO
- Premio speciale menu dell’anno: I M pasta, ristorante Dina
- Apertura dell’anno: Cala Luna dell’Hotel Le Calette
- Giovane dell’anno: Gaetano Verde, Charleston – Palermo
- Sorpresa dell’anno: Edoardo Tilli, Podere Belvedere
- Trattoria dell’anno: Erbaluigia, Buatta, Frangente
- Servizio dell’anno: Giulia Battistini, Trattoria da Lucio e Alessandra Quattrocchi, Modì
- Piatti dell’anno
Pranzo dell’anno: Materia e Andreina
Due pezzi grossi della cucina italiana che sono arrivati ad una maturità espressiva importante. Davide Caranchini a Cernobbio nel suo Materia ha traslato le sue esperienze e alcuni dettami previsti dalla modernità, in una cucina personale che non scimmiotta nessuno e si apre al territorio magistralmente con eleganza e forza: salmerino e finocchio, animella e carote, le linguine al burro con il garum di agone sono piatti che restano nel cuore e nel palato.
La cucina di fuoco e braci di Errico Recanati ha trovato il suo compimento nella bellezza rinnovata della sala storica (non perdetevi il tavolo davanti alla spettacolare griglia). Le radici familiari di Andreina a Loreto sono radicate nei piatti di Errico, che declina questa ancestrale classicità con occhio attento, mai prono, all’oggi. Il suo piccione, tra marinature, fuoco indiretto e fiamma finale, accompagnato dal tocco di anguilla laccata, sfoglia di patate al lardo e fiori di sambuco, così come il matrimonio terra/mare tra testina e moscioli, sono dei must imperdibili.
Chef dell’anno: Luigi Lepore e Nino Rossi
La Calabria, che fino a non molti anni fa era regione gastronomicamente reietta, sta diventando sempre più punto di riferimento per appassionati e cultori del buon cibo. Due magnifiche esperienze, nel giro di 24 ore, me lo hanno confermato. Uno Luigi Lepore, nel ristorante che porta il suo nome a Lamezia Terme, è stata per me una sorpresa, l’altro, Nino Rossi nel suo Qafiz a Santa Cristina d’Aspromonte (che al magnifico cocktail bar Aspro, sta aggiungendo quattro accoglienti camere) una conferma.
In una linea di cucina dove la Calabria è protagonista tra sardella, ‘nduja, stroncatura, salaturo, alloro e tutto il resto, a partire dagli amuse bouche, pratica ormai stanca e onanistica, qui centrati come perfetta introduzione al pasto che verrà. Il ditale con baccalà alla brace, salaturo e origano fresco e l’animella, sardella, peperone e ribes rosso di Lepore e la trota con i fagioli pappaluni, arancia e artemisia e il risotto con pecora, sugo allo scoglio, porcini sott’olio e nepitella di Rossi sono piatti che valgono il viaggio ovunque vi troviate.
Ristorante dell’anno: AALTO
Bisogna togliersi il cappello di fronte a Claudio Liu che a Milano ha creato un piccolo impero gastronomico sotto l’insegna IYO: Experience, aperto nel 2007, otto anni dopo ha conquistato la stella Michelin, primo nello stivale a farlo con un ristorante dove non si faceva cucina italiana. Agli inizi del 2020 nella Torre Solaria, nella nuova Milano, l’apertura di Aalto, che nonostante le difficoltà della pandemia ha trovato la via del successo (e anche lui della stella). Un locale bellissimo, nella struttura, negli arredi, nella luce che lo avvolge, diviso in un bancone omakase, dove accanto al sushi master Masashi Suzuki potreste trovare il patron, pronto a coprire qualche buco. E il ristorante, con un personale di sala elegante, competente e alla mano, con ai fornelli Takeshi Iwai, ormai nippo-italiano che fa godere con i migliori mondeghili del pianeta, lo spaghetto aglio e olio servito come una soba, l’abbinamento tra cozze e cavallo. Pensiero libero.
