Come aprire un franchising: guida completa
Aprire un franchising comporta sia vantaggi che svantaggi, ma di certo si configura come una scelta interessante per chi si avvicina per la prima volta alla ristorazione. Se le competenze o le risorse economiche non consentono di gestire tutto in autonomia, il franchising rappresenta un’opzione da valutare attentamente.
Come aprire un franchising nell’universo dei bar e della ristorazione? È questa una delle domande che più frequentemente viene posta da chi desidera inaugurare una nuova attività imprenditoriale, con l’aiuto di un grande gruppo alle spalle. E, in effetti, optare per il franchising significa proprio ottenere un supporto costante su questioni, burocratiche e non, che potrebbero rendere la vita davvero difficile per chi dovesse trovarsi solo sul mercato. Ma quanto c’è di vero in questa credenza e, soprattutto, quali sono i passi operativi per aprire un’attività di questo tipo?
Non si può dire che il franchising in Italia non stia riscuotendo un certo successo: stando ai dati raccolti da Assofranchising, questa modalità copre oggi ben l’11% di tutto il settore della ristorazione, con oltre 4.700 locali sparsi su tutto il territorio dello Stivale. Ed è destinato a crescere in futuro, poiché i grandi gruppi – le cosiddette “catene” – stanno diventando sempre più rilevanti e amate dal pubblico. Di seguito, tutto quello che c’è da sapere per aprire un’attività in franchising, dall’accordo da stipulare fino agli adempimenti di legge.
Cosa si intende per franchising
Prima di analizzare tutti i passi dell’apertura di un’attività in franchising nel settore della ristorazione, è utile fare un passo indietro. Cosa si intende, infatti, per franchising? Lo spiega la relativa legge, la 129/2004, quella che regola le affiliazioni commerciali:
“L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare beni o servizi”
In termini più semplici, si tratta di un accordo in cui un titolare di prodotti e servizi – il cosiddetto franchisor – concede a un soggetto terzo – ovvero il franchisee – la possibilità di sfruttare i propri marchi e il proprio know-how per l’apertura di un’attività commerciale. Nel mondo dei bar e della ristorazione, questo si traduce in grandi catene di esercizi aperti al pubblico, capaci di offrire la medesima esperienza ai clienti indipendentemente dalla dislocazione sul territorio dello Stivale.
In altre parole, si viene a configurare uno speciale rapporto dove il titolare dei prodotti e dei servizi si occupa non solo di standardizzare e unificare l’esperienza – dall’arredamento ai menu, dal listino prezzi alle promozioni – ma anche di definire la strategia commerciale, mentre all’imprenditore terzo spetta l’onere di aprire materialmente l’attività e di farla crescere dal punto di vista economico.
I vantaggi del franchising per il singolo imprenditore
Per chi decide di entrare nel mercato della ristorazione, affidarsi a un contratto di franchising potrebbe garantire numerosi vantaggi:
- un investimento iniziale minore, soprattutto se il contratto sottoscritto comprende la ricerca e la predisposizione dei locali;
- la possibilità di sfruttare un marchio già ben conosciuto, con il quale i consumatori hanno già sviluppato un senso di appartenenza e di fiducia;
- la certezza di approfittare di un know-how già rodato, abbattendo così i costi per l’elaborazione della strategia commerciale o di ricerca e sviluppo;
- la possibilità di ottenere assistenza dal franchisor in caso di questioni burocratiche di difficile risoluzione;
- forniture direttamente gestite dal franchisor, con una riduzione dei costi d’inventario;
- l’azzeramento dei costi di pubblicità e promozione, solitamente a carico del titolare del marchio;
- la possibilità di ripartire proprio con il franchising la responsabilità del successo commerciale dell’esercizio aperto al pubblico, che corrisponde a un rischio d’impresa più ridotto.
