Non sei stato in Islanda se non hai provato questi 11 cibi
Squalo fermentato, merluzzo essiccato, skyr e molto altro: ecco quali sono i cibi tipici islandesi che dovreste provare durante il vostro prossimo viaggio.
Mentre la maggior parte della gente normale stava di pancia al sole a godersi il mare, io ero a fare shopping per acquistare maglie di pile, giacca a vento e copri-pantaloni impermeabili in vista delle vacanze estive. i motivi gastronomici per visitare l'islanda solitamente sono meno rispetto a quelli paesaggistici Destinazione? L’Islanda. I motivi paesaggistici per visitarla sono davvero tantissimi, un po’ meno quelli gastronomici, per ovvie ragioni ambientali e demografiche. Proprio quello di cui avevo bisogno: un po’ di sana dieta forzata, prezzi dell’alcol che avrebbero scoraggiato anche la buon’anima di Bukowski, scarsa densità di ristoranti, pochissimi quelli degni di nota. Non avevo considerato tuttavia la mia cronica curiosità e la solita fame atavica, col risultato che anche lì mi sono ritrovato ad assaggiare di tutto. Ecco dunque una lista, con relative impressioni personali, di specialità, stranezze e (al nostro palato) autentiche schifezze provate sull’Isola di ghiaccio e di fuoco.
- Olio di fegato di merluzzo. Se il buongiorno si vede dal mattino, gli islandesi ce la mettono tutta a rendere pessima la loro giornata. Nel buffet della colazione degli hotel non è raro trovare bottiglie di olio di fegato di merluzzo con bicchierini da liquore; evidentemente sono soliti sostituire il caffè con uno shottino di trigliceridi. Inutile elencarne le innegabili proprietà benefiche ma, a essere sinceri, per mandare giù una roba simile appena svegli, bisogna avere più fegato dello stesso merluzzo in questione.
- Aringhe speziate. Come in altri paesi nordici si fa largo consumo di aringhe, anch'esse servite a partire dalla colazione. Se vi disturba l’idea di ingurgitare pesce di prima mattina e preferite abitualmente qualcosa di dolce, non preoccupatevi: ce n’è una versione che prevede l’utilizzo di una miscela di spezie decisamente adatta alla realizzazione di biscotti, tipo i roccocò per intenderci. Bisogna ammettere tuttavia che non sono affatto male, specie se accompagnate a un pane tipico molto speciale.
- Hverabrauð. Il cosiddetto pane delle sorgenti calde, a base di farina di segale si presenta scuro e dolce. La peculiarità sta nel fatto che è cotto in una pentola sotto terra per 24 ore, utilizzando la geotermia: ecco perché è definito anche geyser bread. Decisamente gradevole, specialmente se imburrato, è ottimo con cibi dolci ma come già notato anche con pesci, meglio se affumicati, per creare un gradevole contrasto. Attenzione a non abusarne perché pare provochi imbarazzanti effetti collaterali.
- Skyr. Simile allo yogurt, in realtà è un vero e proprio formaggio di latte vaccino, cremoso e dal sapore acidulo. Presidio Slow Food, super proteico e con basso contenuto di zuccheri e grassi, in Islanda provano a propinartelo in tutti i modi: con i cereali, come ingrediente della cheesecake, come base di salse tipo tzatziki. Sui gruppi Facebook e forum di viaggiatori impazzano i commenti nostalgici di questo prodotto: rimane da capire se il merito sia effettivamente del suo sapore o del bel ricordo della vacanza in Islanda.
- Fish soup. Dai ristoranti di buon livello ai Kaffi (cafè), passando per i locali del porto di Reykjavik, la zuppa di pesce c’è sempre e ognuno la fa a modo suo. Gustosa e dal sapore leggermente acidulo, può contenere o meno pezzi di pesci o crostacei, specie scampi; a ogni modo è sempre la portata più economica ed è utile per placare un po’ la fame, in un Paese in cui un piatto unico di carne o pesce con contorni, in un ristorante medio può arrivare a costare facilmente anche 45 euro.
- Hàkarl. La specialità più temuta della gastronomia islandese: il famigerato squalo fermentato! Appena pescato sarebbe addirittura tossico, dato che l’animale non possiede un sistema urinario; per eliminare le tossine, le carni sono sepolte, pressate e lasciate fermentare per circa 5 mesi e poi essiccate in luoghi ventilati e lontani dalle abitazioni per ovvie ragioni olfattive. È sicuramente il simbolo della capacità di adattamento alimentare delle genti del nord dell’Isola. Attualmente è un atto di spavalderia di viaggiatori maniaci del cibo. È davvero sgradevole come sembra? Sì! O meglio, è trascurabile. Avete presente quei formaggi in cui le muffe cominciano a dare sentori di ammoniaca? Bene, togliete il formaggio, lasciate l’ammoniaca, moltiplicatela per N volte e aggiungete un vago sapore di pesce andato a male, il tutto con una consistenza spugnosa non proprio gradevole. L’assaggio è da mettere nel proprio curriculum di onnivoro, ma una volta nella vita può bastare.
