Tradizioni di famiglia: Champagne Louis Roederer
Louis Roederer è una delle maison storiche dello champagne: siamo stati a visitare l’azienda, le vigne e ad assaggiare i loro magnifici champagne.
Un giardino assolato ad Ay, uno dei comuni simbolo della Champagne, in una giornata che descrive perfettamente la fine di un’estate insolitamente siccitosa e calda per queste latitudini. roederer, storica maison della champagne Il cambiamento climatico in tutto il suo preoccupante splendore: mentre qui risplendono quasi 30 gradi e un cielo blu oltremare, contemporaneamente a Roma si sta abbattendo un nubifragio violentissimo che sta allagando la città. Ironia della sorte, rispetto ai cittadini della Capitale nel calice passano in rassegna liquidi certamente più interessanti della pur vitale acqua piovana. Il giardino è quello del pressoir della Louis Roederer, uno dei 3 siti in cui la storica maison pressa le uve atte a divenire champagne. Questo non è che l’ultimo step di un percorso che ha toccato vari temi, dalla storia all’ambiente (e quindi il clima), fino a giungere alla prova tangibile, sotto forma liquida, di ciò che le stagioni hanno caratterizzato in un territorio tanto prestigioso quanto in cerca di un futuro a tinte sempre più verdi.
La storia
Roederer è una delle sole quattro maison oggi in Champagne che appartiene ancora oggi ai discendenti del suo fondatore, divenendo un unicum nel momento in cui, nella sua lunghissima storia, il controllo della maison è in mano alla stessa famiglia dal 1776 il controllo della maison è stato continuativo, indipendente e totalmente in mano alla stessa famiglia sin dal 1776. È nel 1833 che Louis Roederer decise di andare controcorrente rispetto a quelli che erano gli usi della regione: mentre tutti acquistavano le uve dai viticoltori, lui puntò sui migliori vigneti a disposizione per poter controllare totalmente il ciclo produttivo. Una scelta che si rivelò vincente, come quella di piantare solo Pinot Noir e Chardonnay perché ritenuti gli unici vitigni adatti a vini di lungo invecchiamento (il Meunier è tutt’oggi l’unico vitigno acquistato). In questo modo, già nel 1860, la maison arrivò a toccare il traguardo delle 2 milioni di bottiglie, ovvero il 10% di tutta la produzione di Champagne (contro l’1,4% di oggi e una produzione nemmeno raddoppiata), e Roederer divenne sinonimo di qualità eccelsa, tanto che già nel 1870, grazie a Louis Roederer II, si aprirono le strade dell’export verso gli Stati Uniti e la Russia.
In particolare si deve allo zar Alessandro II e alla paura di subire l’ennesimo attentato, la nascita, nel 1876, della più antica cuvée de prestige: il sovrano russo chiese a Roederer di avere uno champagne personalizzato, con la bottiglia trasparente per poter individuare eventuali sedimenti di un avvelenamento e con il fondo piatto per impedire di nascondere nell’incavo, tipico delle bottiglie champenois, esplosivi o altre armi. La soluzione? Un fondo piatto molto spesso, per sopperire anche alla perdita di resistenza alla pressione, e una bottiglia interamente in cristallo realizzata appositamente in Belgio: nacque così un mito, nacque così il Cristal.
Con la fillossera, la rivoluzione d’ottobre in Russia, la guerra mondiale e il proibizionismo statunitense, le cose cambiarono drasticamente in casa Roederer (e non solo): i due mercati principali crollarono di colpo e la maison rischiò il fallimento. la moglie di léon olry rilanciò il cristal nel 1947 Fu grazie a Léon Olry Roederer che, nel 1920, fu messo a punto uno champagne molto meno costoso dei millesimati sin lì prodotti e dal prezzo più popolare, che potesse beneficiare anche di tutti i vini presenti in cantina: nacque così il Brut Premier, quello che è diventato nel tempo il biglietto da visita della maison e che ne consentì il rilancio. Alla morte di Léon Olry subentrò la moglie Camille, donna di grande temperamento, abilissima nelle pubbliche relazioni. In seguito alla crisi finanziaria del 1929, decise di rispondere con un colpo ad effetto: rilanciare il Cristal. Non più nella bottiglia di cristallo, ovviamente, ma in una bottiglia di vetro che ne ricalcasse le caratteristiche; era il 1932 ma, con la seconda guerra mondiale, la commercializzazione della prima annata slittò al 1947. Non avendo figli, Camille lasciò il timone al nipote Jean-Claude Rouzaud: agronomo ed enologo di formazione, decise di rimettere al centro della maison il prezioso patrimonio di vigne, cominciando a impostare un lavoro che ha portato a quella che oggi è l’importante svolta biodinamica messa in pratica dal figlio Frédéric dal 2006, la settima generazione della famiglia, con il contestuale ampliamento della proprietà attraverso l’acquisto di aziende sia in Francia che all’estero. Un risultato che riscontreremo direttamente tra i filari e, successivamente, nel calice.
