Cosa significa formaggio a latte crudo?
Vi siete mai chiesti come si fa un formaggio a latte crudo? E quali pericoli possano derivare da questo tipo di produzione? I formaggi a latte crudo sono quelli prodotti con latte non sottoposto a trattamento termico: ecco cosa sapere prima dell’acquisto
Prima di assaporare un formaggio a latte crudo, giustamente viene da chiedersi come sia fatto e quali norme debba seguire per tutelare la nostra sicurezza. Effettivamente, i rischi di lavorazioni troppo artigianali hanno spesso spinto i legislatori a disciplinare con attenzione la produzione casearia, ma per fortuna l’istituzione dei PAT (prodotti agroalimentari tradizionali) ha impedito la scomparsa di un vero scrigno di biodiversità: il formaggio a latte crudo.
Come si fa il formaggio a latte crudo?
Il formaggio a latte crudo è prodotto con latte non sottoposto ad alcun trattamento termico. In questo modo, il prodotto che ne deriva conserva tutta la flora nativa, raccontando la biodiversità del territorio in cui gli animali vanno a pascolare. Tecnicamente dovrebbe essere la soluzione ideale per offrire un formaggio che racconti l’identità unica di ogni casaro, degli animali che collaborano alla produzione e del luogo in cui si opera e si alleva.
Per lavorare il latte crudo bisogna mantenere saldo l’anello che congiunge allevamento, mungitura e caseificazione. È ciò che avviene oggi nelle malghe o nelle masserie dei piccoli produttori.
Il formaggio a latte crudo è pericoloso?
Per moltissimo tempo i formaggi a latte crudo sono stati demonizzati e ancora oggi, in parte, lo sono. Il quadro normativo recentemente aggiornato ha dato un forte sostegno e tutela alle piccole produzioni che rischiavano di soccombere sotto questi pregiudizi. Il supporto è giunto anche dall’attività di ricerca e sostegno di Slow Food.
L’industria e la grande produzione rischiavano di cancellare le produzioni di formaggio a latte crudo perché un latte termizzato cancella ogni problematica legata alla salubrità del prodotto finale, oltre a garantire la possibilità di trasportare la materia prima anche a lunga distanza, aprendo il mercato a latte di provenienza estera.
Quando si va a termizzare il latte, si perdono tutti i fermenti vivi propri di questa materia prima. Per fare il formaggio, questi elementi vengono aggiunti in un secondo momento, dopo un’accurata selezione. Se il fornitore di fermenti è utilizzato da molte aziende casearie, il prodotto finale risulterà molto simile anche a latitudine diverse e molto distanti. C’è la certezza della salubrità, ma il profilo di sapore e di aroma rischia di essere molto piatto.
Formaggi a latte crudo, il pericolo per bambini e donne in gravidanza
Quando si pensa al pericolo dei formaggi a latte crudo, si pensa sempre ai bambini e alle donne in gravidanza. In generale il problema è legato al mancato trattamento termico fatto solitamente per eliminare i potenziali patogeni presenti nell’alimento.
Nonostante gli standard di igiene che le aziende produttrici devono rispettare alla lettera, ovviamente il rischio di contaminazione del latte è maggiore. In particolare, per bambini, donne in gravidanza e anziani (ma non solo) si teme la contaminazione Escherichia coli che possano condurre alla sindrome emolitica-uremica.
Altri potenziali problemi connessi al latte crudo sono la Salmonella o il Campylobacter. Inoltre i formaggi poco stagionati, specie quelli a pasta bolle ottenuti tramite latte non pastorizzato o anche gli erborinati hanno un certo margine di rischio per la Listeria monocytogenes.
Qui avevamo parlato più nello specifico del rischio di consumare il latte crudo.
Il quadro normativo: leggi e regole
Per tutti i formaggi prodotti a latte crudo è obbligatorio recare in etichetta la specifica corrispondente, “latte crudo” se il formaggio, in fase di lavorazione, non è stato sottoposto a un trattamento risanante. Superati i sessanta giorni di stagionatura la dicitura a latte crudo può anche essere omessa dall’etichetta.
