I racconti del prof: IG 2019
Il nostro racconto e le immagini della quindicesima edizione di Identità Golose a Milano, dove abbiamo costruito le nostre nuove memorie.
Il fattore umano – costruire nuove memorie è stato il tema della quindicesima edizione di Identità Golose Milano. E più che in altri anni il tema è stato centrato, sia perché oggi la ricostruzione di memoria e tradizione è un tema importante anche a livello sociale e culturale, sia perché il buon pacchetto di relatori costruito da Paolo Marchi e dalla sua squadra è riuscito spesso a tradurlo in lezioni convincenti.
Uno dei fili conduttori degli interventi, anche grazie alla importante presenza di cuochi provenienti dal Sudamerica è stato quello dell’emigrazione: Matias Perdomo e Simon Press di Contraste l’hanno declinato partendo dal tucco uruguagio, il tema dell'emigrazione è stato forte tra gli chef del sudamerica un pane intinto nel sugo di carne, declinandone le origini nell’emigrazione ligure di fine ‘800 che si portò dietro il tocco, il sugo di carne genovese. In un cambio di vocale si tramanda la storia di una tradizione. Paulo Airaudo, argentino di origini piemontesi, stellato in Svizzera con un ristorante italiano e ora protagonista a San Sebastian di una delle storie ristorative di maggior successo degli ultimi anni con Amelia, dalle sue radici italiane si porta dietro il rispetto assoluto per la materia prima, in un discorso di sostenibilità e rispetto ambientale, a partire dalla riduzione al massimo degli sprechi in cucina, che ha attraversato quasi tutti gli interventi del congresso, in testa l’intervento liturgico e appassionato di Massimo Bottura.
E poi le nuove memorie, ad esempio quelle che fanno riferimento al passato, come nella riproposizione del concentrato di pomodoro – entrato sotto forma di tubetto nelle case degli italiani tra gli anni ‘70 e ‘80 – qui protagonista di un coinvolgente spaghettone preparato da Alessandro Negrini de Il Luogo di Aimo e Nadia e in un riso con il sentore di abbrustolito da fondo pentola, completato da una salsa di prugne e vermut, presentato da Riccardo Camanini, protagonista di un pirotecnico intervento da 14 piatti, tra classicismo, ricerca, memoria e territorio.
E quelle che invece sono contaminate, anche da posti che non si sono mai visitato o quasi, come l’Africa, visitata una sola volta da Jeremy Chan (Ikoyi a Londra) ma ben presente nel suo ricordo gustativo nell’esplosivo platano fritto con polvere di lamponi e salsa scotch-bonnet. O da un semplice abbinamento tra una classica crema di fegatini e una scaloppa di foie gras, proposta da Solaika Marrocco, ventitreenne salentina di Primo Restaurant, una delle figure più forti di questa edizione. O ancora memoria come film che hanno segnato il tuo percorso da chef, come quelli amati da Antonia Klugmann: Mangiare, bere, uomo, donna; Il profumo della papaya verde; Il pranzo di Babette.
Ma c’è un altro tema sotterraneo che è uscito fuori, quasi mai citato, ed è quello della comunicazione: Tim Raue, bistellato chef berlinese, ha lanciato sia a clienti (“non fotografate i piatti, mangiateli“) che colleghi (“lasciate Instagram, Facebook et similia, vi prendono solo tempo“) per tim raue gli chef e gli ospiti dovrebbero lasciar perdere i social l’urlo “Fuck off social”, tra gli applausi di chi qualche minuto dopo continuava a postare di tutto. Al vertice opposto Bros’ che per bocca di Isabella Potì declinava il loro metaprogetto, che della comunicazione, soprattutto nel mondo social fa uno dei punti di forza. E qui potrebbe aprirsi un lungo dibattito. È indispensabile, deve essere forte la comunicazione di uno chef e di un ristorante oggi? Oppure basta fare bene il proprio mestiere e affidare il successo a clienti e al classico giudizio della critica? E non sarà che molti chef affermino di non voler fare comunicazione perché non hanno la minima idea di come farla? Forse una sezione Identità Comunicazione non ci starebbe male l’anno prossimo.
Di seguito trovate la gallery con i nostri assaggi preferiti di Identità Golose 2019.