Cibreo toscano, storia di un piatto rinascimentale
Il Cibreo è un piatto tipico toscano che affonda le sue origini in un passato lontano. Ecco cos’è e la ricetta di Pellegrino Artusi.
Il cibreo ha origini antiche, addirittura rinascimentali. È un piatto tipico della tradizione fiorentina a base di creste di pollo, bargigli, testicoli di pollo, zampe di gallina. Tra i suoi estimatori Caterina de’ Medici, che tentò senza successo di esportare la ricetta in Francia, e Pellegrino Artusi: lo storico gastronomo nel suo libro cult “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” lo definisce “un intingolo semplice, ma delicato e gentile, opportuno alle signore di stomaco svogliato e ai convalescenti”.
Da dove nasce il nome
Incerta l’etimologia della parola “cibreo”: per il filologo Napoleone Caix proviene dal latino volgare cirbarius, derivante a sua volta da cirbus (rete intestinale). Mentre il linguista Giovanni Alessio ritiene le origini etimologiche ben più nobili: cibus regius ovvero cibo reale anche se il termine sembra decisamente più tardo rispetto alla tradizione classica latina. Il linguista Angelico Prati guarda al termine francese civé (il moderno “civet”), da cive: cipolla, dal latino caepa. Versione avallata anche dall’enciclopedia Treccani e da altri illustri studiosi. Singolare la versione fornita dal commediografo Giambattista Fagiuoli, poeta giocoso e commediografo attivo alla corte del Granduca di Toscana alla fine del Seicento: letteralmente cibreo sarebbe un miscuglio di oggetti e di parole. Tesi sposata da Aldo Santini, scrittore e giornalista livornese noto per essere un profondo studioso di tradizioni e ricordi toscani.
Pellegrino Artusi descrive così la preparazione del cibreo nel suo libroLa ricetta di Artusi: “Prendete fegatini (levando la vescichetta del fiele) creste e fagiuoli di pollo; le creste spellatele con acqua bollente, tagliatele in due o tre pezzi e i fegatini in due. Mettete al fuoco in proporzione, prima le creste, poi i fegatini e per ultimo i fagiuoli e condite con sale e pepe, poi brodo se occorre per tirare queste cose a cottura” si legge. E ancora: “a tenore della quantità, ponete in un pentolino un rosso o due d’uova, con un cucchiaino, o mezzo soltanto, di farina, agro di limone e brodo bollente frullando onde l’uovo non impazzisca. Versate questa salsa sulle rigaglie quando saranno cotte, fate bollire alquanto ed aggiungete altro brodo, se fa d’uopo, per renderla più sciolta, e servitelo”. Artusi consiglia per gli ingredienti: “per tre o quattro creste, altrettanti fegatini e sei o sette fagiuoli, porzione sufficiente a una sola persona, bastano un rosso d’uovo, mezzo cucchiaino di farina e mezzo limone”.
La specialità fiorentina può contare su una citazione d’autore nel libro Pinocchio seppur con qualche variazione sul tema della ricetta originale. Carlo Collodi scrive: “Dopo la lepre si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d’uva paradisa; e poi non volle altro […] Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio”. Parole che danno l’idea di quanto il piatto sia profondamente legato alle tradizioni della città gigliata.
Un indirizzo sicuro dove provare il piatto con i ritagli di pollo è il ristorante Cibreo di Fabio Picchi da oltre quarant’anni è punto di riferimento per una cucina fiorentina che fa del recupero della tradizione e della qualità delle materie prime il suo punto di forza.
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