Stranieri e pasta: 10 abitudini davvero imperdonabili
Usare la pasta come contorno, scuocerla, salarla dopo: sono solo alcune delle strane abitudini degli stranieri che vorremmo condannare, scoprite le altre.
Il fatto che maneggi sempre coltelli affilati in maniera allarmante, rughe innaturalmente marcate sulla fronte, capello di un biondo un po’ incomprensibile, le sue proverbiali urla: sono tante le ragioni per aver paura di Gordon Ramsay; ma da quando ha spiegato come si cucina la pasta è l’Italia intera a tremare, la storia della cucina tutta. sono tante le abitudini discutibili degli stranieri quando si accingono a cucinare la pasta Lo chef britannico ha perentoriamente affermato (con tanto di peccaminosi video a testimoniarlo) che la pasta si fa così: prima si sala l’acqua e poi ci si aggiunge l’olio (almeno ha precisato che si deve utilizzare olio d’oliva e non, magari, olio di cocco); dopo aver girato e assaggiato, si scola; direttamente nello scolapasta, senza perdere un minuto di più, si riparte con l’olio, sale a piccole manciate e pepe macinato. In così pochi passaggi, identificati da Ramsay come i trucchi per ottenere la pasta perfetta (ha usato questa parola, l’inglese non lascia spazio a equivoci: Perfect), sono talmente tante le cose che non quadrano da augurarsi subito un intervento del Quirinale o dell’ambasciata italiana, o almeno di Simone Rugiati. Nel frattempo, possiamo impegnarci personalmente a stigmatizzare tutte le orribili abitudini degli stranieri quando hanno a che fare con la pasta. Ecco i 10 errori più tragici.
- Usare la pasta come contorno. Partiamo dalla metafisica: la pasta non è un contorno. La pasta non si usa per asciugare i sughetti nei piatti di buffet, per accompagnare un misto di verdure, per guarnire uno spezzatino. La pasta è la pasta: protagonista, sovrana, assoluta. Usarla al posto dell’insalata sarebbe come prendere la regina Elisabetta e farle fare il sindaco di San Giovanni-Gabicce.
- Mettere il sale sulla pasta scolata. Il sale si mette nell’acqua e sulle salse, non quando la pasta è stata scolata, come suggerisce il nostro buon chef biondo e, stando a quel che dice il web, come fanno molti britannici liberi nel mondo. Qualunque nonna italiana, anche la meno ferrata in cucina, se vedesse qualcuno intento a lanciare pizzichi di sale nel lavandino (sulla pasta calda di scolatura) agirebbe in maniera punitiva con la cucchiarella; e farebbe bene.
- Mettere l’olio nell’acqua. Nessun italiano dovrebbe mai averlo visto fare, eppure la memoria patologicamente infarcita di ricordi inutili del sottoscritto ha registrato una scena di fantascienza in cui, era un programma della tv di stato, Al Bano Carrisi gettava litrate d’olio nell’acqua in ebollizione. All’epoca ci pensò lo chef Vissani, con la sua leggendaria bonomia, a rimetterlo a posto. A ogni modo, sono errori madornali che si concedono solo a chi ha sposato almeno una sorella Lecciso; noialtri manteniamo la dignità.
- Concepire la pasta solo quando è scotta. Cuocere la pasta all’inverosimile, soffocarla finché non diventa un’informe poltiglia è spesso prerogativa degli stranieri (o dei migliori ospizi della provincia di Viterbo), che non conoscono la fine dicitura di pasta al dente. Non bisogna essere esperti o aver fatto l’alberghiero: sulla busta c’è sempre il tempo di cottura, chi ha imparato a leggere l’orologio non ha limiti.
- Usare il cucchiaio. Fa star male anche solo a denominarla, quest’azione immonda; ma d’estate si vedono tanti stranieri nei quartieri turistici che, forti di norme come lo Spazio Schengen, mangiano gli spaghetti col cucchiaio. A tutti loro parliamo con il cuore in mano: il cucchiaio si usa per lo yogurt, per la zuppa e per specchiarsi (dovesse essere rimasto un po’ di prezzemolo tra i denti), per tutto il resto le acciaierie di mezzo mondo producono forchette.
- Lanciare la pasta sul muro per vedere se è cotta. È un gioco che abbiamo anche noi in Italia: si chiama freccette. Come il nome lascia presagire, si fa con le freccette. Per capire se la pasta è cotta, ci sono due soluzioni decisamente meno truculente. La prima: chiamare una persona a caso e dire: “Giovanna, senti se la pasta è cotta”; Giovanna, dopo una pausa sospirosa, immancabilmente dirà: “Ancora un minutino”. Per la seconda, richiamiamo qui quanto lapidariamente espresso al punto 4: “Non bisogna essere esperti o aver fatto l’alberghiero: sulla busta c’è sempre il tempo di cottura, chi ha imparato a leggere l’orologio non ha limiti”.
- Fare la carbonara con la panna. È solo uno dei tanti modi di oltraggiare la memoria della mai abbastanza compianta Sora Lella. La nostra trionfale carbonara è uccisa in tanti modi nel mondo, ma l’uso della panna è forse uno dei più meschini; troppo facile, troppo furbo, troppo dolce. La carbonara viene cremosa solo ai più bravi, quelli che hanno sudato per questo, quelli che la bontà la conquistano con l’esperienza, non con i giochetti.
- Spacciare per italianissime ricette che non lo sono mai state e non lo saranno mai. Chi gira il mondo sa che si rischia continuamente di essere inghiottiti da bettole con le tovaglie a quadri che promulgano imbarazzanti piatti italiani che in Italia non cucinerebbe mai nemmeno Benedetta Parodi nei giorni di depressione. Pasta col pollo, penne col ketchup e via discorrendo per un lungo elenco satanico.
- Usare il cheddar. Quante volte una sacra manciata di parmigiano o una cucchiaiata ben dosata di pecorino hanno aggiunto ai vostri piatti e alle vostre vite quel tocco che mancava, quel coronamento di tutti gli sforzi fatti? Ogni giorno nel resto del mondo esistono persone che sulla pasta grattugiano il cheddar. Perché?
- Trattare la pasta come un alimento qualsiasi. Mangiare la pasta è un dovere, un atto d’amore verso noi stessi e la patria che ci ha generato e allevato; accostarsi a essa con leggerezza, con superficialità, significa tradire il patto con la nostra civiltà, rinnegare le origini, voltare la faccia al tricolore che sventola. La pasta è la pasta, si mangia con l’orgoglio con cui mostri al controllore l’abbonamento annuale, ricordando le domeniche in famiglia, le cene felici, la fortuna sfacciata di non essere nati in un paese che per piatto principale ha la tagliata di alce con salsa di ribes.
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