L’arte dello Champagne
Prima di affondare i piedi tra i filari, si scende nel regno di Jean-Baptiste Lécaillon: le cantine costruite nel 1865 nel pieno centro di Reims, un dedalo sotterraneo di 7 km in cui riposano circa 27 milioni di bottiglie. Tutto è rimasto come era stato pensato in origine da Louis Roederer: al piano terra l’imbottigliamento e i contenitori di varia natura utilizzati per la fermentazione; al livello inferiore si conservano i vini di riserva; nell’ultimo livello le bottiglie riposano per la maturazione. Apparentemente molto semplice, nulla di estremamente complesso. Salvo scoprire che ogni singola parcella (delle 410 di proprietà) è vinificata separatamente, che i grappoli provenienti dalle vigne del Cristal più giovani, quelle con meno di 25 anni, sono vinificati a parte e utilizzati come liquer d’expedition. E che a monte le vigne sono tutte da selezione massale proveniente dal vivaio aziendale, un unicum in Champagne, al cui interno c’è la più ampia e importante varietà clonale di Pinot Noir.
Si susseguono i dettagli tecnici: nessuna aggiunta di zuccheri in fermentazione (la cosiddetta chaptalisation) e queste sono fatte partire tramite un piede de cuve (ovvero facendo preventivamente fermentare una piccola parte di mosto che funziona da attivatore) e niente fermentazione malolattica svolta per ammorbidire l’acidità naturale (se non in rari casi e per quantità limitate di vino). Da qui si scende nella biblioteca dei vini di riserva, un vero e proprio tesoro conservato in 150 fusti di legno (inclusi alcuni di questi dedicati alle liqueur d’expedition che sono conservate per 15 anni), equivalenti a 1,5 milioni di bottiglie, tutti dedicati ovviamente al Brut Premier (in una misura del 10% per ogni annata). Un immobilizzo di questa portata, dedicato al prodotto meno caro della gamma e che annualmente è tirato in circa 3 milioni di bottiglie, sarebbe teoricamente un sistema antieconomico; non per una maison indipendente, a gestione familiare, che mira al mantenimento dello stile e al rispetto della proprio storia.
Si scende ancora per respirare il fascino del Cristal: il 2012 sta riposando, con le operazioni di remuage – rotazione delle bottiglie sulle pupitre in senso orario e antiorario secondo uno schema ben preciso – interamente manuali. Un lavoro di pazienza e attesa, il contributo dell’uomo alla realizzazione della magia che lo champagne e pochi altri vini al mondo sanno regalare. Il buio e la temperatura costante, l’assenza di vibrazioni e il silenzio ci accompagnano in un dedalo di bollicine.
Le vigne
E quindi uscimmo a riveder le stelle, o meglio le vigne. Ben 240 ettari di proprietà per 3,5-4 milioni di bottiglie; tra questi ben 140 ettari in biodinamica decretano Roederer come il più grande produttore bio della regione. starck ha fornito una sua visione di champagne a jean baptiste lécaillon Prima tappa la vigna Les Chèvres di Cumières, villaggio 1er Cru nella Valle della Marna, esposta a pieno Sud da cui nasce il Brut Nature con la collaborazione di Philippe Starck. Il designer ha fornito, dalla prima edizione del 2006 con un primo esperimento del 2003, una sua visione di champagne (ovviamente affidando a Jean-Baptiste Lécaillon la traduzione in liquido delle sue intuizioni). Per realizzare il suo ennesimo disegno, si è deciso di attingere da qui, da una delle poche vigne piantate in maniera promiscua e i cui grappoli sono raccolti e pressati assieme solo quando il Pinot Noir arriva a maturazione. Uno champagne nato e pensato per essere non dosato, grazie alle uve di Les Chèvres e alla loro maturazione che arriva in maniera più spinta di altri cru, selezionandole solo nelle annate più calde e ricche. Una vigna con piante risalenti al 1920 e con una forte radicazione biodinamica, essendo stata acquistata dalla maison Leclerc Briant, famosa per il lavoro ivi svolto da Hervé Jestin, uno dei guru in champagne nell’applicazione delle teorie steineriane.
