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How to: cucinare il pesce d’acqua dolce

di Luciana Squadrilli 22 Gennaio 2016 09:15

Abbiamo chiesto a Maurizio e Sandro Serva, chef del ristorante La Trota di Rivodutri, di darci i consigli necessari per cucinare il pesce d’acqua dolce.

È sano, economico e – se trattato con qualche accortezza e accompagnato nel giusto modo – può essere alla base di piatti davvero squisiti, che si tratti di ricette tradizionali o creazioni di alta cucina. Stiamo parlando del pesce d’acqua dolce, ingrediente spesso snobbato dalle cucine italiane con l’eccezione di quelle che si trovano a poca distanza da corsi d’acqua e laghi dalle acque pulite. i pesci d'acqua dolce raramente compaiono sulle tavole di ristoranti e case, a causa della scarsa conoscenza in materia E pensare che un tempo, nelle zone d’Italia lontane dalle coste, questo era il pesce più consumato: più facile da pescare rispetto a quello di mare e più economico di quello necessariamente conservato, sotto sale o affumicato. Prediligendo le acque incontaminate, poi, alcune specie – le trote, in particolare – erano utilizzate per verificare la salubrità delle acque che circondavano gli antichi manieri e che venivano usate dalla popolazione, per scongiurare possibili avvelenamenti. Ancora oggi quest’attitudine è una garanzia eccellente che le loro carni siano sane e pulite, ma nonostante questo la trota compare raramente nei menu dei ristoranti e sulle tavole delle case italiane, e ancor meno altri tipi di pesci d’acqua dolce come lucci, tinche e cavedani. Colpa della poca conoscenza su questo tipo di risorsa ittica, che sconta il peso di alcuni pregiudizi (sa di fango, ha troppe spine…) e la poca diffusione sui banchi delle pescherie cittadine (mentre si trova più facilmente su quelli dei mercati multietnici, come quello di piazza Vittorio a Roma, perché soprattutto gli immigrati provenienti dall’Europa dell’Est ne sono grandi consumatori).

Il caso del ristorante La Trota a Rivodutri

la trota 2

C’è chi, invece, ha deciso di dedicare proprio a pesci (e molluschi) di acqua dolce interi menu e di farne il fulcro del proprio lavoro. È il caso dei fratelli Sandro e Maurizio Serva, che da 25 anni nel loro ristorante La Trota a Rivodutri, in provincia di Rieti, propongono cucina a base di pesce d’acqua dolce, affiancato a ottime proposte a base di ingredienti e suggestioni del territorio, dalla carne alle lumache. Nato dalla semplice trattoria aperta dai genitori Emilio e Rolanda, negli anni il locale – un’elegante villetta circondata da un giardino che si affaccia sulle acque cristalline delle fonti di Santa Susanna, incantevole laghetto nel territorio della Riserva Naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile – si è trasformato in una meta gourmet frequentata da appassionati di pesce d’acqua dolce ma anche da estimatori dell’alta cucina che arrivano qui incuriositi dalle 2 stelle Michelin ma con parecchie riserve su un menu interamente dedicato a questo ingrediente – Attraversando il lago – ed escono conquistati dalle raffinate preparazioni con cui è proposto.