Premio speciale menu dell’anno: I M pasta, ristorante Dina
Siamo travolti da una pletora di menu degustazione, spesso imposti, che quando non convincono annoiano ( o viceversa fate voi): pochi, anzi pochissimi, si distinguono. Poi ci sono quelli, rari, che ti fanno sobbalzare sulla sedia. Tra questi, il migliore dell’anno in assoluto è quello di Alberto Gippone che continua, imperterrito, ad andare per la sua strada che non è quella confortevole, di accarezzare il cliente, ma lo pone di fronte a spigoli, stimoli, anche qualche schiaffo. Lui è uno dei, non molti, che può permettersi di farlo, come nel menu I M pasta, che è un viaggio, rigorosamente gipponiano, intorno la nostra portata iconica. Riuscitissimo. Vi dirò solo di un piatto su tutti: passatelli, brodo ghiacciato di carciofi, menta, limone, parmigiano. Astenersi anime belle. E poi c’è Aoristo (ma questa è un’altra storia…).
Apertura dell’anno: Cala Luna dell’Hotel Le Calette
Oggi anche in Italia, dove questa tradizione era meno frequente che altrove, molte delle esperienze gastronomiche migliori si fanno nei ristoranti delle strutture alberghiere. Sono investimenti importanti, dove il ritorno economico è lungo e difficile, anche quando il ristorante va bene, ma che servono ad accrescere il prestigio di una struttura. La famiglia Miccichè, proprietaria del magnifico Le Calette a Cefalù, ha scelto Dario Pandolfo per partire con questa nuova avventura.
Cala Luna per Pandolfo, tornato in Sicilia dopo esperienze da Geranium e Niederkofler, è stata una scelta azzeccatissima, anche per il suo metodico rigore che si traduce non nel già visto, ma in un continuo lavoro di definizione sui piatti, che sulla Sicilia puntano: il risotto con formaggio di capra girgentana, salsa di cozze alla marinara e aglio nero semplifica al meglio la cucina di questo giovane, da gustare affacciati sulla costa di Cefalù.
Giovane dell’anno: Gaetano Verde, Charleston – Palermo
Mettersi ai fornelli, ad appena venticinque anni, di una delle istituzioni della cucina siciliana e non solo, il Charleston – 55 anni di storia prima a Palermo, oggi nella storica spiaggia di Mondello – è una sfida da far tremare i polsi. Gaetano Verde, palermitano tornato a casa dopo varie esperienze all’estero, l’ha accettata e vinta, anche grazie all’umiltà di capire dove andava a cucinare, modulando passato e presente.
Nel suo menu ci sono i classici appena alleggeriti, come gli involtini di pesce spada, e le novità che si inseriscono nello stile maison come la ventresca di tonno, farinello, limone al sole e jus di manzo e gli splendidi ravioli di maialino nero dei Nebrodi con salsa al Marsala Vergine. E un futuro luminoso.
Sorpresa dell’anno: Edoardo Tilli, Podere Belvedere
Per godere dei dei piatti sorprendenti di Edoardo Tilli bisogna salire sulle colline chiantigiane sopra Pontassieve, immergersi nella natura che circonda Podere Belvedere, godere del panorama, vedere razzolare gli animali nel cortile e poi sedersi a tavola nella bella sala da pranzo da casa di campagna, gestita da Klodiana Karafilaj.
Oggi si usa e si abusa dei termini ancestrale, fuoco, fermentazioni, fino a banalizzarli, ma questa tavola tutto assume una dimensione fortemente legata al dintorno (ma sempre guardando al mondo): andate e godete del brodo di gallo con garum di pollo arrosto e fiori di calendula, del daino con ostrica alla griglia e vellutata di erbe amare, dello spaghetto grigliato con brodo di prosciutto e anemoni di mare, prima della meravigliosa carne nel finale. Ci farete sapere.
