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Tradizioni millenarie: come si fa il sake e come si beve

di William Pregentelli • Pubblicato 13 Gennaio 2015 Aggiornato 14 Aprile 2016 15:03

Il sake è una bevanda tradizionale giapponese che deriva dalla fermentazione di un particolare tipo di riso, detto sakamai. Vi raccontiamo come si produce.

Se vi siete imbattuti nelle pagine a china di un manga o avete visto qualche puntata di un anime, sicuramente avrete notato qualche personaggio seduto al tavolo di un ristorante o al bancone una bevanda della tradizione giapponese che nasce dalla fermentazione del riso di un chiosco bere uno strano liquido, versato da una piccola boccettina di ceramica in una specie di piattino dal fondo piuttosto concavo. Molto più probabilmente avrete semplicemente richiesto al vostro ristoratore giapponese di fiducia un assaggio di sake. Noi di Agrodolce abbiamo deciso di spiegarvi qualcosa in più su questa bevanda di tradizione nipponica, cercando di raccontare la storia, il processo produttivo, e come si beve questo nettare che nasce dalla fermentazione del riso.

Storia

sake antichità

È una storia molto lunga quella del sake, come accade spesso per tutte le bevande fermentate, come ad esempio vino e birra. Le prime testimonianze della produzione di sake in Giappone, ci riconducono al III secolo d.C. quando alcune fonti iniziano a registrare l’abitudine di produrre questa bevanda e le procedure necessarie. La consuetudine di far fermentare una parte del raccolto di riso per trarne una liquido alcolico e inebriante è probabilmente databile già durante il periodo Jomon, intorno al III secolo a.C., quando questo cereale iniziò a essere coltivato in Giappone in maniera intensiva. Da qui in poi, innovazioni produtive e tecniche, una scelta più oculata delle materie prime, l’osservazione più efficace degli eventi biochimici della fermentazione, comportarono un enorme balzo qualitativo nella produzione di sake.

sake

Nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, per sopperire alla carenza del riso fondamentale per la nutrizione, le fabbriche giapponesi di sake iniziarono ad aggiungere alcol nel processo di produzione per aumentare la quantità di bevanda da immettere sul mercato. Ancora oggi i sake si posso dividere in due categorie: quelli derivanti dalla sola fermentazione del riso, di qualità superiore, e quelli in cui è aggiunto alcol.

Come si fa

sake produzione

Se per fare un buon vino servono ottime uve, per fare un grande sake è necessario un riso eccellente. Quello utilizzato per questa bevanda si chiama Sakamai ed è un po’ diverso il riso per produrre il sake è diverso da quello per il consumo alimentare e si chiama sakamai dal classico riso per l’alimentazione: i chicchi sono leggermente più grandi in modo da sopportare meglio la raffinatura. Il cuore del chicco, formato dall’amido, fondamentale per la fermentazione, è morbido e poroso; dopo la cottura al vapore dei chicchi, questo spazio diventa l’habitat ideale per l’Aspergillus Oryzae, una specie di muffa che permette all’amido di trasformarsi in zucchero. A questo punto inizia una prima fermentazione che dura circa 6 giorni.

Aspergillus_oryzae

Gli zuccheri presenti nella materia prima sono pronti per diventare cibo dei saccaromiceti e trasformarsi in alcol: si aggiunge acqua e inizia la seconda fase della fermentazione che vede diversi step; il primo a 4 °C per una settimana; poi a 15 – 20 °C per 2-3 settimane; infine la temperatura viene abbassata a 10 °C per la filtrazione finale che avviene per precipitazione.

Come si beve

sakè

Se avete visto il vostro ristoratore giapponese di fiducia scaldare il sake con la lancia della macchina del caffè, sappiate due cose: quel liquido è di scarsa qualità e lo sta servendo nel modo sbagliato. Solo i prodotti più dozzinali necessitano di essere scaldati per evitare gusti e odori poco interessanti. Il nihonshu, il nome più corretto per questo vino di riso, è una bevanda versatile, che come il vino e la birra, ha una molteplicità di sfumature e tipologie. Quando è di ottima qualità, va bevuto fresco, circa a 9-10 °C, soprattutto in estate. D’inverno invece può essere scaldato, ma mai a temperature elevate e mai in maniera aggressiva.

bere il sakè

Il tokkuri, la tipica bottiglietta di ceramica con cui si serve il sake, va immersa in acqua a 40 °C e generalemnte non deve superare questa temperatura per poter apprezzare meglio sfumature e sapori. Esistono sake più secchi adatti ad accompagnare tutto il pasto e sake dolci, più consoni per i dessert. L’importante è sapere che non si tratta un prodotto adatto a un lungo invecchiamento: generalmente andrebbe consumato al massimo a un anno dalla data di produzione. E ora… kampai (salute)!

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