Da qui si passa al mito, alla vigna del Cristal: è alle porte di Ay ed è denominata Goutte d’or, la goccia d’oro: un giardino perfettamente esposto, con le piante più vecchie che risalgono al 1959. È il trionfo del Pinot Noir e una strada divide la parcella dedicata al Cristal Rosé da quella del Cristal: scelta ponderata in base alla composizione del terreno e già dall’assaggio delle uve si percepisce il perchè di questa divisione. Da qui il palato reclama ancora maggior concretezza attraverso il calice.
Il calice
Indipendenza, tradizione, famiglia e biodinamica condensati in quella che è una carrellata di assaggi che fa emergere un altro aspetto che non è mai stato sottovalutato, ma che anzi è stata una discreta presenza durante tutto il percorso: lo stile, l’identità di una maison che ha cercato in maniera coerente di portare avanti una propria visione dello champagne. Più o meno ovunque sentirete far riferimento al concetto dell’eleganza, molto più difficile vederla applicata davvero, come ad esempio nel Rosé Vintage 2013 (67% Pinot Noir – 33% Chardonnay): dal color arancio-cipria, come lo definiscono alla maison, è un rosé ottenuto direttamente in pressa, quindi senza aggiunte di vino rosso, in cui l’eleganza olfattiva che gioca su mandarino, arancia e lamponi è di perfetta rispondenza in bocca, sottile e fresca nel rivelare l’annata tardiva.
Più strutturato e complesso il Vintage 2012, della medesima composizione: subito polvere pirica, sfacciata e affascinante, poi il gioco tra frutto giallo e rosso si fa avvincente con la pesca e la prugna che sfumano sull’arancia. Un sorso pieno, gustosamente sapido, più carnoso e sensuale dell’omologo rosato ma che non cede mai in tensione e succo. Qui il millesimo generoso si manifesta in tutta la sua muscolare fierezza.
Su altro registro il Blanc de Blancs Vintage 2011, ovviamente da uve Chardonnay in purezza: affusolato, diretto, asciutto pur avendo il medesimo dosaggio dei vini precedenti (8 gr/l), riesce ad essere la fotografia dei terreni gessosi di Avize con sensazioni minerali e floreali bianche e fresche, con il limone e il lime per un inno territoriale in perfetto riscontro al palato.
Il Brut Nature 2009 (⅓ Chardonnay, ⅔ tra Pinot Nero e Meunier) testimonia con l’annata calda e siccitosa gli intenti della maison: realizzare uno champagne che può essere bevuto in assenza di dosaggio pensandolo già dalla vigna, escludendo qualsiasi tecnica per ammorbidirlo, compresa la più facilmente ipotizzabile fermentazione malolattica. Il tutto per essere fedele allo stile Roederer e, contemporaneamente, seguire le intuizioni e le ispirazioni di Philippe Starck. Ne scaturisce uno champagne introverso all’olfatto, scuro, minerale, intenso, con il frutto maturo che torna al sorso, affilato, potente senza essere inutilmente spigoloso.
Sua maestà Cristal 2009 è sempre fedele a se stesso ed è sempre 60% Pinot Noir e 40% Chardonnay. seguendo il millesimo è accogliente e morbido, setoso e cesellato, un ricamo di acidità nel sorso lo percorre suggerendo di non attendere troppo per berlo, un Cristal che avrà come sempre una felice evoluzione ma che può essere goduto fin da ora. A questi assaggi, altri se ne sono succeduti, tra cui spiccano una straordinaria e giovanissima coppia composta dal Blanc de Blancs e del Vintage nel magnifico millesimo 2008 e, per chiudere, un indimenticabile Cristal 2002. Per capire che niente è casuale e tutto riconduce a indipendenza, tradizione, famiglia e biodinamica.