Surimi: cos’è e di cosa è fatto
Vi siete mai chiesti come sia fatto il surimi? Vi diamo uno spoiler: non c’è neanche un grammo di polpa di granchio.
È uno di quei cibi che compriamo sovrappensiero. Economico, già pronto e accattivante nella forma e nel colore, spesso lo usiamo per dare un tocco giapponese ai nostri piatti. A chi non è capitato di passare al banco dei surgelati e afferrare una confezione di surimi senza pensarci troppo? Visto più da vicino, in realtà, il surimi non è ciò che sembra: non è polpa di granchio – quella che pensiamo di portare a casa – ma polpa di pesce, la cui storia affonda le radici nella tradizione culinaria nipponica. Che è lavorata, addizionata e colorata, fino a ottenere quei corti bastoncini arancioni che portiamo in tavola.
Che cos’è il surimi
Surimi è una parola giapponese che significa pesce tritato. La sua preparazione prevede, storicamente, l’utilizzo di un solo tipo di pesce, il merluzzo d’Alaska, cotto in acqua bollente, spianato, lavorato e insaporito. Preparato così, però, il surimi si conserva per poco tempo. Ed ecco perché, intorno agli anni ’70, è stato introdotto alla produzione industriale, diventando così la materia prima per ottenere una vasta gamma di prodotti confezionati, soprattutto al sapore della molto richiesta polpa di granchio. A prezzi, però, decisamente più contenuti.
La lavorazione
Senza addentrarci nella produzione originale, oggi il surimi si ottiene in due fasi. La prima avviene a bordo delle navi officina, dove il pesce è pulito, sfilettato, tritato, lavato più volte e quindi pressato. Sono eliminati, così, sangue e tessuti connettivi e si ottiene una pasta bianca neutra, ricca di proteine e povera di grassi, che è quindi tagliata in blocchi e congelata. La seconda fase avviene una volta a terra, nello stabilimento di lavorazione. Qui si aggiungono i vari additivi – come fecola di patate o amido, albume, olio vegetale, sale, sorbitolo, aromi – e la pasta è quindi stesa in uno strato sottile, poi cotta a vapore. Verso la fine vi si aggiunge un altro sottile strato, addizionato con i coloranti – naturali o artificiali, di solito estratto di paprika – che gli conferiscono il tipico colore arancione. Quindi si procede a pastorizzazione e confezionamento.
Cosa c’è dentro il surimi?
Vuoi per un impoverimento dei mari, vuoi per un risparmio economico, nel surimi, a oggi, non c’è soltanto merluzzo, ma anche altri tipi di pesce – nemiptero, sugarello, sgombro – Oltre al merluzzo, nella composizione rientrano anche scarti e ritagli di altre lavorazioni così come scarti e ritagli di altre lavorazioni ed è ormai difficile risalire alla specie originaria. Se si aggiungono le addizioni industriali, il risultato è ben diverso da quello che si otterrebbe con un surimi originale e lo si può dedurre facilmente scorrendone una tabella nutrizionale. Prendendo come riferimento i valori di un prodotto medio in commercio, si nota infatti subito come la quantità di proteine (che dovrebbe essere alta trattandosi di pesce) lascia il podio, invece, a quella dei carboidrati. Dando un’occhiata più da vicino agli ingredienti, il pesce realmente contenuto si attesta infatti soltanto intorno al 40% del totale, seguito al secondo posto – dunque secondo ingrediente presente – dall’amido di grano e di patate.
I valori nutrizionali
Soffermandoci ancora sui valori nutrizionali, il surimi più o meno si attesta intorno alle 90-120 kcal per 100 g. Il che, di per sé, non ne fa un alimento salubre, considerando la sua povertà proteica a fronte del contenuto alto di carboidrati e di sodio. Tenendo conto, dall’altra parte, del potenziale prodotto di partenza e cioè il merluzzo: un prodotto che apporta 82 kcal per 100g, di cui quasi 18 g di proteine, con pochissimi grassi e zero carboidrati. Il gioco, insomma, non sembra valere la candela, a meno che il surimi non ve lo prepariate da soli in casa.