Femminicidio Scialdone: l’onda di odio colpisce il ristorante Brado
Dopo il femminicidio di Martina Scialdone fuori dal ristorante Brado, a Roma, sui social gli utenti si sono scagliati contro il personale e i gestori del locale. Ecco cosa è accaduto.
Come cibo comanda, si legge sotto al nome della nostra testata. La cronaca nera non è certo uno degli argomenti che trattiamo, ma quanto accaduto negli ultimi giorni non può lasciarci indifferenti. Riassumeremo brevemente ciò che è seguito al tremendo femminicidio di Martina Scialdone, non perché spetti a noi dipanare i fatti che gli inquirenti stanno ancora ricostruendo, quanto per invitare alla moderazione coloro che nel tribunale dei social network hanno dipinto un quadro fumoso del fatto di cronaca, tratteggiando uno scenario di colpevolezza che comprende non solo l’omicida ma anche quanti sarebbero colpevoli di non aver fatto abbastanza per salvare la vittima.
Esprimiamo la nostra più sincera vicinanza ai familiari della ragazza e ci auguriamo che le autorità competenti facciano chiarezza su tutti i risvolti della vicenda; inoltre, invitiamo tutti a porre più attenzione a quello che accade intorno a noi, perché di femminicidio, purtroppo, si muore.
Nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 gennaio, è avvenuto a Roma il femminicidio di Martina Scialdone, uccisa dall’ex compagno. Luogo della tragica aggressione è stato l’esterno del ristorante Brado, noto locale del quartiere Appio-Tuscolano. A seguito dell’omicidio, la notizia ha iniziato a circolare sin dalle prime ore dell’alba, in attesa di un’ufficialità che, purtroppo, non si è fatta attendere.
Le prime informazioni sono state incerte: si è vociferato che l’omicida fosse una guardia giurata e che la vittima fosse a cena con suo fratello quando sarebbe stata raggiunta dall’ex compagno. In altre versioni, discordanti su alcuni dettagli, si è affermato che l’assassino e la sua vittima avrebbero iniziato a litigare nel locale, che lei si sarebbe chiusa all’interno del bagno, che Costantino Bonaiuti, questo il nome dell’ex compagno, avrebbe preso a pugni la porta e che i due sarebbero stati invitati dal personale del ristorante ad uscire.
Di lì a poco l’uomo avrebbe sparato a bruciapelo alla trentacinquenne ferendola a morte, il tutto poco distante dal ristorante. Con il passare delle ore, gli inquirenti avrebbero chiarito il quadro: Bonaiuti, che è in realtà un ingegnere, era in possesso dell’arma per motivi sportivi e avrebbe freddato la vittima dopo un alterco.
Con una certa superficialità, occorre dirlo, alcuni dei più importanti giornali italiani, sin dal titolo della notizia, hanno evidenziato la responsabilità del personale del ristorante, reo di aver dimostrato scarsa attenzione rispetto alla situazione che si stava profilando, sottovalutando il rischio che la vittima avrebbe corso di lì a breve. In alcuni articoli si è sottolineato come, secondo alcuni presunti testimoni, il personale abbia allontanato entrambi dal locale, minimizzando la situazione. In pochi altri articoli si è ricostruito l’intervento del personale di sala che avrebbe chiamato le forze dell’ordine ma, alla telefonata, pare non sia seguito nessun invio di una volante. Conclusosi oramai l’alterco e allontanato Bonaiuti, avrebbero chiesto alla ragazza se stesse bene e lei stessa li avrebbe rassicurati e sarebbe andata via, imbattendosi, stavolta poco distante dal locale, nel suo omicida che le avrebbe sparato. Sarebbe quindi tornata ferita nel locale, ricevendo dal personale e da un avventore i primi soccorsi.
A discapito di questa seconda e più dettagliata versione raccontata dai giornali è partito un tam tam di indignazione social, dal quale è risultato un immediato profluvio di commenti feroci sui profili del ristorante, insulti e recensioni negative sulle più note piattaforme.
Ancora sotto shock, il personale del ristorante Brado si è trovato costretto a gestire una situazione difficilissima. Le grandi aziende in questi casi si rivolgono a specialisti di crisis communication management, ma il ristorante, privo di un ufficio stampa qualificato nel gestire un evento di questa portata, si è affidato alla pagina Facebook per smentire quanto raccontato dai giornali. “Oggi e domani rimarremo chiusi per esprimere la massima sensibilità a familiari e amici della vittima. Ci teniamo a ringraziare i nostri clienti che hanno collaborato per calmare la situazione e che hanno potuto appurare che abbiamo fatto tutto il possibile allertando le autorità sin dal primo momento. Ringraziamo inoltre in modo particolare una nostra cliente che avendo competenze mediche ha tentato immediatamente di rianimare e dare soccorso alla ragazza. In merito alle informazioni false e diffamatorie che stanno girando sul web, ci teniamo a sottolineare che non fanno altro che aggiungere dolore a questa triste storia e che sono il frutto di una ricostruzione dei fatti rilasciata da chi non era neanche presente all’interno del locale durante l’accaduto. Facciamo presente altresì che ci siamo resi totalmente disponibili a collaborare con le forze dell’ordine che stanno ancora svolgendo le necessarie indagini in merito all’accaduto.”
Le testate hanno poi corretto il tiro, ricostruendo diversamente la dinamica dei fatti, ma la valanga di fango ormai era innescata. Ora, è chiaro che di fronte alla morte di una giovane donna, il danno di immagine di un ristorante è un problema decisamente irrilevante. Tuttavia, noi non possiamo non fermarci a riflettere sul ruolo delicatissimo dei mezzi di informazione, soprattutto in un’epoca in cui, con i social, è tremendamente difficile frenare certe dinamiche. E laddove la pruriginosità di certe notizie di cronaca fa perdere il senso della notiziabilità dell’evento e costruisce un teatro fatto di victim blaming (colpevolizzazione della vittima), rimane al singolo il dovere di non immolare sul proprio tribunale tutti coloro che sono stati coinvolti nei fatti.