Ciccio Sultano: il cuoco Barock
Ciccio Sultano, chef del Duomo di Ragusa, raccontato da un inviato molto speciale: Roy Paci.
“Chi si nasconde nella tenerezza non conosce il fuoco della passione” (Alda Merini). E’ il calore della mia terra a chiamarmi. Dopo qualche tempo passato a girovagare per il mondo io ho bisogno di tornare in Sicilia. Necessito di attraversare lo stretto e lasciarmi tirare a riva da quella sorta di richiamo atavico che ho capito negli anni essere iscritto nel mio DNA. nonostante le molte esperienze all'estero, ciccio sultano ha deciso di tornare in Sicilia per restare Non è solo per il fatto che la mia famiglia è lì o per il mare con le sue coste commoventi, è una questione di fuoco, di fiato e di umido. Mi manca il respiro dell’Etna che, ci vogliate credere o no, è la radice della mia esistenza, la sostanza prima del mio percorso. Ciccio Sultano è come me. Più coraggioso per la verità perché lui in Sicilia ci è tornato davvero. Dopo molte esperienze all’estero e pur avendo constatato che il suo mestiere sarebbe stato più “facile” fuori, ha riattraversato lo stretto e non si è più voltato indietro. Ciccio è un amico, un’ispirazione, un sentimento forte e impetuoso come un’eruzione dell’Etna o un’onda che si spacca sulle spiagge di Marina di Ragusa. Ciccio è la Sicilia, quella che rispetta il passato ma prova ogni giorno a vestirsi del futuro. Ciccio è l’emblema di genio e sregolatezza, o come direbbe il suo alter ego musicale Charles Mingus, “peggio di un bastardo”.
“Ah ma non parlatemi delle tradizioni siciliane come sacrosante e inamovibili – l’ho sentito dire – se fosse per me farei saltare in aria tutti i carretti siciliani! Spazio ad altre cose, altrimenti come possiamo pensare di evolverci?”. Mi sembra quindi giusto cominciare questo nuovo anno culinario raccontandovi di lui:
Ciccio non è sfumature, è colori primari. Ogni qualvolta ho il piacere di sedermi a tavola al Duomo (Via Capitano Bocchieri 31 a Ragusa) mi esplodono in testa bolle piene di giallo, rosso, verde e ciano. I suoni che sento non sono delicate sinfonie da camera ma ritmi serrati e prorompenti, come un ensemble di tamburi dell’isola di Sado incazzati. Nessuna mezza misura nella vita e in cucina. Tanto studio e moltissima esperienza. Una sicurezza all’apparenza un po’ sbruffona ma che trova la sua giustificazione in ogni suo piatto. Ciccio è un eccellente risultato dello spirito siciliano: combattivo, coraggioso e spacchiusu. Tutti amano definirlo uno chef barocco forse perché incastonato in quel gioiello architettonico di Ragusa Ibla, ma c’è tutto un mondo di sottrazioni e addizioni dietro la sua cucina e, mi permetto di dire, anche dentro di lui. Per me lui è barock, il vero depositario della cucina dei monsù siciliani, con una passione sfrenata per la musica, tale da spingerlo a creare un piccolo corner da dj nel ventre della sua fantasmagorica cantina di vini e distillati di mezzo mondo. Chef Sultano non va capito, analizzato o scomposto, va amato tout court o, se proprio non ce la si fa, anche odiato. “Io lancio sempre delle sfide, agli altri certo, ma prima di tutto a me stesso. Non voglio adagiarmi sui traguardi già raggiunti o sulle lusinghe che ricevo, continuo a sperimentare, ad accostare elementi che sembrano dissonanti e invece si scoprono fratelli”.
E’ il caso di Ostrica e Piccione, un cucchiaino di puro godimento e di azzardata bontà che al primo passaggio sulla lingua sembra creare un po’ di confusione tra sangue, mare, sale e succo di patata e limone. Invece no, è solo un’illusione momentanea, un trick dei sensi che accompagna alla rivelazione della fusione perfetta tra cielo, mare e terra. La sua grande forza di volontà traspare anche attraverso una brigata fortissima che si piega dinanzi all’onda d’urto del suo Capitano: in sala la sua fidanzata Gabriella accompagna gli ospiti con dolcezza in una cavalcata gastronomica mozzafiato e il mitico sommelier Valerio, esalta ogni piatto con sentori rari e pregiati. Ciccio crede fermamente nella comunicazione dei pensieri, gli stessi che gli permettono di sprigionare energia in perfetta simbiosi con le leggi dell’Universo. Nonostante mi trovi in Sicilia sento riecheggiare le famose sirene di A foggy day in San Francisco, del maestoso album mingusiano Pithecanthropus Erectus. Fanno da sottofondo alle ultime parole che mi rivolge king Sultano prima di lasciarmi: “Caro Roy, creare un piatto è come improvvisare jazz: puoi rifarlo mille volte, ma rispecchia sempre emozioni e umori di quel momento”. Grazie Ciccio, la tua taliata (sguardo, in siciliano) è il più bell’assolo che Ragusa potesse mai regalarmi.
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