Gli svantaggi del franchising per il singolo imprenditore
Ovviamente, quando si decide di aprire una realtà in franchising, bisogna tenere in considerazione gli svantaggi, soprattutto in relazione all’apertura diretta di un locale di propria amministrazione:
- la necessità di corrispondere un costo d’entrata e, se previsto dal proprio accorto, anche delle royalties – fisse o variabili – nel tempo;
- l’impossibilità di personalizzare la strategia commerciale e l’esperienza in base alle proprie necessità oppure a quelle della clientela del proprio luogo di residenza;
- l’incapacità di poter gestire a proprio piacimento i listini, che saranno sempre definiti dall’alto in base alle necessità del franchisor;
- la necessità di sottoporsi a gran parte della burocrazia che regola normalmente l’apertura di bar e ristoranti, nonostante l’attività commerciale e promozionale non sia a proprio appannaggio;
- una maggiore difficoltà nel confrontarsi con la concorrenza diretta, soprattutto se particolarmente creativa oppure capace di fornire un servizio localmente targettizzato, considerando come invece i franchising si basino sull’uniformazione e la standardizzazione dell’offerta;
- non avere la piena titolarità delle proprie scelte di business.
Requisiti per poter aprire un’attività in franchising
Prima di poter pensare di aprire un’attività in franchising, è necessario verificare di essere in possesso di tutti i requisiti previsti dalla legge per lanciarsi in attività di ristoratore. Anche in questo caso, le imposizioni di legge sono le medesime previste per bar e ristoranti: in altre parole, la presenza di un franchisor non esula il franchisee da nessuna necessità normativa.
I requisiti personali e professionali
Come di consuetudine, la legge di riferimento è la 287 del 25/08/1991, che definisce innanzitutto i requisiti personali e professionali per l’apertura di un’attività aperta al pubblico con la somministrazione di alimenti o bevande. Innanzitutto, è necessario:
- aver raggiunto i 18 anni d’età;
- aver frequentato la scuola dell’obbligo, secondo le normative vigenti (a oggi, dai 6 ai 16 anni);
- essere in possesso della necessaria formazione.
Il requisito della formazione si esplica con il soddisfacimento di almeno una delle seguenti condizioni:
- aver ottenuto un diploma di scuola superiore, con un corso di studio – come, ad esempio, quello dell’istituto alberghiero – incentrato sulla commercializzazione, la somministrazione o la preparazione di elementi;
- aver seguito un corso SAB per la somministrazione di alimenti e bevande;
- essere iscritti al REC, ovvero al vecchio registro esercenti;
- aver accumulato un’esperienza di almeno due anni con società che si occupano della preparazione, della somministrazione e della commercializzazione di prodotti alimentari.
Sarà poi necessario ottenere l’attestato HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point), l’evoluzione del vecchio libretto sanitario, e aver aperto opportuna Partita Iva. Per i bar il relativo codice ATECO è il 56.33.00 (“Bar e altri esercizi simili senza cucina”), mentre per il ristorante è il 56.10.11 (“Ristorazione con somministrazione”).
I requisiti morali
Sempre come avviene anche per bar e ristoranti non legati ad attività di franchising, la legge prevede anche il soddisfacimento di alcuni requisiti morali, così come definito dall’articolo 71 del Decreto Legislativo 59 del 26/03/2010. Non possono infatti dedicarsi ad attività aperte al pubblico nel settore della ristorazione:
- chi è stato dichiarato delinquente abituale;
- chi è sottoposto a misure cautelari;
- chi ha ricevuto una condanna con sentenza passata in giudicato, per un delitto non colposo e pena non inferiore a tre anni;
- chi si è macchiato di reati come ricettazione, riciclaggio, frode in commercio, usura, bancarotta fraudolenta, estorsione, rapina e violenza;
- chi ha commesso reati contro l’igiene e la salute pubblica.
I requisiti del locale: come ci si comporta in un franchising?
