18 cose che fanno arrabbiare un piemontese a tavola
Abbiamo già parlato di come far arrabbiare italiani di varie regioni a tavola. Oggi tocca ai severi piemontesi: risate assicurate.
Ci sono certezze, tic, ossessioni e punti fermi su cui non si transige. Il piemontese a tavola è di un rigore sabaudo, ogni italiano, a seconda della propria regione, ha delle regole precise quando si parla di cibo. Mai farli arrabbiare! di una moralità granitica quando si tratta di piatti della tradizione, attento ai dettagli e ai gusti precisi. Molta forma ma soprattutto moltissima sostanza. Del resto l’enogastronomia ce l’ha nel DNA: per questo ha un palato allenato ai buoni gusti e s’aspetta sempre un livello qualitativamente alto, sia al ristorante che a cena a casa di amici. Il piemontese non è tanto uno che non sopporta, è più un tipo da “è così punto e basta”. Siamo partiti dai fastidi dei napoletani, per proseguire con i romani, i siciliani i milanesi, i liguri, e i romagnoli. Ora tocca a voi, amici piemontesi.
- Non si scivola sul grissino. L’attesa al ristorante? Mai troppo lunga, perché i piemontesi non la tollerano. Per ingannare l’arrivo della prima portata, sul tavolo non devono mai mancare i grissini, rigorosamente freschi e croccanti: rifilare ai clienti quelli molli e stantii è un oltraggio insopportabile, specie a Torino, patria dei grissini.
- Aglio, senza indugi. “Si può avere senz’aglio?”. Per evitare occhiatacce basite da parte dei commensali o dei ristoratori, è meglio astenersi dal chiedere la bagna càuda senza aglio: del resto, oltre ad essere il piatto piemontese per antonomasia, è un rito collettivo - tutti intingono le verdure nella salsa direttamente dal contenitore di terracotta - e l'olezzo pesante è considerato un effetto del tutto secondario. I puristi non transigono: la ricetta della tradizione prevede l’utilizzo di una testa d’aglio a persona.
- Ancora sulla bagna càuda. Una cosa è certa, ogni famiglia ha la sua ricetta della bagna càuda, dunque ne esistono un’infinità di varianti. Ma ce n’è una che i piemontesi davvero non tollerano, ovvero quella con la panna (utilizzata pensando di stemperare il sentore dell’aglio e renderla più digeribile). C’è chi inorridisce.
- Melius abundare…Il fritto misto alla piemontese è il piatto principe della gastronomia regionale e per questo esige ricchezza di portate. Al ristorante, il piemontese si aspetta che glie ne servano non meno di dieci, giocando di contrasto tra salato e dolce: le variazioni sul tema sono molte ma bistecche di vitello, cervella, polmone, animelle, salsiccia, fegatini, amaretti, semolino, mela e pera non possono mancare.
- Attenti al riso. Che sia nella cucina di casa, in piola o al ristorante, il piemontese doc una cosa proprio non la sopporta: il riso scotto. Solo a pronunciarlo, gli vengono i brividi. Lo tollera morbido solo se è in brodo o aggiunto a qualche minestra.
- La disputa sul risotto. Per un piemontese, non c’è niente di peggio che ritrovarsi tra i commensali un milanese convinto di conoscere tutti i segreti della cottura del risotto: se c’è un piatto emblema di cui vercellesi e novaresi vanno particolarmente orgogliosi, una vera medaglia da puntarsi al petto, è proprio il risotto. Per questo è pronto ad ingaggiare dispute senza fine su tostatura e mantecatura.
- Mai lesinare sugli antipasti. Il carrello degli antipasti dev’essere trionfale. Quando al ristorante arrivano tre piccoli assaggi, il piemontese storce (giustamente) il naso. Ma il vero banco di prova è la carne cruda: se la materia prima è di buona qualità (Fassona, adorata Fassona), basta condirla con sale, pepe, olio e succo di limone, poi c’è chi aggiunge anche piccole scaglie di Grana e, se di stagione, tartufo. L’aggiunta di altri ingredienti, insospettisce sempre.
- Il gusto dell’infanzia. Alla domanda “vuoi un antipasto?”, il piemontese risponde sempre di sì. Perché sa che il magico barattolo ripieno di verdure dal toni agrodolci - per semplificare, una sorta di giardiniera con l’aggiunta di salsa di pomodoro - è una specialità stracult, che ricorda inevitabilmente l’infanzia. C’è chi ci aggiunge anche del tonno, per renderlo ancora più goloso.