- Merluzzo essiccato. Per rendere ancor più memorabile l’esperienza dell’assaggio dello squalo, in accompagnamento mi è stato servito del merluzzo essiccato. Sebbene ammorbidito con del burro, questa prelibatezza che assume le sembianze delle bende di una mummia, è probabilmente la cosa più insulsa che abbia provato. Un inutile esercizio di masticazione che a occhi chiusi potrebbe darvi l’impressione di una stuoia tenuta sul bagnasciuga e che vi lascerà un alito di acqua di porto. Lo trovate anche sotto forma di snack in bustina, metti caso che a qualcuno venga una voglia impellente mentre sta scalando un vulcano o un ghiacciaio.
- Brennivin. Per fortuna con lo squalo e il merluzzo è servito un assaggio di Brennivìn, un distillato ottenuto da cerali oppure patate e aromatizzato al cumino. La tradizione vorrebbe che vi si intingesse lo squalo per renderlo più gradevole, ma si rischierebbe di ottenere l’effetto contrario compromettendo anche il cicchetto. Nessuno può aiutarvi: in questa fase si avverte tutta la solitudine di un uomo chiamato a compiere scelte difficili. Affidatevi all’istinto!
- Carne ovina. Viaggiando sulle strade spesso sterrate dell’Isola, i paesaggi cambiano continuamente ma presentano un’unica costante. Nelle immense distese di nulla, dove lo sguardo si perde e non vi è traccia di presenza umana ci sono loro: le pecore. La domanda sorge spontanea: ma se non c’è nessuno nel raggio di decine di chilometri, questi animali di chi sono? La risposta mi è stata fornita al bancone di un pub da un pastore del posto: sono lasciati libere durante l’estate e recuperati a ottobre con un’azione che richiede anche diversi giorni. Tradizionalmente il latte ovino in Islanda non è utilizzato, gli animali forniscono soltanto lana e carne. E che carne! Potete immaginare il sapore di pecore e agnelli lasciati pascolare allo stato brado. Ma siccome da queste parti non si butta via nulla, potreste incappare in specialità quali testicoli di montone bolliti in latte acido o teste arrosto. Personalmente, oltre all’ottima carne di agnello, mi sono limitato a mangiarne anche il cuore, al Matur og Drykkur, interessante ristorante della capitale specializzato nella rivisitazione della cucina tradizionale islandese.
- Balena. La capitale del whale watching islandese è Hùsavìk, graziosa cittadina del nord da dove partono le imbarcazioni per andare a vedere da vicino i cetacei. Purtroppo durante la mia tappa le condizioni atmosferiche non hanno consentito la gita. Probabilmente un avvistamento dal vivo delle balene mi avrebbe fatto desistere dall’assaggiarle. Se siete sensibili all’argomento consiglio di passare direttamente al punto successivo. In Islanda è ancora legale la caccia e il consumo di carne di questi animali, la cui richiesta interna ormai non è molto significativa. Cruda la carne si presenta estremamente scura, servita grigliata e con qualche goccia di mostarda al miele è molto simile a carne rossa o cacciagione. La consistenza ricorda un po’ le parti più fibrose del manzo, come il diaframma. Il sapore? Ho capito perché in alcuni paesi sono contrari ai divieti di caccia. Mi fermo qui… In compenso però ci tengo ad affermare che per nessun motivo al mondo avrei mangiato una pulcinella di mare. E i vichinghi lo fanno, lo fanno!
- Birra artigianale. Il proibizionismo in Islanda fu abolito nel 1935 con una sola eccezione: la birra. Dal 1915 al 1989 è stata illegale; il suo prezzo, più basso rispetto al vino e ai superalcolici, rappresentava una minaccia di diffusione di alcolismo. Ancora oggi nei supermercati sono vendute solo lager industriali di bassissima gradazione, mentre il resto delle produzioni è disponibile nei locali e nei negozi del monopolio. La scena artigianale è assolutamente viva e ci sono diversi produttori che si divertono a replicare versioni degli stili birrari classici, utilizzando ingredienti tipici islandesi: soprattutto erbe ma anche il già citato skyr per una Gose, stile originario di Lipsia che prevede l’utilizzo di batteri lattici. Con queste premesse capite bene quanto siano durati i miei buoni propositi, alla curiosità si è aggiunto pure il fato: perfino in un villaggio minuscolo dei fiordi orientali, con soli 139 abitanti, ho trovato un brewpub aperto da qualche mese. E così stoicamente sono andato incontro al mio destino!
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