Naturalmente, la legge prevede anche degli specifici requisiti per il locale dove si andrà a inaugurare la propria attività di franchising. A differenza delle attività autonome di bar e ristoranti, in questo caso vi è una questione preliminare da risolvere: chi si deve occupare degli obblighi previsti dalla legge, il franchisor o il franchisee?
Rispondere a questa domanda non è affatto semplice, poiché molto dipende dal tipo di contratto che si è stipulato. In linea generale, si possono identificare due macro-categorie:
- accordo con pacchetto completo: è il caso, non eccessivamente diffuso, in cui il franchisor si occupa direttamente della ricerca del locale per avviare l’attività, concedendolo poi in uso al franchisee. In questo caso, è proprio il franchisor a doversi occupare di tutti i requisiti previsti dalla legge;
- accordo di sfruttamento dei marchi e della strategia di business, senza pacchetto completo: se, invece, i due attori stringono un contratto per lo sfruttamento del marchio e della proprietà intellettuale, così come della strategia di business, senza che però vi sia posta in essere anche la fornitura del locale, è il franchisee che se ne deve occupare. In questo caso, chi vuole aprire l’attività si occupa della ricerca e dell’adeguamento della struttura, mentre arredamenti, macchine ed elettrodomestici sono normalmente forniti dal franchisor, ovviamente perché standardizzati per tutti gli esercizi della medesima catena.
I requisiti stabiliti dalla legge per il locale
La normativa che regola i requisiti del locale è la medesima di riferimento per qualsiasi altro bar e ristorante. Anche in questo caso, sarà quindi l’ASL di zona a verificare che tutti gli adempimenti siano stati soddisfatti, tramite la verifica delle opportune certificazioni e con dei sopralluoghi.
Le necessità sono ovviamente diverse a seconda si decida di aprire un bar oppure un ristorante, di cui invitiamo la lettura delle apposite guide dedicate di Agrodolce. In linea generale, si può affermare che:
- il locale prescelto deve avere una destinazione d’uso commerciale, non si possono aprire attività in luoghi a uso abitativo, residenziale o privato;
- si dovranno rispettare i vincoli paesaggistici e storici del luogo dove si aprirà l’attività;
- dovranno essere rispettate tutte le normative sulla sicurezza e l’igiene, sia per le persone che per la cura degli stessi alimenti o bevande.
Entrando maggiormente nel dettaglio, per i bar la legge prevede che:
- vi sia una superficie calpestabile superiore agli 8 metri quadrati;
- l’altezza dei locali sia almeno di 3 metri, 2.70 in presenza di controsoffitti con aspirazione;
- vi siano finestre o lucernari pari a ⅛ della superficie del pavimento del locale o, in alternativa, vi sia un impianto di aerazione forzata;
- vi sia un’illuminazione adeguata per i piani di lavoro e per le porzioni critiche del locale;
- si predispongano servizi igienici adeguati sia per il pubblico che per il personale, che dovranno essere fra loro separati e accessibili ai portatori di handicap.
Per i ristoranti, oltre a quelli già elencati vi sono degli adempimenti aggiuntivi da soddisfare:
- la cubatura minima è di 25 metri quadrati, l’altezza è la medesima dei bar;
- ogni posto a sedere dovrà disporre di almeno 1.20 metri quadrati;
- i tavoli dovranno avere una superficie minima di 80×80 centimetri, con sedie dalla seduta non inferiore a 40×40 centimetri, e il passaggio fra un tavolo e l’altro non dovrebbe mai essere inferiore ai 40 centimetri;
- vi deve essere una sufficiente areazione, naturale o forzata, per almeno ⅛ della superficie calpestabile;
- vi deve essere un’illuminazione naturale con le medesime proporzioni.
Gli obblighi per magazzini, servizi igienici e cucina
Ovviamente, per garantire il massimo dell’igiene e della sicurezza, le normative vigenti si rivelano abbastanza stringenti sulle aree in cui cibo e bevanda vengono conservati oppure preparati.