Trattoria dell’anno: Erbaluigia, Buatta, Frangente
Le trattorie sono la spina dorsale della cucina italiana: legano tradizioni, luoghi, usanze, memorie, convivialità, attraverso piatti, ricette, vini, approccio alla storia e alla cultura gastronomica del nostro paese. Ce ne sono ancora apparentemente tante in giro per lo stivale: quelle che tramandano questi messaggi legandole all’oggi sono molte meno, bisogna scovarle, frequentarle, divulgarle. Ve ne segnalo le tre, ognuna con le sue caratteristiche, che più mi hanno colpito quest’anno.
Erbaluigia a Pisa, dove Tatiana Porciani mi colpito al cuore con le sue minestre, in particolare quella di trippa, pioppini, zenzero e lemongrass; Buatta a Palermo, una delle tessere del Virga-Milano Empire, dove Fabio Cardilio, toltosi la giacca stellata, conforta con il ragusano all’argentiera e i ravioli di ricotta al quinto quarto; Frangente a Milano, dove Federico Sisti surfa su quel modello dai confini poco chiari (ma qui sicuramente no) di trattoria contemporanea. Qualsiasi cosa voglia dire, i suoi cappelletti ripeni di carne, burro, un tocco di aceto e bottarga ti rimettono al mondo.
Servizio dell’anno: Giulia Battistini, Trattoria da Lucio e Alessandra Quattrocchi, Modì
La sala è parte integrante del ristorante, ormai dovremmo averlo capito: gli attori che mettono in scena le scelte del regista, senza soverchiare uno le competenze dell’altro. Non è facile lo sappiamo e quando succede eleggiamo il posto dove vorremmo tornare quanto prima. Mi è successo a Rimini, da Lucio, dove Jacopo Ticchi officia sulle frollature di pesce e una squadra cordiale, allegra, competente moltiplica l’esperienza al cliente. Capo della ciurma Giulia Battistini che non sbaglia un colpo.
Tornerei domani, così come a Torregrossa, due passi da Milazzo, al ristorante Modì, dove la centratissima cucina di Giuseppe Geraci è accompagnata in sala dalla cortesia e competenza di Alessandra Quattrocchi che in più ha strutturato una carta dei vini nella quale immergersi per originalità di scelta, sia per etichette che per annate.
Piatti dell’anno
È giusta la battaglia delle donne per togliere da premi e riconoscimenti la categoria chef donna dell’anno, come se fossero una specie protetta che fa un mestiere a parte, sempre inserita nella mistica della cucina delle nonne e delle mamme che ai fornelli erano magiche. Ma altrettanto giusto tratteggiare le storie di chi in cucina con forza e professionalità ha intrapreso la strada che ha portato e porterà al successo. I miei piatti dell’anno li hanno realizzati cinque donne siciliane, ognuna con le sue storie, chi officia nell’isola, chi è emigrata (Valentina Chiaramonte), chi è tornata ai fornelli quando pensava che mai più (Bianca Celano), chi ha deciso di chiudere con il fine dining (Arianna Consiglio), chi non ha avuto timore di raccogliere la gravosa eredità paterna (Francesca Barone), chi, timida e silenziosa, ha posto le basi per essere una grande del prossimo futuro (Tiziana Francoforte). Quanto mi piacerebbe vederle cucinare insieme.
Animella di vitello alla brace, radicchio, kefir e melograno (Valentina Chiaramonte, Consorzio, Torino)
Vitello tonnato (Arianna Consiglio, Exit Pastificio Urbano, Milano)
Corallini, cozze, patate, estratto di gamberi (Bianca Celano, Materia Spazio Cucina, Catania)
Cucuzza, tenerumi, conchiglie, bottarga (Francesca Barone, Fattoria delle Torri, Modica)
E come dessert Burro e alici (Tiziana Francoforte, Aja Mola, Palermo)
E per finire il primo mio desiderio, per il 2023, è riassaggiare la chiaiozza di Marco Ambrosino, ormai suo signature dish, nel nuovo ristorante che aprirà a Napoli.