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Quello che noi camerieri odiamo di voi

di Stefano Corrada 2 Maggio 2016 14:01

La vita del cameriere non è sempre facile, spesso a dargli filo da torcere siamo proprio noi clienti. Ecco le 5 categorie più odiate.

Eh no, adesso basta!  Gli chef sono osannati come moderni semidei, contendono la scena ai top player del calcio e rubando loro anche lo spazio nei giornali scandalistici. la leggendaria pazienza dei bravi camerieri viene messa spesso a dura prova da alcuni clientiUn volta l’idolo delle donne era Richard Gere; oggi è Carlo Cracco ad essere protagonista dei loro sogni (e che dire di Cannavacciuolo?). Poi ci sono i sommelier, il cui nome deriva dal francese antico e significava conducente di bestie da soma, col tempo mutato in addetto ai viveri e alle bevande. Nulla di più umile. E oggi invece? Anche loro, star. Degustano come non ci fosse un domani, fanno roteare calici rossi o dorati, assaggiano facendo orrende smorfie facciali, infilano senza pudore i loro nasi nei bicchieri ed enunciano con soddisfazione il ritrovamento di tracce di pipì di gatto, di sandalo, di vaniglia, di tabacco. Maddai!

giornalista

Per non parlare dei cari giornalisti. I cronisti, quelli politici o di cultura, beh quelli sono una classe eletta, con un po’ di mestiere li si riesce a prendere per il verso giusto. Sono gli altri, quelli specializzati ad andare oltre. Fuudbloggher, gastronauti, enoscrittori, recensori di guide. Loro, i moderni inquisitori del raviolo aperto, i novelli Robespierre della quinoa ripassata. Sono seguiti, osannati, il loro parere da Sibille del XX secolo decreta il successo o meno di un risotto mantecato alla liquirizia piuttosto che di un piccione glassato al caffè.

Cameriere

E voi clienti? E’ vero che noi camerieri dobbiamo essere al vostro servizio, siamo la mano lunga della cucina in sala, aiutiamo gli chef, consigliamo gli avventori, raccontiamo i piatti, intratteniamo la clientela e soddisfiamo i loro bisogni. Ma a volte è troppo. Come quando incontriamo queste 5 tipologie di clienti.

  1. IndecisoL’indeciso. Noi conosciamo i piatti, sappiamo la loro composizione, proviamo a prevedere il loro gradimento. Ma un essere maggiorenne e vaccinato deve imparare a decidersi. Il “faccia lei”, “non so di cosa ho voglia” o “non ho proprio idea” è il modo miglio per distruggere un sogno. Caro signore, cara signora, io le spiego con la pazienza di Giobbe e l’empatia di Gerry Scotti ma a decidere deve essere lei!
  2. ArroganteL’arrogante. Passi la caduta del muro, dei valori, delle distanze; ok a non formalizzarci come fossimo a Buckingam Palace, ma se ci diamo del lei non mi fa certo dispiacere. Ma va bene anche il tu, se preferisci. Ma potresti evitare di trattarmi da servo? Se lo spaghetto è scotto, la cotoletta non è fritta in burro chiarificato, il vino scelto non viene da un vigneto disposto esattamente a Sud-Ovest, io che colpa ne ho? Esprimi il tuo dissenso, comunica i tuoi bisogni, ma si potrebbero evitare insulti, risa di scherno e scatti d’ira contro il sottoscritto?
  3. amiconeL’amicone. Al contrario del precedente, questo è tutto una stretta di mano, un abbraccio, una battuta-tira-l’altra. Però se sei venuto al ristorante l’ultima volta più o meno quando si usavano ancora le lire, forse sarebbe meglio evitare certe confidenze. Io non ricordo cosa intendi per il solito, né il nome della moglie (la prima o la seconda) lì al tuo fianco. Dammi una mano e datti un po’ di contegno, vedrai che non te ne pentirai.
  4. SaputelloIl saputello. Certo devo aggiornarmi in tema food, è il mio lavoro. Conosco ad esempio il pomodoro san Marzano, il Pachino, il datterino, il cuore di bue e il piennolo, ma, no, il siccagno della valle del Belice mi manca. E anche quello di Belmonte, in Calabria. Non so se lo chef li usa, né se lo abbia mai fatto. Però se l’obettivo è ergersi ad esperto e riscuotere la stima dei commensali, beh, allora faccia pure.
  5. AnsiosaL’ansioso. Una volta, chessò, un’amatriciana andava bene per tutta la tavolata. Oggi nemmeno alla metà. C’è chi non tollera il glutine del frumento, chi il nichel contenuto nel pomodoro, chi rifiuta il guanciale per scelta etica, chi è allergico alle proteine del pecorino grattugiato. Motivazioni sacrosante. Ma c’è chi va oltre, chi sull’onda lunga dei distinguo, chiede se la pasta ha tracce di glifosfato, se il pomodoro è di serra o coltivato all’aria aperta, se il maiale era felice quand’era ancora in vita. O piuttosto se il guanciale sia stato affumicato a freddo e con che tipo di legno, e ancora se abbia sofferto quando è stato tagliato a striscioline. Rispondo come Socrate, so di non sapere. O forse era Platone?