11 formati di pasta regionali che (forse) non conoscevi
• 1 Marzo 2022 11:00
La pasta è un primo piatto che rappresenta l’Italia e gli italiani da sempre. Ma quali sono i formati regionali meno conosciuti?
La pasta è da sempre uno dei simboli indiscussi dell’Italia. Ma in molti casi, andando più a fondo, è anche espressione di territori specifici, frutto di tradizioni locali. Sì, ci riferiamo ai formati di pasta regionali. Alcuni noti a tutti, come gli spaghetti alla chitarra abruzzesi, i bigoli veneti, gli scialatielli campani, i fileja calabresi; altri meno conosciuti. Ed è su questi ultimi che vogliamo focalizzarci, in una panoramica da Nord a Sud che può rivelare grandi sorprese.
- Bardele (Lombardia). Pasta fresca tipica della Lombardia. La forma è simile a quella delle tagliatelle, anche se lo spessore è maggiore. La particolarità sta nell’impasto, che prevede l’aggiunta di foglie di borragine (i morai, appunto) scottate in acqua bollente e poi tritate. Gli altri ingredienti sono farina di grano tenero, uova e sale. Generalmente vengono condite con burro, salvia e parmigiano grattugiato.
- Pisarei (Emilia Romagna). Appartengono, per l’esattezza, alla tradizione contadina piacentina, sono una sorta di gnocchetti preparati con pane raffermo o pangrattato, farina 00, acqua e sale. L’accoppiata perfetta è quella coi fagioli borlotti: gli imperdibili e corroboranti pisarei e fasò.
- Gasse (Liguria). Questa pasta tipica della Liguria prende il nome da una tipologia molto diffusa di nodo nautico, una sorta di cappio all’interno del quale si fa passare la cima. Citate ne La cuciniera genovese ossia la vera maniera di cucinare alla genovese, celebre volume realizzato da Giovanbattista e Giovanni Ratto e pubblicato nel 1893, le gasse sono sostanzialmente farfalle fatte a mano. Ottime con i piselli ma anche col ragù di carne e il pesto.
- Toppe (Toscana). Com’è facile dedurre, si tratta di un formato di pasta grande, che ricorda i pezzi di stoffa utilizzati per riparare indumenti danneggiati dall’usura. Uova e farina gli ingredienti utilizzati per preparare queste sfoglie corpose, dalla superficie un po’ ruvida, consumate per tradizione nei giorni di festa e con sughi molto ricchi.
- Umbricini (Umbria). Chiamati anche umbricelli, sono uno dei fiori all’occhiello dell’Umbria. In origine, una ricetta della cucina povera. Il nome deriva da lombrico: l’impasto, a base semplicemente di acqua e farina, viene tagliato a strisce, quindi lavorato a mano in modo da ottenere una forma simile, appunto, ai lombrichi. Il condimento più diffuso è il ragù di carne.
- Fregnacce (Lazio). Nel dialetto laziale, fregnaccia significa sciocchezza. E questa pasta, originaria della provincia di Rieti, si chiama così perché si prepara con estrema facilità, è un gioco da ragazzi. Le fregnacce sono dei quadrettoni di pasta simili ai maltagliati; la ricetta tradizionale prevede soltanto l’utilizzo di farina di grano duro e acqua, ma ormai da un po’ di tempo si aggiungono anche le uova. Molto versatili, si sposano egregiamente ai più svariati condimenti.
- Lenzolere (Molise). Tipiche in primis di Castelbottaccio, chiamate anche cuscnènere, sono strisce di sfoglia piuttosto larghe e spesse, tagliate in senso trasversale e in modo irregolare. Perché questi termini che riconducono alle lenzuola e ai cuscini? Per via di quel candore derivante dalla presenza dell’albume nell’impasto. Impasto che viene completato con semola di grano duro e sale. Il matrimonio ideale è con i sughi leggeri e genuini, cominciando da quello a base di pomodoro e basilico.
- Manate (Basilicata). Le manate lucane sono un formato di pasta lunga che dà grandi soddisfazioni, ma che richiede anche una certa abilità manuale. L’impasto, risultato di un mix di acqua, farina di semola di grano duro e sale, viene infatti lavorato in modo da creare prima un lungo cordoncino, poi arrotolato a mo’ di matassa, servendosi esclusivamente delle mani (da qui il nome). Infine, si taglia la matassa: il risultato è per certi versi simile a spaghettoni un po’ schiacciati.
- Fainelle (Puglia). Le fainelle identificano soprattutto il foggiano, ma c’è da dire che purtroppo sono ormai in pochi a portare avanti la tradizione. Hanno un aspetto molto particolare, simile alla carrubba (che in dialetto si chiama, appunto, fainella). Per realizzarle serve lo sferre, ovvero un coltello privo di manico e dalla punta arrotondata, che proprio per le sue peculiarità può essere utilizzato anche in senso orizzontale.
- Busiate (Sicilia). Busi: con questo termine venivano indicati, in Sicilia, i ferri per lavorare a maglia. E proprio intorno a questi ferri viene arrotolato l’impasto – a base solo di acqua e semola – delle busiate, in modo da dar loro la tipica forma a spirale. C’è una certa somiglianza coi fusilli, ma anche con gli strozzapreti. E manco a dirlo, le busiate raccolgono il sugo, qualsiasi sugo, meravigliosamente.
- Lorighittas (Sardegna). Pasta intrecciata tipica della zona del Monte Arci, in particolare di Morgongiori. Le Lorighittas vengono preparate con un impasto di semola, acqua e farina e poi condite, tradizionalmente, con il sugo di pollo ruspante. Hanno una tradizione antichissima ma oggi solo in pochissimi sanno prepararle. Farle infatti non è facile: il doppio filo di pasta va intrecciato sulle dita e poi vanno chiuse ad anello. Il loro nome significa orecchino proprio per questa particolare forma.