Epic Fail: cose da non fare MAI al ristorante cinese
Quali sono gli epic fail più clamorosi che si possono compiere in un ristorante cinese? Ne abbiamo scelti 6 tra i peggiori, ne avete mai commesso qualcuno?
Una donna levigata, senza espressione, semidivina, vi tende la mano e vi fa entrare; un ragazzo magrissimo versa l’acqua e vi apre il tovagliolo; appare allora su tacchi improbabili una fanciulla più giovane (arrivata in Italia da Shanghai dentro una valigia) che, timidamente, vi porge il menu. a volte andiamo al ristorante cinese con troppa leggerezza e facciamo errori clamorosi E tutto intorno appendiabiti a forma di drago, piatti roventi a forma di mucca; deodorante alla lavanda, fiori finti, acquari, una televisione sintonizzata perennemente sul TG 5. Cominciano così gli 8 minuti più belli della settimana, perché mai è giunta notizia di un pasto al ristorante cinese durato più di 8 minuti. Di loro, dei nostri angeli custodi orientali, delle maniere rapide e giuste con cui ci avvolgono di pescecane e alghe, parleremmo volentieri per anni; ma, come dice Paolo Crepet, dobbiamo anche riflettere un po’ su di noi. A volte, andiamo al ristorante cinese con troppa leggerezza, come se quella costituisse solo un’uscita e non una profonda esperienza fuori e dentro la materia. Se avete a cuore i ristoranti cinesi e i loro amabili custodi, ecco 6 riflessioni da fare attentamente.
- Usare male le bacchette. Di fronte alle bacchette esistono due tipi di persone: i chiusi di mente e i rocamboleschi. I primi, appena le avvistano solitarie e splendenti vicino al piatto, cominciano a piangere, invocando tutti gli sforzi fatti dai padri pellegrini, dai padri costituenti, dalle donne per votare e tutto un gorgo di falso patriottismo che dovrebbe giustificare la richiesta di una forchetta. I secondi devono invece mostrare alla platea quanto siano abili, quanto li abbiano arricchiti i loro viaggi a Singapore e a Cisterna di Latina, così cominciano a becchettare ovunque, spiluccare ravioli, punzecchiare riso; e insistono finché un’anima semplice ma di buon cuore, magnanima, non dice loro: “Complimenti, sai usare benissimo le bacchette”. A quel punto, anche il rocambolesco, finalmente può rilassarsi e chiedere una forchetta. Si aggiunge come menzione d’onore un terza categoria: quelli che, passati i 13 anni, ancora mettono le bacchette in bocca per imitare il tricheco.
- Non chiedere esplicitamente il coltello. Le posate, nel regno dei Cinesi, non sono mai un organismo unitario: chiedere la forchetta, con imbarazzo e paura, non vi dà nessun diritto sul coltello. Per il coltello, dovete avanzare una seconda petizione, possibilmente controfirmata da un notaio. A quel punto, ancor più timorosi, con la stessa voce di quando dite a vostra moglie che saltate l’anniversario per vedere la partita, bisbigliate confusamente qualcosa che per caso ha a che fare con un coltello. Il cinese, ovviamente, non capisce e, se siete fortunati, vi arriva vitello in salsa piccante, giusto per un fatto di rime. Altrimenti, vi tocca la famigerata zuppa za-zai, piatto jolly che i cinesi servono quando l’incomprensione è massima.
- Sbagliare compagnia. Scegliere la compagnia adeguata è una fatto importante già nella vita, ma al cinese lo è ancor di più. Se portate nonna, la scena è questa: “Cos’è il bambù?” “Cos’è il nido di rondine?” “Cos’è il wanton?” “Cos’è il tau-fu?”. Che se proprio avevate voglia di fare quiz, restavate a casa a guardare L’Eredità. D’altra parte, anche portare le classiche ragazze carine ma schifiltose potrebbe diventare un problema; loro, ammiccando, vi diranno: “Ti va se dividiamo un riso bollito e mezzo involtino primavera?” e tu, per fingere che siate in sintonia, giù con le bacchette a ravanare gli avanzi di riso bianco. Per quel che riguarda gli amici, rifuggite da quelli che al cinese ordinano patatine fritte (e anche dai cinesi che ve le servono: dovrebbero solo rappresentare un nome noto sul menu per farci sentire a casa); evitate quelli che, a metà pasto, dopo una pausa strategica, declamano: “Per carità, buono… però le fettuccine col ragù…”. Esecrate infine quelli che a ogni portata esclamano: “Sarà gatto…”, senza minimamente tenere in considerazione quello che hanno settimanalmente il coraggio di mettere nella torta allo yogurt.
- Insistere sulla elle. Per abbracciarci con la loro accoglienza e per adattarsi con generosità allo stereotipo, i cinesi, anche quelli nati e cresciuti a Garbatella, fingono di non saper pronunciare la elle. Allora dicono Glazie, Plego, Scusi, tolnelò: è un fatto di folclore. Evitiamo di costruirci intorno tanta ilarità, di prenderli in giro come se noi avessimo azzeccato almeno due congiuntivi su dieci dal ’94 a oggi. Aiutiamoli: facciamo come Gabriella che, per aggirare la r moscia del marito Bertinotti, si fa chiamare solo Lella; non diciamo “Buonasera” ma “ossequi”; e per ringraziare: “Obbligato”.
- Apprezzare troppo la musica di sottofondo. Le colonne sonore dei ristoranti cinesi, con quei fluenti tintinnamenti e le improvvise impennate vocali di una quaglia vietnamita che soffre per amore, sono un classico irrinunciabile, sono l’equivalente sonoro della birra cinese: tremenda e necessaria. Ma quando ci accorgiamo, senza mai aver nemmeno lontanamente studiato il cinese, di conoscere a memoria tutte le parole in dialetto putonghua, e di cantarle, forse è meglio fare uno stacco. Stare qualche sera a casa, magari ordinare una pizza. E tornare al cinese quando si sarà acquisita la moderazione che i Cinesi hanno.
- Scegliere gli all you can eat. La nostra mancanza di misura è il segreto del successo di questa redditizia, violentissima, magica pratica commerciale: ordina tutto quello che vuoi pagando solo questo piccolo prezzo che ti dico adesso che finisce per ,99. I meccanismi psicologici che si innescano sono macchinosi e fatali. In primo luogo, si ordinano piatti che mai avremmo voluto assaggiare, o che odiamo: perché se ho preso il menu no limits devo ordinare tutto e riordinare quello che odio, perché senza il menu no limits l’avrei pagato tanto. Accade anche quando compriamo giacche orribili che non ci servono solo perché sono in saldo. In secondo luogo, si ordinano quantità d’acqua da prosciugare le antiche terme San Pellegrino; in terzo luogo, ci si strafoga come ai peggiori battesimi, scambiando la noia per fame e l’insoddisfazione per appetito. Ma la vetta più umiliante si raggiunge quando, terrorizzati dalle possibili ritorsioni dei cinesi, che verso il fine pasto diventano improvvisamente aggressivi segugi, ti trovi a arrotolare cibo nei fazzoletti, da nascondere nelle tasche, da coprire con le giacche orribili comprate in saldo; perché sei pieno, ma non puoi lasciare il cibo: è la prima regola del menu no limits. Allora, in procinto di esplodere, con le tasche sguazzanti di gnocchi, esci di lì, promettendo a te stesso che non tornerai mai più. E prima ancora di accorgertene, prima di aver finito la frase sui propositi del futuro, sei di nuovo lì; ma stai entrando. “Sì, certo, faccio il menu no limits”.