sandro e maurizio serva

Proprio a Maurizio Serva abbiamo chiesto di darci qualche consiglio su come scegliere, trattare e cucinare i diversi tipi di pesce d’acqua dolce per portare in tavola dei piatti equilibrati e gustosi. sandro e maurizio serva hanno scelto di lavorare con la materia prima che li circondava, a partire dai pesci di lago Non prima di averci spiegato come mai lui e il fratello abbiano deciso di puntare in modo così netto su questo ingrediente: “Non potevamo pensare che qualcuno, dopo essersi fermato a guardare i pesci che nuotano nelle acque delle sorgenti, potesse poi venire da noi e chiederci una spigola: sarebbe stato un controsenso. Abbiamo scelto di lavorare con quello che ci circonda, a cominciare proprio dal pesce di lago. Agli inizi eravamo praticamente gli unici: la gente scappava quando leggeva il menu! Ora le cose sono cambiate, molti chef usano il pesce d’acqua dolce per i loro piatti anche se noi siamo tra i pochissimi a lavorare solo quello. L’abitudine a mangiarlo, un tempo diffusa, si è persa con il boom economico: il suo difetto è quello di costare troppo poco! Quando è arrivato il benessere, è stato abbandonato in favore di di pesci più pregiati. Oggi, poi, siamo al paradosso: si sceglie molto raramente la trota, che costa poco ed è sana, tanto da essere il pesce per eccellenza usato per gli omogeneizzati per i bimbi, ma si compra tanto pangasio di origine orientale, proveniente da alcuni dei fiumi più inquinati del mondo, che costa il doppio“.

I consigli dello chef Serva

Come sempre, la materia prima è fondamentale. E dunque, come orientarsi per scegliere al meglio?
Molto dipende dai fondali e dalla zona in cui è pescato, come accade anche per il pesce marino. Fondali puliti e rocciosi evitano che possa sapere un po’ di fango. L’acqua di fiume, poi, è l’ideale perché i pesci, per contrastare la corrente, sono costretti a stare quasi sempre in movimento e le carni diventano più sode, proprio come succede per i vitelli allevati allo stato brado anziché in stalla. Lo stesso discorso vale per i corsi d’acqua di montagna: le acque fredde rendono le carni più sode e saporite. Mangiare un coregone pescato a Bolsena, per dire, e uno del lago di Campotosto – che si trova a 1500 metri e ghiaccia in inverno – è una cosa completamente diversa, come un branzino d’allevamento e uno preso all’amo.

carpe

Maurizio, il tuo pesce preferito è la carpa, solitamente poco apprezzata per via della sensazione fangosa che spesso ne contraddistingue le carni: come mai?
Costa pochissimo, anche se in effetti di polpa se ne ricava poca, e ha un basso contenuto di grassi. Inoltre ha una consistenza molto interessante e un sapore di fondo che può reggere il confronto con quello di una grandissima ricciola.

Ma cosa si può fare per ovviare al retrogusto di fango talvolta presente?
Vi svelo un segreto dei pescatori locali. I pesci d’acqua dolce hanno la capacità di vivere a lungo anche fuori dal loro habitat naturale: l’anguilla resiste per una settimana, i gamberi anche per un mese, mentre pesci come la tinca e la carpa almeno per un paio di giorni. Se arrivano appena pescati, si possono mettere in una bacinella con acqua e un goccio di aceto per far andare il via il fango.

E le spine, altro aspetto poco piacevole di molte specie d’acqua dolce?

Per quello basta armarsi di pinzetta e pazienza e si risolve.

anguilla nel coniglio, un piatto de la trota
anguilla nel coniglio, un piatto de la trota

Quali sono allora pregi e difetti principali di questo ingrediente?

Tra i primi, come si diceva, quello di avere carni magre, con una media del 3% per specie come trota, coregone e luccio. Uniche eccezioni: anguilla e salmone, entrambe specie eurialine, vale a dire capaci di vivere sia in acque salate che dolci.

Dal punto di vista gastronomico il pesce d’acqua dolce sconta la poca varietà e la mancanza di un carattere preciso: come rimediamo?
Nulla è più difficile, in cucina, che lavorare una materia prima che non abbia un sapore spiccato. I crostacei sono caratterizzati dalla dolcezza, il pesce di mare ha sapidità e sfumature iodate mentre quello d’acqua dolce è più neutro. Bisogna allora giocare sui contrasti, valorizzandolo con attenzione e accompagnandolo con altri ingredienti non troppo invadenti, che gli diano una spinta senza coprirne il sapore: erbe aromatiche e spezie sono l’ideale. Con i filetti di persico, trota o luccio, per esempio, io uso spesso una marinatura con erbette come finocchio selvatico e prezzemolo e una punta di zenzero, che lo tira su.