Anche in questo caso, si consiglia la lettura delle guide di Agrodolce dedicate sia ai bar che ai ristoranti, poiché vi sono differenze anche sostanziali fra le due attività. Sempre in linea generale, per i magazzini si può affermare che:
- deve essere prevista un’adeguata scaffalatura, in materiale lavabile e igienizzabile, con un’adeguata separazione tra cibi, stoviglie e utensili da cucina;
- devono essere presenti adeguate attrezzature ed elettrodomestici – come frigoriferi e congelatori – per la conservazione dei cibi;
- sugli scaffali gli alimenti dovranno essere separati per tipologia, per evitare contaminazioni incrociate;
- in caso di esposizione degli alimenti al pubblico, dovranno essere conservati in apposite vetrinette termoregolate – caldo e freddo – il cui accesso sarà esclusivamente ammesso ai dipendenti del locale;
- si dovrà creare un percorso d’ingresso delle materie prime che non ammetta retrocessioni, quindi dal magazzino alle dispense o alle celle frigorifere, quindi all’area di preparazione e alla cucina e infine la consegna al cliente.
Per quanto riguarda l’area di preparazione dei cibi, invece:
- devono essere previsti dei rivestimenti idonei, lavabili e igienizzabili, meglio se in piastrellatura, per un’altezza di almeno due metri;
- il pavimento della cucina deve essere liscio, facilmente lavabile e dotato di griglia di raccolta con sifone. Dietro al bancone del bar deve esserci un riferimento sempre facilmente lavabile e non assorbente;
- dovranno essere usate vernici atossiche in tutte le aree a contatto con i cibi;
- le finestre delle aree di preparazione dei cibi dovranno essere amovibili e dotate di apposite protezioni anti-insetto, come le zanzariere;
- i piani di lavoro devono essere in superfici dure, non porose e facilmente lavabili, come l’acciaio o la ceramica, e possibilmente separati per tipologia di cibo;
- in tutte le aree di raccolta delle stoviglie da lavare devono essere presenti lavastoviglie professionali e ad alta temperatura.
Sul fronte dei servizi igienici, invece, è sempre necessario ricordare come sia indispensabile separare le aree predisposte per lo staff da quelle invece utilizzate dal pubblico. Di conseguenza:
- spogliatoi e servizi igienici per lo staff devono essere in due ambienti separati;
- è necessario che gli ambienti igienici siano piastrellati fino a 2 metri d’altezza o, in alternativa, prevedere un adeguato rivestimento lavabile;
- i lavabi, sia per il personale che per il pubblico, devono essere dotati di sistema di erogazione a pedale oppure a fotocellula;
- devono essere predisposti sistemi monouso per l’erogazione del sapone e delle salviette di asciugatura, nonché cestini a pedale;
- per i servizi aperti al pubblico è necessario rispettare tutte le normative previste per i portatori di handicap, come ad esempio la presenza di apposite rampe e strumentazione adeguata.
Gli adempimenti burocratici dell’attività in franchising
Anche sul fronte degli adempimenti burocratici, l’attività in franchising vede una sostanziale divisione degli oneri tra franchisor e franchisee, a seconda degli accordi presi e del contratto sottoscritto. Sempre in linea generale, è necessario:
- essere in possesso della corretta Partita Iva, con codice ATECO 56.33.00 per i bar (“Bar e altri esercizi simili e senza cucina”) oppure il 56.10.11, “Ristorazione con somministrazione”);
- essere iscritti all’INPS e all’INAIL e provvedere anche alla corretta iscrizione dei dipendenti;
- essere iscritti alla Camera di Commercio, compilando la comunicazione unica di avvio di nuova attività;
- inoltrare la SCIA – la Segnalazione Certificata di Inizio Attività – presso lo sportello SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive) del proprio Comune;
- ottenere la licenza UTF dall’Agenzia delle Dogane in caso si vogliano vendere o servire superalcolici;
- corrispondere la rispettiva tassa SIAE in caso si vogliano offrire servizi multimediali quali la riproduzione di musica o la visione di trasmissioni televisive, così come qualora si volessero organizzare eventi dal vivo;
- pagare la tassa annuale al Comune per l’esposizione dell’insegna;
- se si vuole predisporre una piccola area di consumazione all’aperto, corrispondere la tassa annuale del Comune per il permesso di occupazione del suolo pubblico.
