Dal Noma a Hell’s Kitchen: Entiana Osmenzeza
Entiana Osmenzeza, chef del ristorante Sesto On Arno di Firenze, vanta un’esperienza al Noma di Copenaghen. L’abbiamo intervistata per voi.
La chef Entiana Osmenzeza ha il suo quartier generale al Sesto On Arno di Firenze e potremmo definirla la donna che sussurra alle erbe: ha ideato un menu completamente vegano e usa molte verdure verdi che richiamano la natura. dopo uno stage al Noma Entiana Osmenzeza è diventata la chef di Sesto On Arno a Firenze L’esperienza di due mesi al Noma di Renè Redzepi ha fatto scattare la molla ed è partito tutto, come ci ha raccontato la chef, secondo la quale in cucina dev’essere sempre primavera, perché cucinare è come germogliare: le piace mettere erbe nel piatto ma adora anche il rosso della barbabietola perché le ricorda l’inverno. Una tipa tosta, una chef completa ma anche una cuoca moderna che non ha paura della televisione: è infatti la sous chef di Hell’s Kitchen Italia al fianco di Carlo Cracco. Le abbiamo fatto qualche domanda.
Il primo classificato nei World’s 50 Best per il 2014 è il Noma di Renè Redzepi. Hai fatto con lui uno stage di due mesi. Come hai reagito al trionfo?
“Quando l’ho saputo ho pianto, perché è stato come se fosse capitato a me. Ho subito telefonato ai ragazzi e a Renè per congratularmi con loro. Anche lo chef è di origine albanese come me e ci siamo capiti subito al volo. Al Noma scaricavo le casse, andavo a raccogliere le bacche insieme agli altri e non c’importava nulla se le mani diventavano nere. Niente guanti: pieno contatto con la natura. Al ristorante si correva su e giù per due piani, si iniziava la mattina alle sei fino a mezzanotte. Con Renè mi sono subito riconosciuta: è come il sangue che chiama sangue. Anche lui usa i ricordi poveri dell’Albania nei suoi piatti (tanti a base di vegetali) e questo è più difficile perché quei sapori e quegli odori li devi aver vissuti, devono sapere stravolgerti la memoria“.
Che tecniche e strumenti nuovi hai portato dal Noma al Sesto On Arno?
“Tante! Le marinature, le salamoie e gli aceti: dall’aceto di sedano alla marinatura in acqua affumicata per le carni. Ho imparato a usare il pino e la sua resina, ma anche i fiori di pepe. Questi condimenti si usano in tantissime preparazioni“.
Prima Hell’s Kitchen, poi il Noma: che effetto fa stare al fianco di chef prestigiosi come Cracco e Redzepi?
“Ti fa sentire parte di qualcosa. Tutti e due fanno parte della storia della cucina di alto livello. Ho sudato con loro, ma ho anche visto l’umanità di Cracco. Lavorano semplicemente come tutti, sono dei veri cuochi, vivono la cucina, vivono il cibo. E vi rivelo anche un segreto: Carlo Cracco non usa solo lo scalogno, ma anche l’aglio“.
Parliamo della tua esperienza a Hell’s Kitchen: di cosa hai fatto tesoro dalla tua partecipazione alla trasmissione?
“A Hell’s Kitchen mi sono divertita un sacco: era come stare a capo della mia brigata, l’unica cosa che mi dava fastidio era l’auricolare. Poi ho imparato a rapportarmi con le persone, anche con i giornalisti. La televisione è un mondo che ho imparato ad apprezzare. In trasmissione si cucina veramente, se si sbaglia un piatto si fa di nuovo e via. Cinema e televisione sono simili alla ristorazione, hai sempre l’adrenalina a mille come se fosse un servizio. I giovani devono cominciare a girare il mondo, la presunzione per arrivare all’alta cucina va dimenticata: bisogna essere capaci di stare un gradino sotto“.
I tuoi obiettivi futuri?
“Vorrei arrivare nei 50 Best: sognare si può“.