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E per quanto riguarda la cottura? Ci sono tecniche più indicate di altre?
In questo caso, la magrezza può diventare un problema. Solitamente il pesce va cotto poco – contrariamente alle abitudini del passato – per mantenerne le carni umide, e questo vale ancora di più per i pesci magri. Spesso si usava arrostirli sulla griglia, stracuocendoli: il risultato era stoppaccioso, secco, insapore e pieno di spine! Invece bisogna scegliere cotture il più brevi possibile, soprattutto considerando che spesso si tratta di pesci di taglia piccola. Un trucco è quello di sovrapporli, in modo che ogni pesce possa cuocere bene da un lato, sulla pelle, ma rimanere umido all’interno. Oppure, si può scegliere di proteggere il pesce con una crosta, che sia di patate, verdure o altro. In generale consiglio cotture in padella o al forno, mentre non amo il sottovuoto che rischia di dare un risultato insapore e lesso.

E il crudo?

Vale il discorso già fatto, questo tipo di pesce va lavorato e accostato ad altri ingredienti. Uno scampo crudo ha il suo carattere, ma se si mangia un gambero di fiume crudo… sembra di masticare una mollica di pane sciapo!

zuppa di tinca
zuppa di tinca, la trota

Altra possibilità, le zuppe. Non a caso tra i piatti cult de La Trota c’è pure la Zuppa di tinca con passaggio speziato e capelli d’angelo, magistrale interpretazione di un classico della cucina locale.
La tinca è come lo scorfano: è perfetta soprattutto per fare brodi e sughi per la pasta, perché ha una testa grande e molte spine; mentre lo scorfano, però, è molto saporito, la tinca ha bisogno di una spinta in più, che in questo caso è data da spezie e aromi. Portiamo a tavola un piatto con del carpaccio di tinca e i capellini, e a parte mettiamo il brodo di tinca nel serbatoio di una caffettiera napoletana nel cui filtro mettiamo erbe e spezie. Facendo bollire, il brodo passa per il filtro ed estrae gli aromi. Ne viene fuori una specie di tisana, un brodo molto elegante e aromatico che poi è versato nel piatto cuocendo delicatamente il carpaccio e insaporendo pesce e pasta.

Una sfida particolarmente difficile, invece, è stata quella di trovare l’impiego migliore per il coregone, o lavarello, molto diffuso sia nei laghi laziali e umbri sia in quelli prealpini.
È quello più diffuso, da molti è considerato il migliore tra i pesci d’acqua dolce ma in realtà non ha il minimo carattere. Siamo impazziti per capire come cucinarlo al meglio, e alla fine ne è venuta fuori una farcia per la pasta. La farcia, in generale, è un’ottima soluzione perché si possono usare altri ingredienti come aglio, scalogno e alloro per dare sapore, e patate o altro per dare morbidezza e consistenza. Noi abbiamo anche voluto dargli una spinta in più con una sorta di affumicatura molto interessante, che si può facilmente replicare a casa. Serve una pentola abbastanza grande da contenere un setaccio al suo interno. Sul fondo si mette della carta stagnola, per non dover poi buttare la pentola, e sopra si dispongono le erbe aromatiche e le spezie. Va bene tutto: noi usiamo rosmarino, timo, alloro e altre erbe, e poi anche qualche pezzetto di cannella, del caffè in polvere o chicchi o del tè, possibilmente nero. Si posiziona il setaccio, ungendolo con un po’ d’olio per evitare che il pesce si attacchi, e poi i filetti di coregone. Si copre con il coperchio e si accende a fiamma bassissima, facendo cuocere per circa un’ora e mezza. In questo modo il pesce assorbe gli aromi e acquista un profumo fantastico. La componente aromatica nei piatti è fondamentale, pensiamo di mangiare con la bocca ma in realtà lo facciamo soprattutto con il naso.