La stagionatura è fondamentale e obbligatoria perché nei formaggi freschi potrebbero svilupparsi degli agenti patogeni, dovuti al fatto che il latte non ha subito trattamenti. Spesso poi questi prodotti sono a pasta cruda, quindi la cagliata non subisce nessun trattamento termico. Molti produttori utilizzano questa dicitura anche per sottolineare la caratteristica di quel prodotto, per raggiungere quella fascia di consumatori, magari che conoscono l’argomento, sempre alla ricerca di prodotti nuovi.
I PAT, Prodotti Agroalimentari tradizionali
Il Dpr 54/1997 e leggi successive in materia di igiene avevano determinato la fine della produzione a latte crudo. Ma con il decreto ministeriale 350/1999 sono stati introdotti i PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Si tratta di prodotti racchiusi in un elenco detenuto e organizzato dalle Regioni, poi pubblicato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAF). Lo scopo dei PAT era quello di valorizzare i prodotti tradizionali di nicchia.
Nell’ambito della produzione casearia, i PAT sono legati spesso a lavorazioni a latte crudo. Si tratta per lo più di piccole produzioni, magari fatte in luoghi dove il rispetto delle norme igienico sanitarie possono non allinearsi completamente alla normativa vigente. Si usano pratiche tradizionali, che creano un formaggio che potremmo definire, rubando un termine al mondo del vino, naturale.
I PAT vanno dunque in deroga alle disposizioni igienico-sanitarie perché per tutti quei prodotti non DOP o IGP non sarebbe stato più possibile produrli sulla base del Dpr 54/1997.
Uso del latte crudo nei formaggi in Europa
In Europa la produzione di formaggi a latte crudo è molto articolata. La nazione che ne produce di più è il Portogallo. Noi siamo molto fortunati perché abbiamo due formaggi molto importanti soprattutto a livello di Pil: Parmigiano Reggiano e Grana Padano, due DOP a latte crudo. C’è anche il Fiore Sardo e altri, ma non sono moltissimi.
I disciplinari non lo prevedono sempre: 29 DOP su 55 prevedono l’utilizzo del latte crudo, con una percentuale del 52% molto lontana dal 100% custodito dal Portogallo e dall’83% dell’Austria. Il percorso, almeno per noi, è ancora abbastanza lungo.
Consigli per gli acquisti
I prodotti a latte crudo vanno sempre preferiti (fermi restando i pericoli visti sopra per determinate categorie di consumatori), specie se si vuole comprare un prodotto che racconti l’identità di chi lo produce e la biodiversità di un determinato territorio. Anche la mozzarella di Gioia del colle DOP ( ultima DOP approvata nonché eccellenza pugliese) è un formaggio che può essere prodotto a latte crudo, dove il trattamento risanante si fa con la forgiatura, quando viene gettata acqua a 70/80 gradi, operando una sorta di termizzazione.
Quando acquistiamo un formaggio a latte crudo, facciamo attenzione al suo aspetto. Il gonfiore del prodotto ci fa capire che c’è una fermentazione in atto non voluta dal produttore. Le cause possono essere molteplici, ma in ogni caso significa che c’è qualcosa che non va.
Sui formaggi stagionati si può andare a occhi chiusi: in quei casi non c’è alcun pericolo per il consumatore. Quando i formaggi vengono prodotti con latte crudo, la coagulazione avviene solo se la qualità del latte è eccellente. Se parliamo di mozzarella fatta con siero innesto e c’è qualcosa che non va nel latte, la fermentazione non parte.
Da quello il produttore può capire se ci sono delle problematiche nella materia prima, ciò che non si fa invece se si produce una mozzarella da acido citrico. Dato che l’acidificazione è indotta, la buona qualità del latte può essere sacrificata. Sono più i vantaggi che i rischi. Ovviamente si deve scegliere il posto giusto in cui fare i propri acquisti. Meglio diffidare da luoghi troppo rustici e da prodotti senza il marchio CE. In quei casi meglio prediligere formaggi con stagionatura superiore ai 60 giorni.
Foto:
- iStock