- La passione per i bagnetti. Il bollito misto è un classico della stagione autunnale e invernale, appuntamento immancabile delle grandi tavolate con gli amici. Due accompagnamenti alle carni non devono mai mancare, ovvero il bagnèt verd e il bagnèt ross (rispettivamente a base di prezzemolo e di pomodoro e peperone), con la giusta dose di aglio, comme il faut. Se mancano, sono guai, quasi meglio avere l’alito pesante.
- Magro, questo sconosciuto. Sulle tavole natalizie non mancano mai (ma anche nel resto dell’anno). Gli agnolotti sono uno di quei piatti che il piemontese considera un valore aggiunto della proprio tradizione gastronomica. Dai plin in giù, la pasta fresca esige ripieni corposi a base di carne - meglio se di arrosti e verdure avanzate nei giorni precedenti, e in questo l’agnolotto è un piatto di recupero ante litteram - ma mai di magro: unica eccezione, quelli ripieni di formaggio che si fanno nel Canavese. Se volete inimicarvi un piemontese vita natural durante, offritegli pure degli agnolotti dietetici.
- Le zie petulanti. C’è sempre una lontana parente che, pur non avendo mai cucinato in vita sua, se ne esce nel mezzo del pranzo con una frase infelice. “Io negli agnolotti ci metto il prosciutto crudo, un po’ di mortadella, la pancetta affumicata, insomma, quello che mi capita sotto mano”. Davanti ad una frase di questo genere, la mamma piemontese trasecola e fugge in cucina con la scusa di controllare la cottura dell’arrosto.
- Sacrilegio, sacrilegio! Mai buttare l’arrosto - che, come già detto, si riutilizza come ripieno degli agnolotti - e ben che meno l’intingolo: perché, per il vero piemontese, si servono rigorosamente con il sugo ristretto d’arrosto. Oppure in brodo, con burro e salvia o con il ragù di carne: davanti a tutte le altre variazioni, storce tassativamente il naso.
- Al bando la panna. Se c’è un ingrediente che il piemontese duro e puro mal sopporta, è la panna da cucina. Se poi malauguratamente la si utilizza per condire i tajarin (la morte loro è una crema delicata di formaggi langaroli con spolverata di tartufo oppure con la salsiccia di Bra) o gli agnolotti, va su tutte le furie.
- Monsieur il vino. Caro ristoratore, per quanto fighetto tu sia, non rifilare mai al cliente piemontese una bottiglia di vino cui hai incautamente appiccicato l’etichetta del tuo ristorante: se proprio lo fai, spiega almeno di che uve si tratta e le colline da cui provengono. Se poi non vuoi imbatterti in una reazione stizzita, evita accuratamente di presentarti al tavolo con una bottiglia già stappata: sul vino, l’intransigenza è assoluta.
- Parenti serpenti. “T’ho portato un vino rosso francese di quelli da leccarti i baffi”. Saranno pure superlativi, ma in fatto di vini il campanilismo ha sempre il sopravvento e ai migliori prodotti dei cugini d’Oltralpe, il piemontese preferisce sempre e comunque un dolcetto o un nebbiolo delle Langhe. Col barolo, impazzisce letteralmente.
- La prova del dolce. Scruta con attenzione, legge e rilegge, poi alza infastidito il sopracciglio: perché, nel trionfo di panne cotte, tarte tatine, tiramisù, millefoglie e tortini caldi al cioccolato - triplo orrore - manca il bunet (o bonèt)? Il dolce per antonomasia della tradizione, a base di cioccolato e amaretti rigorosamente cotto a bagnomaria, non deve mai mancare nel menù dei dolci di un ristorante.
- Domenica è sempre domenica. Non è domenica senza il cabaret di pasticcini. Nelle grandi città e nei paesi della provincia, alla guantiera di chantilly con la panna, bigné glassati e paste secche non si rinuncia mai. A Torino i pasticcini sono rigorosamente mignon, piccole delicatezze sabaude, nel resto del Piemonte invece si cresce di misura ma non si perde mai di gusto. Andare in pasticceria il giorno della festa è un piccolo rito borghese.
- D’obbligo il pussacaffé. Siete riusciti ad arrivare a fine pasto senza far arrabbiare il piemontese? Bene ora non dovete dimenticarvi del pussacaffé. Al ristorante, ma anche a casa, lui si aspetta sempre di poter scegliere tra diversi liquori, grappe, distillati e amari di vario genere. Volendo, da bere direttamente nella tazzina sporca di caffé.
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