Come già accennato, capire chi si debba occupare di questi adempimenti – tra il franchisor e il franchisee – non è semplice: tutto dipende dalla tipologia di accordi sottoscritti. Ovviamente, vi sono alcune necessità che possono essere sostenute solo dal franchisee – come appunto l’apertura della corretta Partita Iva, l’iscrizione a INPS e Inail e via dicendo. Sul fronte tasse e oboli, invece, può essere anche il franchisor a provvedere direttamente.
Bar, ristorazione e franchising: uno sguardo alla strategia di business
Come visto in apertura, la scelta di aprire una nuova attività in franchising può avere sia vantaggi che svantaggi, la cui valutazione è squisitamente personale, in base alle aspettative e agli obiettivi che si desiderano raggiungere. Bisogna però prestare attenzione alla strategia di business poiché, a differenza delle realtà completamente autonome, sarà sempre necessario un coordinamento tra il franchisor e il franchisee.
A differenza dell’apertura classica di un bar e di un ristorante, il singolo imprenditore con il franchising ha il grande vantaggio di ridurre il proprio investimento iniziale. A seconda degli accordi, si può arrivare anche a sborsare il 40 o il 50% in meno rispetto a procedere in piena autonomia: considerando come la cifra media per aprire un bar in Italia sia attorno ai 120.000 euro, si tratta di un risparmio non da poco. Allo stesso tempo, però, si dovrà rinunciare alla propria autonomia nelle strategie di business e, soprattutto, a quelle di marketing.
In un rapporto di franchising, infatti, le strategie di vendita e sponsorizzazione:
- sono decise dal franchisor, che tende a uniformarle e standardizzarle lungo tutta la catena di negozi, su tutto il territorio nazionale; questo significa che non si dovrà investire autonomamente in marketing e pubblicità ma, al contempo, non si potrà ottimizzare la comunicazione in base alle esigenze locali e localizzate del proprio target;
- lo stesso vale per le attività promozionali, quali scontistiche oppure degustazioni gratuite per agganciare nuova utenza. Anche in questo caso, la decisione spetta al franchisor, seguendo una linea pressoché unificata per tutto il territorio;
- è inoltre difficile cercare una differenziazione rispetto alla concorrenza locale, proprio poiché l’esperienza è unificata a livello nazionale, quindi sarà difficile puntare su tipicità ed eventi locali.
Per contro, però, si potrà approfittare di alcune spinte non da poco:
- la possibilità di approfittare di un marchio o di una catena già conosciuta, di cui il pubblico già si fida e che ben già conosce;
- la possibilità di approfittare di budget promozionali ben più alti rispetto alle iniziative autonome, poiché decisi e stanziati a livello locale;
- la possibilità di approfittare di una continua consulenza – di marketing, burocratica e amministrativa – spesso messa a disposizione dallo stesso franchisor per aiutare i franchisee ad accrescere il loro business.
Conclusione
In definitiva, scegliere di aprire un franchising non è una decisione semplice, poiché comprende vantaggi e svantaggi: di certo può rappresentare una modalità interessante soprattutto per chi si avvicina per la prima volta all’universo della ristorazione e, per competenze o possibilità economiche, non può organizzare e gestire tutto in autonomia.
Non dimenticare di leggere anche la nostra guida ai migliori franchising da aprire quest’anno.